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ovvia icche si fa?


POLITICA
15/06/2019 12:38 CEST [h=1]Matteo Renzi lascia al Pd 600mila euro di debiti[/h] [h=2]Approvato l’ultimo bilancio finanziario in carico alla precedente gestione: cinque anni di austerity hanno (quasi) riportato l’equilibrio nelle casse, a spese soprattutto del territorio e dei dipendenti[/h]
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ANSA
Si chiude con 600.495 euro di passivo il bilancio del Partito democratico relativo al 2018. Il documento è stato approvato giovedì scorso insieme alla relazione del tesoriere Luigi Zanda. Ma i conti fatti non hanno niente a che vedere con l’attuale gestione guidata da Nicola Zingaretti, in quanto costituiscono piuttosto l’ultimo resoconto finanziario della segreteria Renzi.

Sono stati forse i cinque anni più complicati nella gestione economica del Pd, quelli che hanno visto la progressiva perdita della sostanziosa voce dei rimborsi elettorali, che costituivano la grandissima parte degli introiti per ogni forza politica. Basti pensare che nel 2013 (ultimo anno del finanziamento “pieno”, prima della progressiva riduzione e poi, dal 2017, la scomparsa decretate dal governo Letta) i dem ricevettero dallo Stato 24,7 milioni di euro, mentre lo scorso anno sono stati solo 7 i milioni ricevuti attraverso il meccanismo del due per mille in dichiarazione dei redditi, che ha sostituito quello dei rimborsi. Ma sono stati anche gli anni della cassa integrazione per i dipendenti e della chiusura dei giornali “di area”, l’Unità (chiusa, venduta e riaperta, quindi richiusa) ed Europa. Nonché della costosa (e fallimentare nel risultato) campagna referendaria del 2016.

C’è da dire che l’eredità raccolta dall’ex tesoriere Francesco Bonifazi non è stata delle migliori, anzi. La guida di Pier Luigi Bersani aveva lasciato le casse del Pd con ben 10,8 milioni di passivo (una enormità rispetto ai 600mila di adesso) e tutti i problemi già noti ancora lì intatti, dall’elefantiaca macchina del Nazareno ai giornali ultra indebitati (l’Unità), o con risorse in esaurimento (Europa).

Non è un caso che oggi molti dipendenti dem riferiscano ragionamenti di questo tenore: “Quando c’erano i soldi del finanziamento pubblico nessuno, pur potendo, ha voluto occuparsi della nostra situazione, per una questione di immagine. Se allora si fosse messo mano al portafoglio, incentivando l’uscita di una parte di noi, oggi non saremmo in questa situazione”. Insomma, i problemi andavano risolti in tempi di vacche grasse. E non è stato fatto. Oggi il costo dei dipendenti segnato a bilancio è di 4,7 milioni di euro, contro i 10,3 di cinque anni prima: un risparmio ottenuto grazie a due anni di cassa integrazione per tutto il personale, per molti addirittura a zero ore.

Un altro sintomo evidente del cambiamento dei tempi sono i costi sostenuti per le campagne elettorali. Nel 2013 il Pd bersaniano spese per sostenere la corsa al Parlamento, con esplicite ambizioni di Governo da parte del suo segretario, 9,3 milioni di euro, di cui 5,7 usciti direttamente dalle casse del Nazareno (il resto dalle strutture locali). Cinque anni dopo, l’esborso si riduce a meno della metà: 4 milioni complessivi, dei quali 2,7 in carico al nazionale.

Ma dove l’austerity renziana si è fatta sentire maggiormente è in periferia. Anche qui basta fare un confronto tra il 2013 e il 2018 per capire il dramma finanziario vissuto dalle strutture locali del partito, passate in cinque anni dal ricevere oltre 13,6 milioni di euro (tra strutture regionali, provinciali e territoriali) ad appena 164mila euro. Con relativi circoli costretti a chiudere e contraccolpi su dipendenti e spese organizzative e di comunicazione.

Toccherà ora a Zingaretti e Zanda provare a uscire da questo periodo buio. Il nuovo tesoriere si è già attivato per approntare un piano di rientro dal debito e, soprattutto, trovare una soluzione per il personale. La cassa integrazione scade ad agosto e il Nazareno ha già ottenuto dal Ministero del Welfare il parere favorevole a una proroga, che – se attivata – concederebbe qualche mese in più per reperire i fondi necessari a trovare una soluzione definitiva.

Sul tavolo c’è anche l’abbandono della sede di via Sant’Andrea delle Fratte. Anche in questo caso, è stata chiesta ai proprietari una piccola proroga del contratto d’affitto, in modo da consentire un trasloco più tranquillo, probabilmente all’inizio del 2020. I nuovi locali sarebbero stati individuati in via Merulana, a differenza dell’ipotesi iniziale di via Ostiense. Quindi non proprio un quartiere popolare, ma comunque più distante dal centro e dai Palazzi del potere. L’obiettivo è iniziare il più presto possibile i lavori, un investimento che sarà recuperato nel tempo con il risparmio sul costo d’affitto.

Infine, va completato il recupero delle somme non ancora versate dai parlamentari. A fine 2018, i crediti vantati dal partito nei confronti di deputati e senatori erano pari a ben 822mila euro. Già nei primi mesi dell’anno Bonifazi ha intrapreso il pressing nei confronti dei morosi, lavoro poi proseguito (con maggior discrezione, senza articoli sui giornali) da Zanda.
 

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