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Sondaggi, il centrodestra svetta: quasi al 50%

Fratelli d'Italia continua a crescere e a sorprendere. I giallorossi si fermano al misero 36%; il centrodestra unito vola al 49,5%

Luca Sablone - Mer, 27/11/2019 - 10:29





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La maggioranza degli italiani vuole il centrodestra al governo. È questo quanto emerge dagli ultimi sondaggi Ixè per Cartabianca su Rai3, che conferma la volontà da parte degli elettori di sfiduciare la sinistra alla guida del Paese.
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A comandare la classifica è sempre la Lega (31,5%, -0,4). Seguono poi Partito democratico (20,4%, -0,8) e Movimento 5 Stelle (16,4%, +0,1). Inarrestabile la crescita di Fratelli d'Italia (10,6%, +0,7) che precede Forza Italia (7,4%, -0,1) e Italia Viva (4,5%, -0,1). Chiudono la graduatoria +Europa (3,0%, -0,1), La Sinistra (2,2%, +0,5) ed Europa Verde (1,0%, -0,1). Il partito più quotato resta comunque quello degli astenuti/indecisi che si attesta al 43,9%.
Il presidente dell'istituto, Roberto Weber, ha commentato i dati: "Nel sondaggio si registra lo sfondamento di Fratelli d’Italia. Per un voto che FdI dà alla Lega di Salvini, 3 voti dal Carroccio si spostano sul partito di Giorgia Meloni. Quindi abbiamo questa radicalizzazione sulla destra e il centrodestra arriva a quota 49,5%". La crescita del partito della Meloni potrebbe essere dovuta "alla 'moderatizzazione' di Matteo Salvini. Ciò non toglie che la Lega resti solidissima e resti il primo partito, raccogliendo quasi un terzo delle intenzioni di voto degli italiani votanti".
Fiducia nei leader
Per quanto riguarda la fiducia nei leader il primo posto è occupato da Giuseppe Conte (40%), in crescita rispetto al 12 novembre. Sul podio Matteo Salvini (34%, in calo del 3%) e Giorgia Meloni (stabile al 33%). Seguono Nicola Zingaretti (26%, in calo di un punto percentuale), Luigi Di Maio (21%, in calo del 2%), Silvio Berlusconi (stabile al 19%) e Matteo Renzi (che si attesta al 12%, perdendo due punti percentuali). Nello specifico nei confronti del presidente del Consiglio il 29% non ha nessuna fiducia, il 31% ne ha poca, il 30% abbastanza e il restante 10% ne ha molta.
Regionali e sardine
Nei giorni scorsi il Movimento 5 Stelle, dopo avere effettuato una consultazione sulla piattaforma Rousseau, ha deciso di presentare i propri candidati alle prossime elezioni Regionali in Emilia-Romagna e Calabria: il 37% non condivide questa decisione; il 33% si dice d'accordo; il 30% non sa. Nel dettaglio hanno detto "sì" il 61% dei grillini e il 30% dei dem; il giudizio negativo è arrivato rispettivamente dal 23% e dal 44%; valutazione non espressa dal 16% e dal 26%.
Nelle ultime settimane ci sono state diverse manifestazioni di piazza organizzate dal cosiddetto movimento delle sardine, in opposizione alla Lega e a Salvini: il 41% non condivide l'iniziativa; il 37% è favorevole; il 22% non si schiera. Infine il 34% ritiene che siano ininfluenti per il Carroccio; secondo il 25% lo indeboliscono; per il 21% lo rafforzano; il 20% non sa.
 
NON CI POSSO CREDERE: IMPOSSIBILE MA VERO


Il tribunale dei ministri dà ragione a Salvini: "Le Ong sbarchino nei loro Paesi"


Il tribunale dei ministri annienta le tesi dei magistrati buonisti: "Lo Stato di primo contatto è quello della nave che ha provveduto al salvataggio"

Andrea Indini - Mer, 27/11/2019 - 10:18





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Giusto una settimana fa la procura di Agrigento si è rimessa in testa di provare a inchiodare Matteo Salvini accusandolo dei reati di sequestro di persona e omissione di atti di ufficio.
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Per farlo hanno ritirato fuori il caso dei 164 immigrati clandestini che, dopo essere stati recuperati al largo della Libia, la Open Arms, la nave dell'ong spagnola fondata nel 2015 dal catalano Oscar Camps, aveva portato nel porto di Lampedusa. L'allora ministro dell'Interno li aveva bloccati una ventina di giorni nel tentativo di far rispettare il decreto Sicurezza. E così i pm hanno fatto fioccare un'inchiesta fotocopia di quella (già archiviata) sul caso Diciotti. E pensare che, come riportano il Corriere della Sera e il Fatto Quotidiano, anche il fascicolo sui 65 che si trovavano a bordo della "Alan Kurdi", la nave della ong tedesca Sea Eye, è stato liquidato dal tribunale dei ministri di Roma lo scorso 21 novembre. Certo, in questo caso le accuse sono omissione di atti di ufficio e abuso di ufficio, ma quel che conta è che le toghe hanno rimarcato un principio sacrosanto: "Le organizzazioni non governative devono sbarcare nel proprio Paese".
Sin da quando Salvini ha avviato la campagna contro l'immigrazione clandestina, i magistrati hanno fatto di tutto per mettergli i bastoni tra le ruote. "Per me difendere il mio Paese è sempre una medaglia", ha ripetuto in più di un'occasione l'ex ministro dell'Interno tirando avanti nonostante le inchieste e i ripetuti tentativi di vari magistrati di smantellare i decreti Sicurezza per riaprire i porti italiani. Adesso, però, il tribunale dei ministri ha messo nero su bianco che la linea del leader leghista non solo è lecita ma dovrebbe anche essere rispettata a livello europeo. Sebbene la responsabilità di assegnare un "porto sicuro" all'imbarcazioni, che trasportano gli immigrati prelevati in mare, tocchi allo "Stato di primo contatto", le indicazioni ricavate da Convenzioni e accordi internazionali stabiliscono che "lo Stato di primo contatto non può che identificarsi in quello della nave che ha provveduto al salvataggio". Pertanto non spetta all'Italia farsi carico delle organizzazioni non governative che continuano a bussare alle loro porta. Nel caso della "Alan Kurdi", che dopo il "no" di Roma si era diretta a Malta, ha dunque fatto bene Salvini a bloccarla visto che l'imbarcazione batte bandiera tedesca. Anche perché, nonostante in alcuni casi le coste del Paese di riferimento della nave siano lontane, "la normativa non offre soluzioni precettive idonee ai fini di un intervento efficace volto alla tutela della sicurezza dei migranti". Nemmeno quando questi sono in pericolo.
Sul caso dei clandestini bloccati a bordo della Sea Eye lo scorso aprile non ci sarà dunque alcun processo. "Ora sono curioso di vedere a questo punto cosa decideranno le altre procure", ha rimarcato Salvini dopo l'archiviazione. Purtroppo, come già anticipa Giovanni Bianconi sul Corriere della Sera, il provvedimento del tribunale dei ministri non metterà la parola fine ad altre inchieste. Le motivazioni del collegio ministeriale di Roma restano comunque una vittoria politica per il leader leghista che ci ha subito tenuto a rimarcare che "finalmente" è stato riconosciuto da un giudice che "bloccare gli sbarchi non autorizzati di immigrati non è reato". E così, sulla scorta di questa sentenza, ha fatto ugualmente bene tutte le volte che da ministro dell'Interno ha spronato il governo a opporsi ai blitz delle ong straniere nei porti italiani. Anche quando, come nel caso della Sea Watch 3, Carola Rackete era addirittura arrivata a infrangere il divieto di ingresso e a speronare una motovedetta della Guardia di Finanza pur di entrare nel porto di Lampedusa (guarda il video). Peccato però che per la sinistra nostrana la capitana resterà sempre una campionessa di civiltà e il capitano il male assoluto. Il tutto in barba alla legge italiana.
 
ATTENTO CHE GLI ERMELLINI NON SCHERZANO:


L'amarezza di Matteo: "Nemmeno coi mafiosi..."



Augusto Minzolini - Mer, 27/11/2019 - 17:00





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Niente di nuovo nel Belpaese dove la giustizia fa politica e viceversa. A Firenze un altro capitolo di una storia che va avanti da decenni. Tutti i finanziatori della Fondazione Open, quella di Matteo Renzi, hanno subito ieri delle perquisizioni a casa, di primo mattino.
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«Un'operazione con centinaia di perquisizioni - si è sfogato l'ex premier con i suoi -, di quelle che si fanno contro le organizzazioni mafiose. Tutti quelli che ho vicino, da Carrai a Serra e tanti altri, si sono visti perquisire casa, per dei contributi volontari alla Fondazione che, nella testa dei magistrati, agisce come un partito politico. A parte che i bonifici li avrebbero potuti trovare in banca, ma come si può teorizzare una cosa del genere? Non si possono cambiare le regole delle Fondazioni in corsa, darne un'interpretazione diversa. Parlano di parlamentari con le carte di credito: io non l'avevo, neppure Lotti, da quanto mi ha detto. Come pure gli altri. È la solita storia italiana, quando le cose ti vanno per il verso giusto ti vogliono azzoppare. Ti verrebbe davvero la voglia di mollare tutto. Di dire: volete il Paese? Tenetevelo, ci vediamo tra cinque anni. Poi, però, pensi che questo Paese lo ami e non molli». Eh sì, siamo alle solite, una costante. Tant'è che i Pm di oggi sono quelli che hanno arrestato i genitori di Renzi ieri e hanno visto l'ombra di Silvio Berlusconi dietro le bombe mafiose di Firenze. Hanno, insomma, una vera passione per le inchieste a sfondo politico.
Niente di nuovo nel Belpaese dove la politica non comprende la realtà, o peggio, se ne inventa una tutta sua. La premiata ditta Zingaretti-Orlando si è messa in testa che il Pd deve essere un partito speculare alla Lega, deve avere una vocazione maggioritaria, deve radicalizzarsi a sinistra perché l'elettorato moderato non esiste più. Insomma, vogliono copiare sul versante opposto il Salvini del 33% dall'alto - a sentire la maga Ghisleri ieri - del loro 18%. Nel loro schema questo è il nuovo bipolarismo italiano. E questo rimuovendo il dato che la sinistra ha vinto le elezioni solo mettendo insieme coalizioni con dentro di tutto; dimenticando che il picco più alto del Pd a vocazione maggioritaria, quello di Veltroni, fu anche quello che beccò la più sonora sconfitta da Berlusconi; e ancora, esorcizzando l'insegnamento di Berlinguer che ha sempre visto l'Italia pendere a destra.
Ora, poco male, se si trattasse di una teoria, ma da questa formula la premiata ditta fa discendere tutta una serie di possibili opzioni, che in alcuni casi, come si diceva, fanno a botte con la realtà. Ad esempio, è figlia di questo schema la tentazione elettorale che, come un fiume carsico, scompare e riemerge nel vertice del Pd. La settimana scorsa, ad esempio, Andrea Orlando, ha dispensato un consiglio a una vecchia amica di Forza Italia in pieno Transtlantico. «Prepàrati - ha sussurrato - a votare il 27 marzo. Dici che Franceschini non vuole le elezioni? Lo convinceremo: faremo un congresso che deciderà su questa linea e normalizzeremo i gruppi parlamentari». Proprio nelle stesse ore alla buvette di Montecitorio un gruppo di deputate del Pd discettavano su questa ipotesi che, a loro avviso, è una pazzia. «Se fai la manovra e poi vai a votare - osservava una sindacalista di esperienza come Carla Cantone - sei da Tso». Mentre Emanuele Fiano, altro pd che fiuta l'aria, scommetteva che i gruppi non avrebbero accettato «supinamente l'opzione elettorale».
Il problema, però, non è il voto o non voto, ma, appunto, il sogno di un surrogato di bipolarismo, sull'altare del quale il vertice zingarettiano sarebbe anche pronto ad andare incontro a una sconfitta annunciata: «Un giro - è il leitmotiv dell'inner circle - a Salvini bisogna farlo fare». Tesi su cui la pd Alessia Rotta sbotta: «Si sono messi a copiare Salvini nella convinzione di rappresentarne l'alternativa. Il problema è che utilizzano categorie desuete. E gli errori si moltiplicano. È ovvio, ad esempio, che Salvini, con i sondaggi al 33%, punti al maggioritario, innaturale che Zingaretti disdegni il proporzionale sapendo che può vincere solo giocando sulle alleanze. Di più: mentre Salvini non ha mai immaginato un patto strategico con i 5stelle, noi lo proponiamo proprio mentre il movimento è in crisi. Senza contare che se vuoi fare un tratto di strada insieme, dovresti accettare la trasversalità che è nel loro Dna. Nel loro c'è un pezzo di destra non indifferente, motivo per cui se i 5stelle si presentassero da soli in Emilia, ad esempio, toglierebbero consenso anche alla Lega. Se, invece, li costringi a stare in un'alleanza con noi, è probabile che la loro ala destra si riversi su Salvini. La verità è che l'attuale vertice del Pd non ha un'idea». Sono congetture vuote quelle della Rotta? A sentire i grillini no. «Zingaretti non lo capisco neppure io - osserva Gianluca Castaldi, sottosegretario grillino ai rapporti con il Parlamento -: noi siamo trasversali di natura, abbiamo dentro destra e sinistra. Io sono stato eletto in un paese di destra. Chiederci di presentarci alle elezioni insieme al Pd, significa dimezzare i nostri consensi».
Senza contare che un «patto» prevede obblighi da parte sia del Pd sia dei grillini. Già oggi. E a volte certe questioni spinose, conoscendo le problematiche del movimento, sarebbe meglio lasciarle risolvere al Parlamento, dando modo ai 5stelle di fare la loro battaglia di testimonianza, e ai partner di governo di evitare stupidaggini. Come Salvini fece sulla Tav. Con un metodo del genere, ad esempio, sulla «plastic tax» e sulla «sugar tax», figlie dell'ideologia grillina che non incontrano l'opinione prevalente degli italiani (secondo la Ghisleri per il 68% non serviranno al rilancio economico), non ci sarebbero stati tutti questi «stop and go» del governo. Uno schema che sarebbe ancora più utile sulla giustizia, dove sull'introduzione della «prescrizione» si è creata una situazione di impasse: il ministro della Giustizia, Bonafade, non accetta modifiche sapendo che il provvedimento a gennaio andrà in vigore; il Pd le vuole ma non ha il coraggio, per ora, di imporre una procedura d'urgenza sul tema in Parlamento. «In fondo - è la spiegazione di Andrea Orlando - poi quando ci sarà una nuova legge, gli effetti di quella di Bonafede nei mesi in cui sarà in vigore, saranno sterilizzati dalla norma del favor rei». Ragionamento un po' tortuoso, che Renzi, tanto più oggi, non accetta: «Io nell'accordo strategico con i grillini non entro. Né subisco i loro ricatti sulla giustizia. Non ci penso proprio. Io sul tema della prescrizione sto sulle posizione di Enrico Costa (deputato di Forza Italia, ndr)». Già, meglio giocare in Parlamento, consapevoli in fondo che l'unica forza di questo governo per stare in piedi (ed evitare di fare menate), si basa, nei fatti, non sull'ipotetico patto di Zingaretti con i grillini, ma esclusivamente sulla loro paura di andare a votare. «Non so se Di Maio - confida il sottosegretario Castaldi - ha accarezzato anche lui l'idea delle urne, ma Grillo gli ha spiegato che sarebbe pura follia».
 
Insulti e offese per Salvini: ora la toga condanna Toscani

Il fotografo dovrà risarcire Salvini per l'invettiva in radio in cui dava sfogo al suo livore.

Angelo Scarano - Mer, 27/11/2019 - 14:57





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Adesso Oliviero Toscani dovrà risarcire Matteo Salvini. Il fotografo pagherà a caro prezzo un suo "delirio" ai microfoni di Radio 24 a La Zanzara.
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Toscani nel dicembre del 2014 intervenendo alla trasmissione condotta da David Parenzo e da Cruciani non aveva usato giri di parole per attaccare il leader del Carroccio: "Ma poverino - disse, commentando alcuni scatti su Salvini pubblicati dal settimanale Oggi - non ha proprio niente da fare. In quelle foto sembra un maialino sotto il piumino. Uno che dice di uscire dall’Europa e poi si fa fotografare così". Ma non era finita qui. Sempre nel corso della stessa trasmissione, Toscani aveva rincarato la dose con parole pesantissime: "Salvini fa i p..., va benissimo per quello. A chi li fa? Salvini fa i pompini ai cretini, fa anche rima. Prende per il c... chi vota". Adesso per quel durissimo attacco è arrivata una condanna in Appello con 8mila euro di multa. Somma che lo stesso Toscani dovrà versare a Salvini.
Per lo stesso caso Toscani era stato già condannato in primo grado nel luglio del 2017. Adesso è arrivata la conferma in Appello. Ma nel corso di questi ultimi anni i battibecchi tra Toscani e Salvini sono stati frequenti e con toni duri. Il fotografo ha più volte attaccato l'ex ministro degli Interni. Solo qualche tempo fa ai microfoni di Radio Capital non aveva usato parole morbide per Salvini: "Io non sono nemico di Salvini - dice Toscani - è lui che è nemico dell'Italia! Gli italiani che votano sono il 40%, di quel 40% lui prende una percentuale inferiore a quella del PD. Smettiamola di fare i frignoni, noi non salvinisti". Qualche settimana fa invece era stata archiviata dal giudice l'ultima sua invettiva contro il segretario del Carroccio: "È un fascista? No, di più. Peggio, dopo aver visto ciò che si è visto. Chi è che parla di castrazione? E lui dice no, non possono sbarcare...non sono clandestini sui barconi c'è della gente. Salvini è un incivile". Anche in questo caso è scattata la querela da parte di Salvini. E proprio il fotografo, qualche giorno dopo, all'Adnkronos aveva rivendicato quella denuncia: "Sono andato persino al palazzo di giustizia per i commenti che faccio. La penso così e pago per questo, i soldi servono per dire quello che uno pensa, questo è il mio commento". Infine aveva concluso così: "È il mio pensiero, il pm mi ha detto 'va bene' - conclude Toscani - quello che ho detto è quello che penso". Ora però quello che "pensa" gli costerà almeno 8000 euro.
 
Don Biancalani canta "Bella Ciao" a messa e i fedeli gli voltano le spalle

Dopo il siparietto provocatorio di domenica mattina in cui Don Biancalani ha deciso di cantare "Bella Ciao" al termine della funzione religiosa, siamo andati a sentire come i fedeli hanno interpretato questa iniziativa

Costanza Tosi - Mer, 27/11/2019 - 12:32





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Don Massimo Biancalani torna a far discutere. Il prete di Vicofaro che da sempre non ha fatto mistero del suo astio nei confronti delle idee politiche della destra populista di Matteo Salvini ha deciso di sbandierare ancora una volta la sua posizione.

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Con una differenza. Sì, perchè a questo giro, il parroco pistoiese, ha cercato di coinvolgere anche i fedeli, organizzando un coro sulle note di "Bella Ciao" proprio al termine di una funzione regligiosa. Un’opposizione all’opposizione. Cavalcando l’onda delle sardine.
La canzone diventata simbolo dei partigiani per don Massimo Biancalani meritava di essere citata tra le mure della casa di Dio perché "è un momento della nostra storia importante". Sui motivi di questa iniziativa il prete ci ha risposto di aver utilizzato quelle note per tramandare un messaggio di lotta e resistenza contro le ingiustizie. "Anche noi stiamo ogni giorno lottando contro le ingiustizie accogliendo i migranti. Siamo dei resistenti della solidarietà". ha dichiarato a due passi dal sagrato di Santa Maria Maggiore. Sì, ma tutto questo poco ha a che fare con la la parola del Signore. Sarà forse stata una provocazione nei confronti di qualcuno? "Non è un capriccio, né una provocazione"- aveva sottolineato alla AdnKronos don Massimo. Che con noi invece ritratta: “Predicare il Vangelo è sempre una provocazione”.

I fedeli contro Don Biancalani: "Una provocazione che non ci è piaciuta"











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E questa volta la proprosta a fine messa non è piaciuta neanche ai fedeli. All’invito a partecipare al siparietto provocatorio hanno aderito in pochi. "Anche dei suoi adepti non c’era quasi nessuno. C’erano una decina di giornalisti, qualche curioso come me e una ventina di partecipanti", racconta un signore della zona. Che poi confessa di non aver gradito: "Non mi è piaciuto, non era né il luogo, né il momento adatto". Eh già. Così aveva spiegato anche la Diocesi pochi giorni addietro e subito dopo l’annuncio dell’iniziativa sulla pagina Facebook di don Massimo, in una nota. "Quanto pubblicamente dichiarato da un presbitero di questa diocesi sui social in questi giorni - si legge nella nota - ci chiama a dire con molta chiarezza che in chiesa nelle celebrazioni liturgiche non si possono eseguire canti inadeguati alla liturgia, come del resto il buon senso dovrebbe già far capire. Alla manifestazione pubblica di una posizione non corretta in campo ecclesiale purtroppo non si può che rispondere con un’altra pubblica e netta presa di posizione di biasimo nei confronti di un comportamento provocatorio assolutamente inopportuno e oltretutto controproducente, che arriva dopo ripetuti richiami a una maggiore attenzione all’uso dei social".
Richiamo a cui il parroco non ha dato ascolto pur di tirare avanti nella sua lotta politica. Ma d’altronde non ne fa mistero e quando gli domandiamo se la parola di Dio non debba essere esente dai colori della politica ricorre ad una nuova intepretazione: "Se politica si intende come servizio al bene comune la Chiesa deve occuparsene eccome". Ma se davvero con il canto tipico delle sinistre il prete di Vicofaro voleva far passare un messaggio che abbraccia i principi del Vangelo, una cosa è certa: non ha saputo spiegarlo ai parrocchiani. Che, del movente, hanno tutt’altra idea. “Lo chiamano don ego, ecco, credo che sia così” ci dicono in piazza.
 

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