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Ira del Vaticano

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[h=1]Salvini: «Abbattere i campi rom». Ira del Vaticano. Il leghista sospeso da Facebook per aver usato il termine ‘zingari’[/h]
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"Cosa farei io al posto di Alfano e Renzi? Con un preavviso di sfratto di sei mesi, raderei al suolo i campi rom". Invocando l'intervento delle ruspe, Matteo Salvini va giù duro con le parole, anche se la sua idea sui campi nomadi è sempre la stessa da anni. E non è mai cambiata. Per le sue dichiarazioni, il segretario della Lega si è attirato le ire anche del Vaticano. "Sono posizioni estreme, assurde, come quelli che dicono ‘I musulmani? Li ammazzerei tutti’ o ‘I migranti? Vadano tutti a casa loro’", ha commentato il cardinale Antonio Maria Vegliò, capo dicastero vaticano per i migranti. "Cosa vogliamo pretendere da Salvini? Lo fa per scopi elettorali – ha aggiunto – Sa che quando dice queste cose la percentuale degli amici aumenta". Dijana Pavlovic, portavoce della Consulta Rom e Sinti, ha cercato di spiegare che i campi non sono stati inventati da chi ci abita ma dalla politica che fa le leggi. "Dopo che ci hanno segregato per 30 anni – ha detto – ora pensano di mandarci via con le ruspe? Devono solo provarci". Ma la polemica è soprattutto politica. La presidente della Camera, Laura Boldrini, ha definito le parole del leader della Lega "inquietanti". Pur ritenendo necessaria un'alternativa ai campi rom, a suo giudizio ci si arriverà "non certo annientando chi ci abita ma individuando una politica abitativa e senza mettere in atto alcuna discriminazione". Il diretto interessato si è fatto scivolare le accuse addosso. "Sono stupito dello stupore dei giornali, sono cose che dico da tempo", ha risposto Salvini durante una conferenza stampa in cui ha presentato la nuova mobilitazione leghista: una gazebata sabato e domenica in mille piazze per chiedere agli italiani di farsi riconoscere come rifugiati politici nel loro stesso Paese che li discriminerebbe rispetto ai clandestini. "I rom devono avere gli stessi diritti e gli stessi doveri di tutti gli italiani – ha spiegato così le sue parole sulle ruspe – Solo la Boldrini può rimanere inquietante. Anzi, è inquietante che la Boldrini sia presidente della Camera". Un copione, in fondo, già visto. E che probabilmente si ripeterà. L'ultima volta che il leader della Lega ha visitato un campo rom per chiederne lo sgombero è stato appena giovedì, al Gratosoglio di Milano. "Fossi sindaco, chiuderei tutti i campi in sei mesi", dichiarò Salvini. Ma di quel blitz alle cronache è passata solo l'immagine di un maiale che aveva cercato di evitare di farsi fotografare con lui. Fino alla polemica di oggi che, quasi ironizzano i 5 Stelle, è figlia di una decisione leghista: "nel 2009 – dice dando del bugiardo a Salvini il capogruppo Andrea Cioffi – è stata proprio la Lega a finanziare i campi nomadi, per mano di Roberto Maroni. Fu infatti l'allora ministro dell'Interno – continua il senatore pentastellato – a firmare in quell'anno i decreti emergenziali con i quali si finanziava anche il famigerato 'Piano nomadi' con uno stanziamento da 60 milioni di euro". Non arretra di un passo, Matteo Salvini, dopo la bufera scoppiata per le sue parole sui campi rom ("li raderei al suolo") e annuncia, tra l'altro, di essere stato sospeso da Facebook per 24 ore per aver usato il termine 'zingari'. "Facebook – dice a Radio Padania – mi ha sospeso per 24 ore perché ho usato la parola zingari che usava mia nonna". Il segretario della Lega ha definito anche "ipocrita" l'Italia, dopo le polemiche per le sue parole sui campi rom da "radere al suolo". Il leader del Carroccio, tra l'altro, torna a usare parole forti e parlando di nomadi sostiene che a suo avviso andrebbero "tolti i figli ai genitori che li fanno rubare". "Se andiamo al governo – ha detto – mando il preavviso di sfratto e poi rado al suolo tutto". Il segretario della Lega ha aggiunto di "pensare anche a quelle migliaia di minorenni costretti a rubare e a fa e gli accattoni, che dovrebbero essere sottratti ai genitori. Mi chiedo dove sono gli assistenti sociali? Li manderei nei campi rom prima di chiuderli". In più il leader del Carroccio dice di non curarsi troppo delle critiche piovute dal Vaticano per le sue frasi sui campi rom. "Sentire certe parole in bocca a un vescovo mi fa tristezza. Se avessi peccato, compito di un vescovo sarebbe di riportarmi sulla retta via, non di insultarmi". "Ma io – ha aggiunto a Radio Padania – parlo coi parroci di provincia, non coi vescovoni che vivono in 300 metri quadrati, magari anche coi camerieri". (Ansa)
 
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[h=1]Il cardinale Re: “Lo stupro di un minore è meno grave dell’aborto”[/h] 12 giugno 2015 06:49 16
[IMG2=JSON]{"alt":"cardinale re","data-align":"none","data-size":"full","height":"213","width":"350","src":"http:\/\/www.articolotre.com\/wp-content\/uploads\/2015\/06\/cardinale-re-350x213.jpg"}[/IMG2]-L.M.- Il Vaticano in un comunicato stampa ha ufficialmente espresso la volontà di fare della Chiesa “un luogo sicuro per i bambini”, lo stesso papa Francesco scrisse che "Le famiglie devono sapere che la Chiesa fa ogni sforzo per tutelare i minori".

Il cardinale Giovanni Battista Re potrebbe partecipare al Sinodo che si terrà nell’ottobre 2015 a Roma, la vicenda che lo vede coinvolto merita una riflessione.

Nel 2009, in Brasile, una bambina di nove anni viene regolarmente violentata dal patrigno e rimane incinta. La legge brasiliana consente l’aborto in caso di stupro o di grave pericolo per la salute della madre, in questo caso doppiamente vero e la bimba abortisce.

L’allora arcivescovo di Recife scomunica la piccola, la madre e il personale medico che ha praticato l’interruzione di gravidanza.


Il patrigno, lo stupratore, il criminale, non è stato scomunicato, perché il cardinale Re dichiara “Lo stupro è meno grave dell’aborto”.

Il patrigno, lui, lo stupratore, criminale, non è stato scomunicato, disgustoso.

 

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BREAKING NEWS, RELIGIONE [h=1]CORRIERE VATICANO: AVEVA DROGA E VIDEO PEDOFILI, MA NON PARLA[/h] DICEMBRE 17, 2017 VOX LASCIA UN COMMENTOCondividi!
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Era appena uscito dal suo ufficio nella Santa Sede quando i Carabinieri lo hanno bloccato. Ma Ostilio Del Balzo, 47enne dipendente del Vaticano, è muto. Arrestato lo scorso primo settembre con indosso cocaina e pen drive piene di immagini e video pedopornografici, si avvale della facoltà di non rispondere.

Quando gli hanno sequestrato computer e telefonino non hanno trovato alcun video. Era tutto, invece, nei supporti. Il che non rispecchia le abitudini di un pedofilo. Di solito, quando del materiale simile viene sequestrato a un pedofilo, tutti i supporti sono carichi di video e di siti che rimandano ai filmini in cui sono protagonisti i minori abusati”. E infatti nell’ordinanza il Gip aveva scritto senza esitazione che il materiale era “chiaramente” in suo possesso “a fini di cessione a terzi”. Insomma: era il galoppino di qualcuno. Di molto potente, se vale il suo silenzio.

[IMG2=JSON]{"data-align":"none","data-size":"full","height":"16","width":"85","src":"https:\/\/voxnews.info\/wp-content\/files\/2017\/02\/fact_icon.png"}[/IMG2] VERIFICA LA NOTIZIA
Del Balzo lavora al Pontificio consiglio per la cultura, l’ente della Chiesa coordinato dal cardinale Gianfranco Ravasi. Nell’auto, si legge nel verbale dei Carabinieri, gli agenti che lo hanno perquisito ormai tre mesi fa hanno trovato “una pochette viola con strisce bianche nel cui interno rinvenivano una busta con trenta involucri termosaldati di cocaina per un peso complessivo di quindici grammi e cinque mini pen drive aventi tutte lo stesso contenuto”.



Dopo tre mesi nel carcere di Regina Coeli, gli investigatori e il pm Eugenio Albamonte erano certi che avrebbe ceduto. E invece no. Silenzio. Ora l’indagato è ai domiciliari con il braccialetto elettronico: “Si tratta di una persona che lavora in ambito extraterritoriale come usciere del Pontificio consiglio della cultura sotto la giurisdizione dello stato Vaticano – si legge nelle motivazioni della richiesta – e che potrebbe godere anche di appoggi che lo spingano a trovare ospitalità in ambienti protetti”.
 

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[h=1]La tesi choc su Luciani: «Ucciso» E Bergoglio vuole farlo santo[/h] [h=2][/h]
Le nuove «verità» del giornalista Nuzzi sul Pontefice morto dopo soli 33 giorni. Il cardinale Oddi: «Era molto malato»

Fabio Marchese Ragona - Ven, 10/11/2017 - 08:48
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Un sistema tentacolare, occulto, che coinvolgeva alti prelati della Santa Sede per favorire attraverso lo Ior personalità politiche, imprenditori, attori, registi, cardinali.
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Una vera e propria «lobby» costruita attorno alla banca vaticana e che avrebbe schiacciato ogni tentativo di riforma di Giovanni Paolo I, fino a portarlo alla morte. È questa la tesi sostenuta da Gianluigi Nuzzi nel suo ultimo libro Peccato Originale (Ed. Chiarelettere), sulla tragica fine di Papa Luciani, morto dopo soli 33 giorni di pontificato e le cui condizioni di salute a dire di Nuzzi si sarebbero aggravate dopo aver scoperto «questa verità tragica e indicibile».

Attraverso la pubblicazione di nuovi documenti riservati dell'Istituto per le Opere di Religione, risalenti agli anni Settanta, emerge, infatti, chiaramente il ruolo di monsignor Paul Marcinkus, presidente dello Ior e la volontà di Giovanni Paolo I di voler fare «pulizia», azzerando i vertici dell'istituto. Un tentativo di rivoluzionare la Curia Romana, proprio come ha chiesto e sta facendo Papa Francesco, che ieri mattina ha ricevuto in udienza il postulatore della causa di beatificazione di Papa Luciani, il cardinale Beniamino Stella, Prefetto della Congregazione per il Clero, dopo aver firmato il decreto che riconosce le virtù eroiche di Giovanni Paolo I. In pratica il processo di beatificazione del «Papa del sorriso» entra adesso nel vivo, in attesa che sia vagliato in Vaticano un miracolo compiuto dal Pontefice di Canale d'Agordo, per poterne celebrare la beatificazione.

Il difficile rapporto tra Luciani e Marcinkus è ricostruito chiaramente nel libro di Nuzzi, che svela il retroscena del primo incontro tra i due, quando Giovanni Paolo I era ancora Patriarca di Venezia. «Lei pensi a guidare la diocesi che io penso a far sopravvivere la Chiesa» avrebbe detto il monsignore americano a Luciani congedandolo, dopo che l'allora Patriarca era andato a chiedere conto della cessione delle quote della Banca Cattolica del Veneto all'Ambrosiano di Roberto Calvi, senza che i vescovi veneti fossero stati informati. Che la salute di Luciani fosse davvero precaria emerge, però, anche dai racconti che il cardinale Silvio Oddi, scomparso nel 2001, aveva fatto ad alcuni parenti stretti e che Il Giornale oggi è in grado di rivelare. Il porporato, molto amico di Luciani, aveva incontrato il Papa alcuni giorni prima della sua morte: il Pontefice si era lamentato con il cardinale, dicendo di sentire le gambe pesanti e gliele aveva quindi mostrate. Oddi aveva poi descritto la scena ai nipoti e ad alcuni amici dicendo che «Il Papa stava davvero male, le sue gambe sembravano due tronchi viola».

Tra i segreti svelati nel volume anche quello su
Madre Teresa di Calcutta che, secondo Nuzzi, come emerge dalle carte, «aveva un conto corrente allo Ior talmente grande che se lo avesse chiuso l'istituto avrebbe rischiato il default». E poi il blocco di potere che ostacola l'azione di riforma di Papa Francesco (che esisteva già dai tempi di Marcinkus) e una vicenda di continui abusi sessuali ottenuti con l'intimidazione ai danni di un chierichetto, all'interno del preseminario San Pio X, in Vaticano.

A svelarlo una nuova fonte del giornalista, un giovane polacco di nome Kamil Tadeusz Jarzembowski che all'epoca dei fatti, tra il 2009 e il 2014, era minorenne e compagno di stanza del ragazzino abusato da un diacono, successivamente diventato sacerdote. Jarzembowski, che, secondo fonti vaticane da noi interpellate, sarebbe stato a sua volta oggetto di indagini canoniche per poi esser allontanato dal seminario, aveva anche denunciato, con una lettera, l'accaduto alla Congregazione per le Dottrina della Fede che aveva però risposto affermando che «a un'attenta lettura della predetta missiva non sono emersi fatti delittuosi rientranti nell'ambito dei delitti riservati a questo Dicastero». Ma la Congregazione rassicurava che dell'accaduto sarebbe stato informato anche Papa Francesco.
 

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[h=1]Suora di clausura incinta partorisce a Macerata: “Voglio tenere il bambino”[/h]
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Il Corriere Adriatico riporta che la donna, boliviana, domenica ha accusato dolori alla pancia e per questo è stata accompagnata all'ospedale Bartolomeo Eustachio di San Severino Marche. Nessun commento da parte del vescovo di Camerino Francesco Brugnaro. E' il secondo caso in pochi anni nelle Marchedi Eduardo Parente | 23 gennaio 2015
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Più informazioni su: Macerata, Marche, Suore Trasportata d’urgenza all’ospedale per un forte mal di pancia, finisce in sala parto. E partorisce uno splendido bebè. Fin qui nulla di strano. Se non fosse, però, per quell’abito indossato dalla paziente al momento del ricovero: una tonaca religiosa. Sarebbe una suora di clausura, infatti, la protagonista di una vicenda a lieto fine sulla quale, proprio per la particolarità del caso, è stato mantenuto il più stretto riserbo, sia dal personale medico che ha assistito la paziente, che da parte del monastero che a giugno aveva accolto la religiosa.

La corsa da uno dei due conventi storici di San Severino Marche, paese in provincia di Macerata, al reparto di ostetricia e ginecologia, passando prima per il pronto soccorso, dell’ospedale Bartolomeo Eustachio, è avvenuta domenica scorsa. Ma poi, tra la contentezza per l’arrivo di una nuova vita in paese, e l’imbarazzo, l’episodio è trapelato solo nelle ultime ore. E sta facendo molto discutere. La notizia, pubblicata oggi sul Corriere Adriatico, sta rimbalzando in rete in maniera virale, anche se non si sa molto né sull’identità della suora – una donna di 35 anni di origine probabilmente boliviana – né su quella di suo figlio.

Quello che è certo è che la puerpera, domenica scorsa, in preda a forti dolori addominali, dopo essere stata accompagnata dalle consorelle al vicino ospedale Bartolomeo Eustachio di San Severino Marche, dalla sala affollata del pronto soccorso sarebbe finita subito in quella del reparto di ostetricia e ginecologia. Dopo i controlli di rito, infatti, i medici del nosocomio maceratese le avrebbero comunicato subito la bella notizia di un travaglio in corso: parto perfettamente riuscito, neo mamma – una suora missionaria che sarebbe già stata dimessa – e suo figlio perfettamente in salute.

Secondo alcune indiscrezioni, la donna, che nell’estate scorsa era stata accolta in un monastero della zona già in stato di gravidanza, avrebbe deciso di tenere il figlio. Il bebè, invece, subito dopo essere venuto alla luce, sarebbe stato portato al reparto neonatale dell’ospedale di Macerata per dei semplici controlli clinici di routine, anche se molto accurati. E questo perchè la gravidanza, di fatto, si sarebbe svolta senza problemi, ma anche senza alcun controllo periodico da parte di un ginecologo o di una struttura medica.

Sulla particolare vicenda, al momento, viene mantenuto il più stretto riserbo e il Vescovo di Camerino, Francesco Brugnaro, non si è ancora espresso ufficialmente. Mentre Madre Abbadessa, Rosella Mancinelli, del Monastero di Santa Chiara di San Severino fa sapere che la neo mamma ”non è una suora di clausura” dei conventi della zona. “La vicenda – dice – non riguarda alcuna sorella clarissa della nostra comunità, né consorelle di monasteri della zona”. “Desidero affermare ciò – aggiunge – in modo categorico per fugare ogni dubbio e smentire le inesatte informazioni che circolano in questo momento e che hanno spinto molti giornalisti a rivolgersi al nostro indirizzo”. Suor Rosella ci tiene a difendere “il significato della nostra scelta di vita”, e assicura che “nessuna suora di clausura degli 8 conventi della Diocesi di Camerino-San Severino ha messo al mondo un figlio”.

Ma questo non è il primo caso nella Marche: una vicenda simile, anche se dai contorni torbidi, era già avvenuta nel 2011 quando una suora di origini congolesi, in seguito ad uno stupro ad opera di un sacerdote straniero, partorì una splendida bambina all’ospedale di Pesaro. Non riconobbe sua figlia nei tempi stabiliti dalla legge e così, dopo essere stata costretta a darla in affido ad una coppia di Tolentino, cominciò la sua battaglia legale per riaverla con sé. Infine, la donna, che nel frattempo non era stata riammessa alla vita religiosa dal suo Ordine, riebbe sua figlia con se e tutt’ora vivono entrambe in una casa famiglia, nonostante i genitori adottivi abbiano continuato a protestare per diverso tempo per riavere con se la piccola.
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