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CHI MANGIA I BAMBINI ?

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[h=1]L'esercito dei bimbi scomparsi: in Italia sparisce un minore ogni due giorni[/h]
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Nel 2017 sono state 177 le segnalazioni giunte al numero europeo dedicato, il 116000, di questi solo 30 sono stati ritrovati. Telefono azzurro presenta una app per fornire servizi ai piccoli migranti
di ALESSANDRA ZINITI
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25 maggio 2018
2,7mila
ROMA - In Italia scompare un bambino ogni due giorni, quattro su cinque non vengono più ritrovati. È un vero e proprio esercito di invisibili quello che si forma di giorno in giorno nel nostro Paese.

In occasione della Giornata dei bambini scomparsi, sono davvero impressionanti i dati forniti da Telefono azzurro: nel 2017 sono state 177 le segnalazioni di scomparsa giunte al numero europeo dedicato, il 116000, e di questi solo 30 sono stati ritrovati. Dunque ben 147 minori potrebbero essere stati risucchiati in circuiti di sfruttamento sessuale e di lavoro minorile o addirittura uccisi. Ma si ritiene che questo sia un dato per difetto, visto che non sempre le sparizioni di minori vengono denunciate. Soprattutto quando si tratta di migranti, giunti da soli in Italia, una percentuale questa che supera il 60% del totale dei casi.

Il 2017 è stato uno degli anni più drammatici dall'attivazione del servizio 116000, con 3,5 denunce di scomparsa a settimana.

La fuga da casa, spesso di minori che si ritrovano in contesti familiari caratterizzati da abuso e violenza, ha un'incidenza del 12,4% e rappresenta la seconda causa di sparizione. In Italia la Regione che fa registrare il numero più alto del totale (circa un quarto dei casi) è il Lazio, seguito dalla Lombardia. La situazione sembra essere più controllata al Sud e nelle isole.

Dal 2011 sono state 1,2 milioni le chiamate ricevute per bambini scomparsi in tutta Europa. La situazione più grave in Romania e in generale nell'Europa dell'est. In base ai dati forniti da Europol, ogni anno almeno 10.000 minori stranieri non accompagnati scompaiono in Europa poche ore dopo il loro arrivo e di questi pochissimi vengono ritrovati. Da maggio scorso è attivo il progetto Amina, che comprende la gestione di Minila, una app gestita in Italia da Sos Il Telefono azzurro onlus presentata oggi a Roma, che fornisce ai minori stranieri tutte le informazioni sui loro diritti, sui servizi a loro disposizione. Uno strumento che garantisce un pasto, un posto per dormire o il wifi.
 

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[h=1]'Missing': ecco tutti i minori scomparsi in Italia[/h] [h=2]Negli ultimi 40 anni sono stati quasi 12 mila, ed il 2013 rischia di essere un anno da "record"[/h]
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– Credits: Getty Image [h=4]Nadia Francalacci[/h] - 25 ottobre 2013
11.615. E’ questo il numero dei minori scomparsi in Italia in quasi 40 anni. Dal 1 gennaio 1974 al 30 giugno scorso sono ‘svaniti’ nel nulla decine di migliaia di bambini tra cui 1.617 di famiglie italiane e 9.998 dio nazionalità straniera.

Ma il dato veramente impressionante è quello dei primi sei mesi del 2013: da gennaio al 30 giugno 2013 sono scomparsi 695 bambini.

Quasi 700 minori di cui si sono perse le tracce, di cui nessuno sa più niente. E’ un trend in sconcertante aumento anche rispetto al 2011 quando i bambini scomparsi al 31 dicembre 2012 erano quasi 100 in meno, per l’esattezza 94. Infatti a dicembre 2012 mancavano all’appello 601 bambini, tutti scomparsi nei dodici mesi precedenti.


Ma che cosa accade a questi bambini? Si allontanano volontariamente o vengono rapiti? O peggio ancora sono vittime di omicidi o ‘oggetto’ traffico di organi e adozioni illegali?

Il caso greco di Maria, la bambina bionda ritrovata in un campo rom assieme a due persone che non erano i suoi genitori, alimenta una serie di interrogativi, di dubbi e soprattutto di paure.

Secondo i dati raccolti dal Commissario straordinario del Governo per le persone scomparse presso il Ministero dell’Interno, per la metà dei minori scomparsi non si riesce a trovare motivazione. Sequestro? Rapimento? Omicidio? Per 5.5 29 bambini, scomparsi nel 2012, a queste domande no si riesce a dare una risposta certa. E questo è l’elemento sicuramente più sconcertante.

Sono invece, 4.816 i minori che nel 2012 si sono allontanati dagli istituti e di cui si sono perse definitivamente le tracce. Di questi la maggior parte sono stranieri (4.318) e ‘solamente’ 498 italiani.
L’allontanamento volontario da casa, invece, ha riguardato sempre nei dodici mesi dello scorso anno, 1.063 bambini di cui 242 di nazionalità italiana.

Sono stati 304 i bambini che sono scomparsi nel nulla dopo essere stati sottratti al coniuge mentre quelli che sono stati vittime di reati solamente nel 2012 sono stati 15 di cui 8 italiani e 7 stranieri. Infine ci sono bambini che scompaiono nel nulla e che sono portatori di gravi disturbi psicologici. Nei dodici mesi dell’anno scorso sono stati 7 mentre nel 2011, 6 bambini.

Eppure bambini o non bambini le persone che ogni anno fanno perdere volontariamente o no le proprie tracce sono davvero una “tribù”. Le persone scomparse e ancora da rintracciare in Italia, dal gennaio 1974 al 30 giugno scorso,
sono un numero sconcertante: 27.000. Di questi 9.534 italiani e 17.466 stranieri tra cui 15.385 sono maggiorenni (1.595 over’65) e 11.615 di minorenni.

Ma in quali zone d’Italia scompaiono con più frequenza adulti e bambini?


La Regione dove il fenomeno è più ricorrente è il Lazio con 6.580 persone scomparse. La Lombardia è seconda con 3.500 seguita a ruota da Campania (2.943), la Sicilia (2.648) e la Puglia (869).

Al 31 dicembre 2012, al Ministero dell’Interno, risultavano scomparse 26.081 persone tra cui 9.538 italiani e 16.543 stranieri e tra questi cui 15.161maggiorenni e 10.920 minorenni.

Ma quante sono le persone in più da rintracciare rispetto al 2012? Al 30 giugno scorso erano 919, 250 persone scomparse in più rispetto all'anno precedente. Basti sono pensare che i dati al 31 dicembre 2012 segnavano “già” 1.169 uomini, donne e bambini in più rispetto al 31 dicembre 2011.

Infine, ci sono gli italiani che svaniscono nel nulla in territorio straniero. Secondo i dati del Commissario straordinario per le persone scomparse, sono 158 gli italiani scomparsi all’estero, dei quali 118 maggiorenni, 17 over 65 e 23 minorenni.
 

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[IMG2=JSON]{"alt":"traffico di esseri umani","data-align":"none","data-size":"full","src":"https:\/\/www.osservatoriodiritti.it\/wp-content\/uploads\/2017\/10\/traffico-di-esseri-umani-3.jpg"}[/IMG2]
BAMBINIDISCRIMINAZIONE [h=1]Traffico di esseri umani fa razzia di bambini[/h] [h=2]Ogni giorno in India 100 bambini finiscono nella rete dei trafficanti. Un fenomeno in veloce aumento, soprattutto nel Nordest. E in 2 casi su 3 sono le bambine a finire nelle mani dei trafficanti[/h] di Sara Milanese 18 ottobre 2017
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Ogni notte ci sono decine di persone che bivaccano all’interno delle stazioni di Calcutta, in attesa di salire sul proprio treno. Lo scorso 15 giugno, nella stazione ferroviaria di Sealdah, c’era anche una famiglia di tre persone, accampata vicino alla piattaforma numero 14. Al risveglio però, i genitori non hanno più trovato la figlia di 3 anni. Durante la notte, tra le 3 e le 5 del mattino, qualcuno era riuscito a rapire la bambina che dormiva tra loro. Nessun testimone del sequestro tra chi si trovava in stazione, nessuna traccia del rapitore nelle immagini delle telecamere a circuito chiuso della stazione: la piccola si è volatilizzata. Di lei, come di altre migliaia di bambini indiani che ogni anno scompaiono, si sono perse le tracce. Molti di loro sono purtroppo vittime del traffico di esseri umani.
[h=2]35 mila bambini vittime del traffico di esseri umani[/h]
Secondo l’Indice globale della schiavitù (Global Slavery Index), ogni anno sono 35 mila i bambini indiani che finiscono nella rete dei trafficanti, anche se il dato è solo stimato. I rapimenti, infatti, non sempre sono collegati alla tratta. In molti casi, inoltre, sono i genitori stessi a cedere i figli a intermediari in cambio della promessa di far trovar loro un lavoro in città.

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Lo stato del Bengala Occidentale, facilitato dal confine con il Bangladesh, registra un’alta incidenza di casi di traffico minorile: il 37 per cento. La percentuale su base nazionale di traffico di donne è ancora più alta, pari al 42 per cento, e per loro la destinazione è Mumbai, Chennai o Dubai.

Una ricerca realizzata dal National Crime Records Bureau (Ncrb, agenzia governativa indiana) relativa all’anno 2015, registra un’impennata del 250% di traffico minorile negli stati del nordest, con il picco nello stato di Assam, con casi più che triplicati dal 2014 al 2015. In 2 casi su 3 a finire nelle mani dei trafficanti sono bambine.
[h=2]Il presidente Modi tenta con la “demonetizzazione”[/h]
Poche le iniziative che a livello politico riescono a contrastare i trafficanti. La “demonetizzazione”, decisa dal presidente indiano Narendra Modi, e imposta nel novembre 2016, aveva tra i suoi obiettivi quello di sradicare l’evasione distruggendo la ricchezza accumulata grazie al mercato nero, colpendo direttamente anche il traffico di droga e lo sfruttamento della prostituzione. In tutto il Paese sono state ritirate dalla circolazione tutte le banconote da 500 e 1.000 rupie e alla popolazione è stato concesso un brevissimo periodo di tempo per convertirle.

In effetti i riflessi dell’iniziativa sulle attività illecite furono immediati, con una riduzione stimata fino al 90% del volume economico del traffico di droga e della prostituzione. A questa breve fase di stallo del mercato nero (poco più di un mese), è seguita però una rapida impennata: la demonetizzazione è pesata soprattutto sulle spalle dei più poveri, spingendo ragazze sempre più giovani nel mercato del sesso, e costringendo le donne già nel settore a lavorare quasi gratuitamente. Una volta superato lo shock iniziale, già dopo un paio di mesi dall’operazione di Modi, i dati legati al mercato interno indiano indicavano che l’economia nera era in ripresa.
[h=2]Caritas: sequestri di bambini in crescita nel Nordest[/h]
Tra luglio e agosto 2017 le alluvioni portate dai cicloni hanno causato solo in India 800 morti, tra gli stati di Bihar, Assam e Nord Bengala. Nel solo Assam l’acqua ha letteralmente cancellato 2.500 villaggi. Con oltre mille ettari di campi allagati, l’agricoltura di tutta la regione è in ginocchio, e tra le organizzazioni umanitarie è scattata immediata la corsa agli aiuti, anche per evitare una ennesima migrazione di massa.

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La Caritas locale ha però rivelato che, nel monitoraggio iniziato subito dopo la catastrofe, l’alluvione ha causato una migrazione disperata dei membri delle famiglie, e, anche a causa dell’alto numero di dispersi, molti bambini sono stati facilmente attirati dai trafficanti.

La povertà diffusa, la disoccupazione e, non da ultimo, la vicinanza al confine internazionale, sono caratteristiche che oggi fanno della regione nordorientale dell’India“l’hub” ideale per il fenomeno della tratta. In particolare, con il 38% dei casi di minori trafficati in tutto il Paese, è l’Assam il nuovo fulcro dei sequestri di bambini.
[h=2]Nepal, Myanmar, Bangladesh: la rete del traffico indiano[/h]
In un recente report, Caritas India lancia un duplice allarme: il traffico di donne e bambini che parte da questa regione nordorientale dell’India si snoda anche attraverso i confini di Myanmar, Bangladesh e Nepal. Per il Nepal questa è una piaga causata dal devastante terremoto del 25 aprile 2015, che ha causato 9 mila morti, distrutto più di 700 mila case e lasciato oltre 3 milioni di persone in estremo bisogno di aiuto. Vittime della tratta sono soprattutto le appartenenti a minoranza etniche come i tamang, i rai o thakuri, a causa della bellezza della loro pelle chiara.

Le donne e i minori nepalesi vengono venduti all’India e alla Cina per sfruttamento sessuale, ma sempre più frequentemente si registrano casi di “donne di conforto”, comprate da militanti islamisti. Si stima che 300 donne nepalesi siano finite in Siriadall’inizio del conflitto siriano.

Secondo la Commissione nazionale per i diritti umani, negli ultimi due anni almeno 16 mila donne sono state salvate dalla tratta, 13 mila sono state trafficate in diversi paesi, mentre le stime dell’Unicef parlano di un numero tra 12 mila e 15 mila minori trafficati dal Nepal verso l’India.
 

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[h=1]I minori e il popolo fantasma: in Italia scompare un bambino ogni due giorni[/h] By
redazione tre
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25/05/2018
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Oggi si celebra la giornata dei bambini scomparsi e i dati che vengono promulgati da Telefono Azzurro sono davvero impressionanti: in Italia scompare un bambino ogni due giorni, quattro su cinque non vengono più ritrovati. Lo scorso anno sono state ben 177 le segnalazioni di scomparsa giunte al numero europeo dedicato, il 116000, e di questi solo 30 sono stati ritrovati. Quello che si ritiene è questi siano dati espressi per difetto, visto che non sempre le sparizioni di minori vengono denunciate. Questo succede soprattutto quando si parla di migranti, giunti da soli in Italia, una percentuale questa che supera il 60% del totale dei casi.

Il 2017 è stato uno degli anni più drammatici dall’attivazione del servizio 116000, con 3,5 denunce di scomparsa a settimana. La fuga da casa, spesso di minori che si ritrovano in contesti familiari caratterizzati da abuso e violenza, ha un’incidenza del 12,4% e rappresenta la seconda causa di sparizione. Nella nostra Penisola la Regione che fa registrare il numero più alto del totale (circa un quarto dei casi) è il Lazio, seguito dalla Lombardia. La situazione sembra essere più controllata al Sud e nelle isole.

Dal lontano 2011 sono state ben 1,2 milioni le chiamate ricevute per bambini scomparsi in tutta Europa. La situazione più grave viene registrata in Romania e in generale nell’Europa dell’est. In base ai dati forniti da Europol, ogni anno almeno 10.000 minori stranieri non accompagnati scompaiono in Europa poche ore dopo il loro arrivo e di questi pochissimi vengono ritrovati. Dallo scorso maggio è attivo il progetto Amina, che comprende la gestione di Minila, una app gestita in Italia da Sos Il Telefono azzurro onlus presentata oggi a Roma, che fornisce ai minori stranieri tutte le informazioni sui loro diritti, sui servizi a loro disposizione. Uno strumento che garantisce un pasto, un posto per dormire o il wifi.

Dario Caputo
 

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[h=3]Vatileaks, arriva la “nota spese” vaticana per il rapimento Orlandi [/h]
I quotidiani Repubblica e Corriere della Sera divulgano un documento che appare confezionato come una “patacca”, contenente il rendiconto del quasi mezzo miliardo di lire che la Santa Sede avrebbe speso per gestire la permanenza all’estero di Emanuela. La Segreteria di Stato smentisce: «Notizie false e prive di fondamento»
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Il poster affisso sui muri delle strade di Roma dopo la scomparsa di Emanuela Orlandi il 22 giugno 1983


Pubblicato il 18/09/2017
Ultima modifica il 22/09/2017 alle ore 12:24
ANDREA TORNIELLI
CITTÀ DEL VATICANO

Che il caso di Emanuela Orlandi, la giovanissima figlia di un dipendente vaticano scomparsa misteriosamente nel centro di Roma nel giugno 1983, sia un mistero mai chiarito intessuto di ricatti e depistaggi, è un fatto oggettivo e ben documentato. Che tra le persone a vario titolo coinvolte nella triste e oscura vicenda – trasformatasi in un caso internazionale con l’interesse dei servizi di intelligence di mezzo mondo e presunte connessioni con l’attentato a Papa Wojtyla e la vicenda Ior-Ambrosiano – vi sia chi non ha ancora raccontato tutta la verità, è altrettanto certo. Ora la storia si arricchisce di un nuovo capitolo, un documento destinato ad aumentare confusione e veleni.

[h=1]22 giugno 1983: scompare a Roma Emanuela Orlandi, il caso in un minuto[/h]
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ANSA


Lo hanno pubblicato in contemporanea la Repubblica online (come anticipazione di un nuovo libro del giornalista dell’Espresso Emiliano Fittipaldi) e Il Corriere della Sera cartaceo, con articoli nei quali già si ammette che potrebbe trattarsi di un falso depistante. Si tratta di un documento su carta semplice, senza intestazioni ufficiali, né timbri né firme manoscritte, composto da cinque pagine e datato marzo 1998, intitolato «Resoconto sommario delle spese sostenute dallo Stato Città del Vaticano per le attività relative alla cittadina Emanuela Orlandi (Roma 14 gennaio 1968)». A redigerlo – indirizzandolo all’allora Sostituto della Segreteria di Stato Giovanni Battista Re e per conoscenza all’allora “ministro degli Esteri” Jean Louis Tauran - sarebbe stato il cardinale di origini novaresi Lorenzo Antonetti, dal 1995 alla fine del 1998 Presidente dell’APSA (l’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica, che funge anche da ente pagatore del Vaticano).



La lettera sarebbe stata accompagnata da 197 pagine di fatture e giustificativi (non più presenti), contiene l’inquietante rendiconto delle spese che il Vaticano avrebbe sostenuto per gestire il rapimento di Emanuela Orlandi e la sua permanenza all’estero, in vari convitti, nonché le spese sborsate per indagare su un dichiarato “depistaggio”, per le indagini private, per non meglio precisate (e milionarie) attività espletate dall’allora Segretario di Stato Agostino Casaroli e dall’allora Vicario di Roma Ugo Poletti.


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Il documento su carta semplice, senza intestazioni ufficiali, né timbri né firme manoscritte, composto da cinque pagine e datato marzo 1998, intitolato «Resoconto sommario delle spese sostenute dallo Stato Città del Vaticano per le attività relative alla cittadina Emanuela Orlandi (Roma 14 gennaio 1968)»



Innanzitutto, viste le date sommarie poste all’inizio delle singole pagine, si afferma che le attività sarebbero iniziate nel gennaio 1983, dunque mesi prima della scomparsa della ragazza: quasi un’ammissione del fatto che il Vaticano era coinvolto nell’organizzazione del rapimento. Si parla di milioni messi a disposizione di Teofilo Benotti per gestire i rapporti con la stampa interessata al caso, di spese per visite ginecologiche, di trasferte che all’allora capo dei Gendarmi vaticani, Camillo Cibin, a Londra, in compagnia del medico personale del Papa Giovanni Paolo II, Renato Buzzonetti: si presume per visitare la Orlandi. Infine, altro aspetto inquietante, è rappresentato dalle spese finali, datate 1997: «Attività generale e trasferimento presso Stato Città del Vaticano, con relativo disbrigo pratiche finali: L. 21.000.000». Il che lascerebbe supporre che nel 1997 Emanuela sia arrivata Oltretevere e da qui mai più uscita.



Da dove proviene questo testo? Dall’archivio di monsignor Lucio Vallejo Balda, il prelato spagnolo nominato segretario della Prefettura per gli Affari economici della Santa Sede e divenuto anche segretario della commissione COSEA che tra il 2013 e il 2014 fece uno screening sui conti e la gestione amministrativa di enti e dicasteri vaticani. Vallejo Balda, che volle la pr Francesca Immacolata Chaouqui al suo fianco nella commissione, è stato con lei protagonista (e imputato) di Vatileaks 2, il processo vaticano seguito alla pubblicazione in due libri usciti contenenti tutte le carte della commissione.



Secondo le fonti consultate da Vatican Insider, Balda conservava quel documento e dopo lo strano furto con scasso subito negli uffici della Prefettura 29 e il 30 marzo 2014, aveva confidato a più persone che tra il materiale trafugato c’era anche un dossier su Emanuela Orlandi. Sempre da quanto risulta a Vatican Insider, il dossier non era però presente nel plico di carte restituite alla Prefettura dopo il furto, e rimesse al loro posto da Vallejo Balda.



Va detto subito, a scanso di equivoci, che se il contenuto del dossier fosse vero, e cioè se i vertici della Santa Sede davvero avessero avuto un ruolo determinante nella gestione del rapimento e dell’occultamento di Emanuela, continuando a nascondere la verità, il Vaticano dovrebbe essere non riformato, ma definitivamente chiuso: non si sta infatti qui parlando di nepotismi, dell’assunzione di parenti, di affari poco chiari, di appalti gonfiati per la ristrutturazione di appartamenti, di deviazioni sessuali (tutte pratiche, sia chiaro, esecrabili, da condannare e da perseguire). Si sta parlando di reati gravissimi tali da richiamare l’epoca dei Borgia.



Se si prende però in esame il documento, i conti che non tornano sono tanti. A cominciare dall’intestazione: il cardinale Antonetti, veterano della diplomazia curiale e già nunzio a Parigi, si sarebbe rivolto all’arcivescovo Re chiamandolo «Sua Riverita Eccellenza…». Ora, in Vaticano anche gli uscieri assunti da una settimana sanno che lo spagnolesco e vetusto codice dei titoli episcopali prevede che a un vescovo ci si rivolga chiamandolo «Sua Eccellenza Reverendissima». Inoltre, il secondo nome di monsignor Tauran è scritto sbagliato: Luis invece di Louis (e questo è altrettanto strano da parte di un capo-dicastero che scrive a un’alta personalità della Segreteria di Stato: l’ex nunzio in Francia avrebbe dimenticato il francese). Ma i dubbi veri sono di sostanza. Ammettiamo per un istante che la sostanza dei fatti riferiti sia vera. Per quale motivo nel 1998, con un’inchiesta della magistratura romana ancora in corso, i vertici della Santa Sede coinvolti (in questo caso la Segreteria di Stato) avrebbe chiesto all’APSA un rendiconto completo delle spese dell’operazione, con fatture e pezze d’appoggio senza nomi in codice, aumentando così il numero delle persone informate sui fatti e le possibili fughe di notizie? E ancora, sempre supponendo che la sostanza sia vera, per quale motivo la Segreteria di Stato avrebbe gestito un’operazione del genere usando l’APSA come ente pagatore, e non utilizzando invece i fondi riservati (Fondo Paolo VI) a sua disposizione per le emergenze?



Tutto lascia dunque intendere che il documento sia falso (a meno di non pensare che il cardinale Antonetti lo abbia volutamente fabbricato con errori per farlo passare per falso). Quello che è certo è che si trovava nell’archivio di monsignor Balda e che dunque qualcuno l’aveva confezionato e l’aveva consegnato a lui. Ovviamente un testo del genere viene fabbricato per depistare o per ricattare, mescolando particolari veri o verosimili, con altri che sono inventati.



Il cardinale Giovanni Battista Re, presunto destinatario di quelle carte, ha dichiarato al blog Stanze Vaticane del Tgcom24: «Non ho mai visto quel documento pubblicato da Fittipaldi, non ho mai ricevuto alcuna rendicontazione su eventuali spese effettuate per il caso di Emanuela Orlandi».Mentre il portavoce vaticano, Greg Burke, ha definito «falsa e ridicola» la ricostruzione pubblicata come anticipazione del libro di Fittipaldi su Repubblica, un comunicato della Sala Stampa della Santa Sede diffuso in serata afferma che: «La Segreteria di Stato smentisce con fermezza l’autenticità del documento e dichiara del tutto false e prive di fondamento le notizie in esso contenute. Soprattutto rattrista che con queste false pubblicazioni, che tra l’altro ledono l’onore della Santa Sede, si riacutizzi il dolore immenso della famiglia Orlandi, alla quale la Segreteria di Stato ribadisce la sua partecipe solidarietà».



Resta un dato di fatto: a cinque anni dall’elezione di Papa Francesco dopo un conclave che aveva messo a tema la volontà di chiudere con i miasmi e i veleni curiali emersi nel primo Vatileaks, la stagione delle fughe di documenti e dei depistaggi non sembra affatto conclusa. Anzi, si tratta di attività fiorente come non mai.
 

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[h=1]Roma, tentato rapimento di un neonato
«Così quella donna mi ha rubato il figlio»
Parla la madre aggredita in metro
[/h] PLAY FOTO Tentato rapimento di neonato a Roma, la madre del piccolo (Foto Caprioli/Toiati)
di Laura Bogliolo
Stringe forte Giuseppe, lo coccola, lo rassicura. �Mai pi� nessuno prover� a portarti via da me� sussurra a quel fagottino di otto mesi avvolto in unatutina blu. In un piccolo appartamento all’ultimo piano di una palazzina a Vicovaro, si prova a dimenticare la paura. «Lo ha preso per un piedino e lo ha tirato verso di lei». Lo choc. «Non capivo cosa stesse accadendo, è successo tutto in pochi secondi». La rabbia. «Quella donna continuava a tirare verso di sè mio figlio». Poi il crollo: «Non capivo più niente, mi sono accasciata su una panchina».



Giovanna Crielesi, 36 anni, lunedì scorso si trovava nella stazione di Ponte Mammolo, a Roma.

«Ero con mio figlio Giuseppe, dovevamo prendere il pullman per tornare a casa, a Vicovaro. Ero andata a trovare il mio compagno, Antonio, il papà di Giuseppe: fa il pizzettaio in un ristorante in centro e spesso rimane a dormire a Roma. A Giuseppe mancava il papà, diceva «papo, papo» così ho deciso di andare a trovarlo. Nel pomeriggio, verso le 17, sono andata nella stazione di Ponte Mammolo per prendere il pullman per tornare a casa».



Poi cosa è successo?

«Ho deciso di cambiare Giuseppe prima di affrontare il viaggio verso Vicovaro: sono andata nella sala d’attesa della stazione e l’ho adagiato su una panchina, lo avevo fatto già tante altre volte. Avevo visto quella donna entrando in stazione, mi fissava, non mi piaceva. Ho iniziato a cambiare Giuseppe e all’improvviso l’ho visto scivolare via sulla panchina: quella donna gli ha afferrato un piedino, un calzino si è tolto, sono stati istanti di terrore. Mi ha strappato via mio figlio con forza, sono riuscita a riprenderlo mentre lei continuava a strattonarlo».



Ha visto la donna avvicinarsi?

«No, ero chinata verso mio figlio, ho visto soltanto un braccio che si allungava e che trascinava via Giuseppe per un piedino. Ho reagito d’istinto, ho ripreso Giuseppe, mi sentivo svenire e ho sentito gridare: erano due ragazzine che avevano visto tutto e sono intervenute».



Cosa hanno fatto le due ragazze sedicenni?

«Mi hanno aiutata, sono riuscite a fermare la donna. Poi sono arrivate le guardie giurate che hanno bloccato la donna e chiamato i carabinieri che sono subito arrivati e che mi hanno aiutato tantissimo. Vorrei fare un appello: incontrare le due ragazze per abbracciarle, sono state degli angeli. Stavo male e non ho potuto ringraziarle».



La donna, di nazionalità bulgara, risulta residente in un campo nomadi a Striano, provincia di Napoli, ora è in carcere. La perdonerà mai?

«Mai, non voglio più sapere niente di lei, non voglio neanche vederla, né conoscere i motivi di quel gesto. Le forze dell’ordine mi hanno detto che alle 13.30 sempre nella stazione di Ponte Mammolo aveva provato a prendere un altro bambino che stava su un passeggino. Sa cosa si prova a vedere il proprio figlio portato via? Lo sa? Ci si sente morire, ho ancora gli incubi».



Come sta Giuseppe?

«Ha paura, ogni tanto piange, lo devo prendere in braccio per farlo tranquillizzare. Spero possa dimenticare tutto molto presto. Pensi sempre che non possa succedere a te».



Cosa prova?

«Provo rabbia, paura, non riesco a smettere di piangere: devo scuotere la testa per smettere di vedere lo sguardo di quella donna. E voglio dire a tutte le mamme di stare attente, di non distrarsi neanche per un secondo, di non lasciare mai i propri bimbi. È un’esperienza orribile: nessuno merita di perdere il proprio figlio».
 

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[h=1]Rom circondano un papà e tentano di rapire neonata[/h] [h=2][/h]
Due rom hanno tentato di rapire una neonata di 7 mesi. Mentre il padre preparava il seggiolone hanno preso di mira il passeggino

Gabriele Bertocchi - Mar, 07/06/2016 - 11:28
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"Aveva le mani nella carrozzina di mia figlia". È il racconto di Simona Uguzzoni, mamma di una bambina di 7 mesi, che ha sporto denuncia dopo che due rom hanno tentato di rapire la piccola dal passeggino a Vignola, in provincia di Modena


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[h=2]Le due rom e il tentativo di rapimento[/h]
"Due zingare hanno tentato di sottrarre mia figlia dal passeggino". Lo scrive su Facebook per avvertire amici e conoscenti che hanno figli. Poi dalle pagine de Il Giorno racconta la drammatica sequenza di eventi che per poco non le hanno portato via la figlia. Eventi che hanno il volto di due donne zingare. "Mio marito era uscito di casa nei pressi della stazione delle corriere con la piccola e stava per salire in auto. Ha appoggiato l’ovetto a fianco dell’auto per aprire la portiera e metterla a bordo". Prosegue con voce cola d'angoscia: "Non appena però ha appoggiato a terra il seggiolino, è sbucata una donna con un fazzoletto legato in testa che ha iniziato a parlargli in un italiano molto stentato".

Spiega che il marito ha visto un'ombra dietro di lui, "e infatti c’era un’altra donna (sempre col foulard) chinata sulla bimba che manovrava: la sua netta sensazione è che stesse cercando di sottrarla dall’ovetto". Le due rom hanno subito rpeso di mira la carrozzina con la piccola. Il marito della donna però non ha reagito prontamente: "Con un calcio ben assestato l’ha respinta e poi si è fiondato sulla piccola per vedere come stesse". Nessun trauma per la neonata. Così, come racconta sul quotidiano, "ha caricato nostra figlia sull’auto ed è partito alla ricerca delle donne".

Un ricerca vana: le due donne zingare si sono dileguate, "sembra si siano volatizzate" precisa la madre della bambina. Un dettaglio sospetto che ha portato i genitori ha pensare che "qualcuno nei paraggi fosse pronto con un’auto: ma questa è solo una nostra supposizione".
[h=2]La denuncia[/h]
L'accaduto è stato subito segnalato alle forze dell'ordine. Ora la donna ha solo molta paura. "Non riesco a non pensare che se ci fossi stata io al suo posto sarebbe potuta finire diversamente. E l’idea non mi dà pace. Ora temo ogni volta che esco di casa con mia figlia e questo non è giusto. Noi cittadini abbiamo il diritto di non sentirci e vivere in costante pericolo".
 

Alien.

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'ANNIVERSARIO [h=1]Vaticano, la vergogna su Emanuela Orlandi dopo 35 anni: perché la Chiesa tace ancora[/h]
22 Giugno 2018
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Oggi sono 35 anni dalla sparizione di Emanuela Orlandi. Libero non è un giornale da anniversari, ma l' occasione si presta per manifestare un certo disagio verso le autorità preposte a ritrovarla: viva o morta, ma la madre ha diritto di sapere, o almeno di mettersi il cuore in pace all' idea che si è fatto di tutto se non per riportarla a casa almeno perché si conosca il suo destino. Invece niente. Città del Vaticano e Italia sono due Stati che hanno fallito. Il problema è che non danno nemmeno l' impressione di averci provato sul serio.

Leggi anche: Scomparsa Orlandi, Nuzzi pubblica l'intercettazione tra le guardie vaticane prima dell'interrogatorio

La storia per sommi capi. Il 22 giugno del 1983 Emanuela, cittadina del Vaticano, studentessa al Conservatorio situato vicino al Senato della nostra Repubblica, non tornò a casa dalla lezione di flauto traverso. Fu presto chiaro che si trattata di un rapimento e non della fuga di un' adolescente. La famiglia era modesta, il padre Ercole era un messo senza potere negli uffici della Curia. In realtà tutti compresero presto che la famiglia a cui si era sottratta una figlia non erano gli Orlandi, ma era quella del Papa. Ci furono telefonate oscure, misteriosi personaggi "americani" si misero in contatto con la Segreteria di Stato, in particolare con Agostino Casaroli. Alì Agca, il killer turco che aveva ferito Giovanni Paolo II il 13 maggio del 1981, fece capire di saperla lunga, e propose uno scambio: io libero in cambio della ragazza. Mentiva? Assai probabile. Finché emerse una pista dove si mescolavano tutti i cattivi del mondo conosciuto: la banda della Magliana, Cosa Nostra, la P2, lo Ior e Marcinkus, forse la Cia, e - se è vero che Agca si mosse per eliminare un avversario di Mosca - pure il Kgb. Non sto ripetendo una litania a caso.
È un elenco di sospetti ciascuno dei quali ha provveduto a lasciare tracce, in una sequenza di fatti e di nomi che legano l' attentato a Wojtyla, i mandanti comunisti dei colpi di pistola, i presunti finanziamenti a Solidarnosc tramite Ior coi soldi di Cosa Nostra, e infine la banda della Magliana come esecutrice materiale del sequestro e della sparizione della povera Emanuela.

LO STRAZIO DEI FAMILIARI
Da quel giugno 1983 è stato uno strazio, solo confortato dalle visite personali di Giovanni Paolo II nella casa delle angosce. Il padre è morto, la madre Maria da allora vive nell' angoscia, mai rassegnata, il fratello Pietro sta conducendo una battaglia per impedire che la sorte della sorella sia sigillata in archivio.

Ora che c' è da aggiungere? La magistratura italiana, competente per due ragioni: il Concordato e il luogo del sequestro, ha chiuso tutto, sostenendo che il Vaticano non ha collaborato. Il Vaticano, di cui Emanuela era anzi sperabilmente è cittadina, si è chiuso nel silenzio, sostiene di non avere alcun dossier sul caso, tramite il Sostituto Segretario di Stato e quasi cardinale (riceverà la porpora nel concistoro del 29 giugno) Giovanni Angelo Becciu, ha detto che il caso è chiuso. E che la Santa Sede nulla sa. Ma come mai allora Papa Bergoglio salutando Pietro Orlandi disse sicuro: «Emanuela sta in cielo». Quello è il posto dell' anima, ma il corpo? Carte riservate, citate dall' Espresso, riferiscono di una tomba anonima nel cimitero teutonico dentro le mura leonine. E di una presunta morte a Londra. Una ricostruzione smentita dal Vaticano. Ma come si vede il caso non può essere chiuso. Perché il Papa, che nega risolutamente di essere un mistico, è tanto sicuro del decesso di Emanuela, che avrebbe solo 50 anni?

La madre di Emanuela, Maria Orlandi ha incaricato uno dei rari avvocati accreditati presso il Tribunale del piccolo stato di non lasciar dormire la verità. Così Laura Sgrò dello "Studio legale Bernardini de Pace" sta provando a smuovere le montagne, per cui secondo il Vangelo basterebbe avere un granello di fede, ma qui ce ne vuole un quintale...

1) Un anno fa, giugno 2017, la Sgrò fece una "istanza di accesso agli atti" al Segretario di Stato, cardinal Pietro Parolin, e a oggi ufficialmente non ha risposto nessuno. La dichiarazione a mezzo stampa del sostituto, che dichiara il caso chiuso, non è propriamente il massimo della trasparenza giuridica, quasi a non voler far cantare le carte. Domanda: non sarebbe il caso che il Segretario di Stato aprisse quantomeno un dialogo con l' avvocato della famiglia? Vedi alla voce carità cristiana verso le anziane madri.

2 ) Novembre 2017. L' avvocato Sgrò presenta denuncia di scomparsa presso la gendarmeria vaticana - mai presentata fino a quel momento, essendo stata delegata la questione alle autorità italiane - e a oggi i magistrati vaticani non hanno mosso un dito, un foglio, una piuma. Nonostante la magistratura italiana, tra le altre cose, abbia indicato a chiare lettere attraverso tre richieste di rogatoria sin dal 1994 le persone (alti prelati, alcuni ancora in vita) dentro lo Stato Vaticano che giudicava indispensabile sentire. Alle rogatorie non fu mai dato seguito. Il Vaticano si è sempre trincerato dietro un silenzio assoluto.

3)Fonti confidenziali hanno indicato alla legale degli Orlandi, il boss di Cosa Nostra Pippo Calò, recluso nel carcere di Opera dal 1985 al 41 bis, come persona informata sui fatti. Era l' uomo di collegamento tra la mafia siciliana e la banda della Magliana. Calò ha risposto all' avvocato di voler parlare, e abbiamo la lettera autografa che spiega come facilitare la cosa. E la domanda della Sgrò al tribunale di sorveglianza di poterlo incontrare data aprile.

A oggi nessuna risposta. Non è un detenuto "normale", il Calò. È un super carcerato, e ai termini di legge c' è bisogno di un ok del ministero dell' Interno. Pippo Calò - si badi - ha quasi 87 anni, ogni giorno è prezioso. Ha la stessa età di Maria, la madre di Emanuela, che avrebbe diritto ad una qualche forma di giustizia, avendo speso buona parte della sua vita nella finora vana ricerca di sua figlia. Calò ha anche tutti i procedimenti passati in giudicato, per cui qualunque cosa possa o voglia dire non addolcirà la sua posizione, non ha interesse a mentire. Per quale motivo vige il veto di ascoltarlo?

L' APPELLO A SALVINI
Il tempo è nemico della verità e allora mi permetto un appello a Salvini, ministro degli interni, da cui dipende il 41 bis e al ministro della Giustizia, Bonafede. Prima gli italiani, ovvio. Ed Emanuela Orlandi e sua mamma sono cittadini vaticani, ma non è il caso di fare tutto il possibile per dare un segno della presenza delle istituzioni accanto alla famiglia? Oltretutto, lo scorso ottobre il senatore Vincenzo Santangelo (M5S), adesso sottosegretario ai rapporti col parlamento, ha presentato un disegno di legge per istituire una commissione di inchiesta sul caso Orlandi, con la promessa di riproporlo a nuova legislatura. Bene, ora i 5 stelle sono al governo, non sarebbe ora di cominciare a mantenere le promesse elettorali, su un caso minore, ma che per una madre è gigantesco più di una stella, più di una galassia?

di Renato Farina
 

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