Le novità di quest'anno riassunte in poche righe:
SONO ARRIVATI I CINESI ED E' CAMBIATO L'ALLENATORE,..
Chi è davvero Frank De Boer
15 maggio 1970 (età 46)
Le idee e il gioco del tecnico olandese che si è appena seduto sulla panchina dell’Inter.
A maggio del 2014, poco dopo aver conquistato il quarto titolo consecutivo con l’Ajax, con cui ha superato il record di Rinus Michels, Louis van Gaal e Guus Hiddink, Frank De Boer
aveva snobbato un suo possibile arrivo all’Inter: «Mai parlato con l'Inter però preferisco Premier, Bundesliga e Liga. Il calcio italiano è molto in ribasso nella considerazione internazionale». In quel momento, invece, le quotazioni di De Boer erano molto alte: il Liverpool lo aveva cercato qualche mese prima («Aveva quattro candidati e mi ha chiesto se ero interessato. Quella volta ho detto che volevo stare all’Ajax») e il suo passaggio sulla panchina del Tottenham sembrava tutt’altro che impossibile:«Hanno parlato informalmente con l'Ajax del mio contratto. Credo che siano abbastanza contenti del loro manager, ma è normale che prendano informazioni su un possibile successore».
Avrebbe potuto andare quasi ovunque, ma ha deciso di rimanere all’Ajax. Qualcuno sostiene perché si era promesso col proprio staff di centrare i quarti di finale di Champions League. Non solo, però, De Boer non è mai andato oltre il girone di qualificazione della Champions, ma negli ultimi due anni ha anche ceduto al PSV la supremazia in patria (l’ultimo campionato perso dolorosamente all’ultima giornata). Per questo le sue quotazioni sono scese e il giudizio sulla sua esperienza è più ambiguo di quanto non fosse allora, anche se lui
è meno incerto nel giudizio sulla sua esperienza: «Quando sono arrivato l’Ajax non giocava a calcio. Non creava. Io volevo giocare in modo dominante, un calcio d’attacco, sviluppando i giovani della nostra accademia e creando una squadra competitiva. Oggi il gioco di posizione e la tecnica individuale sono fattori chiave nell’Ajax»
E quando De Boer si attribuisce questi meriti è difficile dargli torto. Quello maggiore è stato di aver ridato all’Ajax un’identità definita e più o meno rispettosa della tradizione tattica del club: sin dal suo arriva la squadra ha giocato con un 4-3-3 molto riconoscibile, all’interno del quale sono stati lanciati molti giovani. Sebbene in modo più opaco rispetto ai suoi antenati, De Boer è riuscito a ricreare una specie di “Stile Ajax”, ed è forse questa la ragione che ha maggiormente affascinato la proprietà interista: quella di poter lavorare su un progetto tecnico e tattico non legato al breve periodo, cosa che Mancini non assicurava. Non è un caso che durante la conferenza di presentazione di De Boer sia stata
citata un numero spropositato di volte la parola “filosofia”.
Si è letto che fra le ragioni delle dimissioni di Mancini ci sia stato un disaccordo di fondo sulle strategie di mercato. Che il tecnico, in pratica, avrebbe voluto più libertà e risorse per gli acquisti, mentre la società non era più disposta a concederla. Mancini è un tecnico che pretende giocatori pronti e che mira a risultati certi; De Boer è abituato a ragionare su cicli medio-lunghi, impostati su un’identità tattica chiara. Almeno per quello che abbiamo visto finora, senza dimenticare, cioè, che all’Ajax quella è di fatto l’unica via per ottenere risultati.
Rimettere le fondamenta
Da Mancini a De Boer, l’Inter passa da un allenatore gestore a un allenatore demiurgo, che, da tradizione olandese, è abituato a plasmare in profondità la struttura della squadra. Sarà un passaggio traumatico, a due settimane dall’inizio del campionato, per una squadra che De Boer troverà tatticamente quasi in macerie. La stagione dell’Inter dello scorso anno è stata per certi versi indecifrabile: all’inizio del campionato la squadra non riusciva ad esprimere una proposta di gioco vera, ma coglieva risultati al di sopra delle proprie prestazioni adattandosi al gioco dell'avversario; mentre nella seconda parte dell’anno il gioco è parzialmente migliorato a fronte di risultati peggiori.
Il problema principale dell’Inter 2015/16 era soprattutto quello di non avere una struttura posizionale chiara, che rendeva impossibile sviluppare una fase offensiva credibile. I giocatori si distribuivano in campo in modo anti-economico, riducendo invece che ampliando il numero di linee di passaggio. Un problema il cui risultato era il bassissimo numero di tiri in porta di Mauro Icardi, nobilitato da una percentuale di conversione altissima. Anche la fase difensiva rispecchiava questa confusione: Mancini ha alternato un pressing alto continuo a partite giocate soprattutto provando a ridurre gli spazi dietro. L’Inter lo scorso anno è stata vittima della propria ambiguità, troppo indecisa tra giocare nello spazio e dominare il pallone.
La prima certezza da cui l’Inter potrà ripartire è che quest’anno ogni ambiguità sarà spazzata via: De Boer ama dominare il possesso, cercando di aprire e chiudere gli spazi con la circolazione di palla. L’Ajax di De Boer degli ultimi anni è stata una delle squadre con la proposta di calcio posizionale più definita e fedele a sé stessa, e sarà interessante vedere come il tecnico rimetterà le fondamenta a una formazione dalla struttura così confusa.
Da giocatore, Frank De Boer era un difensore centrale che amava impostare il gioco. Nato e cresciuto nell’ultimo Ajax davvero vincente della storia, è stato il sergente di campo di Louis van Gaal, che se lo è portato dietro al Barcellona nell’ennesima evangelizzazione oranje della catalogna. Con questo curriculum da accademico del Calcio Totale, De Boer ha assorbito delle idee tattiche che devono molto a quello che è stato quasi il suo unico allenatore. Sono tanti i punti in cui il calcio di De Boer sembra coincidere con il dogma elaborato da van Gaal. Tanto in alcuni gusti precisi: l’amore per il 4-3-3, per la ricerca ossessiva delle ali, l’essenzialità quasi spoglia delle geometrie; quanto in alcuni principi più profondi e generali: la scrupolosità con cui si rispettano i riferimenti spaziali, il rifiuto della squadra corta a tutti i costi, l’attenzione molto rigida al fatto che l’iniziativa individuale sia limitata ad alcuni momenti dell’azione.