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Adesso vi spieghiamo perché siamo degli schiavi

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[h=1]Bancomat, multe in arrivo per i prelievi "ingiustificati"[/h] [h=2][/h] L'ultima follia del Grande fratello: la delega fiscale in via di approvazione obblifa le partite Iva a provare come hanno speso i contanti presi allo sportello automatico



Nicola Porro - Mer, 15/07/2015 - 09:51









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Adesso vi spieghiamo perché siamo degli schiavi. Dal punto di vista tributario, certo. Non abbiamo diritti. E quando li rivendichiamo, facciamo solo la figura dei fessi. C'è, in alto, la suprema Agenzia delle Entrate guidata da Rossella Orlandi che tutto può e dispone.
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La storia che segue è indicativa. Partiamo dalla coda. Gli autonomi o i professionisti devono appuntarsi, euro dopo euro, come hanno usato i quattrini prelevati con il bancomat, pena: sanzione che può arrivare al 50 per cento del prelevato. Lo prevede un codicillo: il comma 7 Bis che sta per essere varato con una delega fiscale. A meno che il governo non si ravveda.
Non saltate sulla sedia. La follia ha una storia.
Tutto nasce da un altro codicillo (il comma 402) di una Finanziaria, pensate un po' voi, varata dal governo Berlusconi nel 2005. Probabilmente ieri, come oggi, complice l'ignoranza dell'esecutivo, l'Agenzia, o chi per lei, è riuscita ad inserire in una legge complessa una micro norma dagli effetti micidiali.
Chiunque (dotato di partita Iva) subisca un accertamento fiscale avrà sottoposti ai raggi x i prelievi bancomat fatti nel periodo di accertamento (anche cinque anni). L'idea del fisco è che il nero produca nero. E, dunque, se un tizio preleva troppo si presume, legalmente, che «l'eccesso di prelievo» alimenti traffici in nero e debba essere colpito da tassazione al pari di un ricavo. La facciamo semplice. Alcuni professionisti che avevano prelevato in un anno 50mila euro, si sono visti abbuonati dall'accertatore 10mila euro (per spese di vita quotidiana non richiedenti giustificativo) e i restanti 40mila, invece, tassati come se fossero ricavo e dunque reddito. Una follia, ma così è stato.
Fino a quando un povero cristo ha ottenuto da una commissione tributaria volenterosa il rinvio alla Corte costituzionale. Nonostante molte sentenze favorevoli all'Agenzia delle entrate da parte della Cassazione, la Corte stabilì con la sentenza del 2014 numero 228 che si trattava di norma incostituzionale in quanto ledeva il principio di ragionevolezza e di capacità contributiva.
Tutto bene quel che finisce bene. Sì, ma non per i nostri amici delle Entrate. Come più volte denunciato da un attuale sottosegretario all'Economia, Zanetti, sono spesso loro a scrivere materialmente le norme tributarie. E non si lasciano dare per vinti. Sia chiaro: questa roba sui giornali viene sempre descritta come legge indispensabile per combattere l'evasione fiscale. Ma, dicevamo, la storia non finisce qua.
Gli uomini del fisco amavano molto la possibilità di impicciarsi dei nostri contanti e di presumere legalmente quale fetta di essi configuri evasione. E sono tornati, subdolamente, alla carica. Nello schema di decreto di riforma delle sanzioni amministrative tributarie di cui si parla in queste ore è rispuntata, di fatto, la tassa sui Bancomat, che la sentenza della Corte aveva bocciato. Per aggirare la sentenza non si parla più di presunzione legale sui prelievi, ma si tirano in ballo le sanzioni in caso di mancanza di giustificativo del beneficiario del prelievo stesso. In sostanza, in occasione di accertamenti bancari chi non indica (o indica in modo inesatto) il beneficiario dei prelievi si può beccare una sanzione che va dal 10 al 50 per cento dell'importo del prelievo.
Avete, un'altra volta, capito bene. Questi sono pazzi. Secondo loro dovremmo appuntarci, dopo ogni prelievo al bancomat, il registro delle spese di quei contanti. Ma fino a qui si tratta di una follia burocratica e dell'ennesima complicazione tributaria. In realtà, la storia è financo peggiore. Non bastano i nostri appuntini, è necessaria una prova. Ovviamente con data certa e rilievo fiscale, immaginiamo. Anche se fossimo il ragionier Filini (quello di Fantozzi) non ci riusciremmo: gli scontrini non indicano il codice fiscale di chi le riceve. Insomma, non sono parlanti e, dunque, servono a nulla al riguardo. Il fisco inventa una norma, diabolica, e non fornisce il modo per rispettarla (fosse pure accettabile, cosa che non è): nessuna norma primaria o secondaria infatti impone in che maniera possa essere fornita l'indicazione dei beneficiari. Attenti, quindi, a dare mance. Diventa pericoloso comprare un pacchetto di sigarette al giorno: sono 1.500 euro l'anno che non hanno pezze giustificative ufficiali. Per carità, cappuccino e caffè beveteli a casa. E se avete un'amante? Peggio per voi. Il fisco, più che vostra moglie, ve ne chiederà conto.
Si dirà che gli uomini delle Entrate utilizzeranno questo bazooka di cui dispongono con ragionevolezza. Non mi fiderei della loro ragionevolezza, posto che i medesimi non si fidano della nostra e, all'uopo, si dotano di armi di distruzione di massa.
E, soprattutto, viene da chiedersi che modo di legiferare sia questo. Dopo una sentenza della Corte costituzionale si reintroduce in modo surrettizio la medesima minaccia fiscale, sperando che nessuno se ne accorga.
Ecco, ci auguriamo che il governo sventi l'ennesimo colpo di mano della sua Agenzia e che dimostri di non essere complice di questa follia tributaria. Ha ancora qualche giorno per farlo.
 
Istat: "Oltre 4 milioni i poveri in Italia" Dopo due anni si inverte la tendenza: l'indice torna stabile. Le sitauzioni peggiori nel Mezzogiorno Angelo Scarano - Mer, 15/07/2015 - 10:55 commenta Ci sono oltre 4 milioni di poveri in Italia. Secondo i dati diffusi oggi dall'Istat, tra le persone coinvolte, 1 milione 866 mila risiedono nel Mezzogiorno (l'incidenza è del 9%), 2 milioni 44 mila sono donne (6,6%), 1 milione 45 mila sono minori (10%), 857 mila hanno un'età compresa tra 18 e 34 anni (8,1%) e 590 mila sono anziani (4,5%). Dopo due anni di crescita, tuttavia, nel 2014 l'incidenza di povertà assoluta è rimasta stabile; se infatti si tiene conto dell'errore campionario (3,8%), tale incidenza è compresa tra il 5,3% e il 6,1%, con una probabilità del 95%. È stabile al 19,1% anche l'intensità della povertà che, in termini percentuali, indica quanto la spesa mensile delle famiglie povere è mediamente al di sotto della linea di povertà, ovvero "quanto poveri sono i poveri". Segnali di miglioramento si osservano poi tra le famiglie con persona di riferimento di età tra i 45 e i 54 anni (dal 7,4% al 6%), tra le coppie con due figli (dall'8,6% al 5,9%, che si lega a quello delle famiglie di 4 componenti, dall'8,6% al 6,7%) e tra le famiglie con a capo una persona in cerca di occupazione (dal 23,7% al 16,2%) che, rispetto al 2013, più spesso vivono in famiglie con al proprio interno occupati o ritirati dal lavoro. L'incidenza di povertà assoluta è in lieve diminuzione anche nei piccoli comuni (dal 7,2% al 5,9%), soprattutto in quelli del Mezzogiorno (dal 12,1% al 9,2%), e tra le famiglie composte da soli italiani (dal 5,1% al 4,3%). Livelli elevati di povertà assoluta si osservano per le famiglie con cinque o più componenti (16,4%), soprattutto se coppie con tre o più figli (16%) e famiglie di altra tipologia, con membri aggregati (11,5%). L'incidenza sale al 18,6% se in famiglia ci sono almeno tre figli minori e scende nelle famiglie di e con anziani (4% tra le famiglie con almeno due anziani). L'incidenza di povertà assoluta diminuisce all'aumentare dell'età della persona di riferimento (i valori minimi, intorno al 4,6%, si registrano tra le famiglie con a capo un ultra cinquantaquattrenne) e del suo titolo di studio (se la persona di riferimento è almeno diplomata l'incidenza è quasi un terzo di quella rilevata per chi ha la licenza elementare). La povertà assoluta colpisce in misura marginale le famiglie con a capo imprenditori, liberi professionisti o dirigenti (l'incidenza è inferiore al 2%), si mantiene al di sotto della media tra le famiglie di ritirati dal lavoro (4,4%), sale al 9,7% tra le famiglie di operai per raggiungere il valore massimo tra quelle con persona di riferimento in cerca di occupazione (16,2%). Se la povertà assoluta nei piccoli comuni del Mezzogiorno è quasi doppia rispetto a quella rilevata nelle aree metropolitane (9,2% contro 5,8%), al Nord l'incidenza più elevata si registra proprio nelle aree metropolitane (7,4% contro 3,9%); si profilano quindi due diverse dimensioni del disagio: quella rurale del meridione e quella metropolitana delle regioni settentrionali. Infine, la povertà assoluta è decisamente elevata tra le famiglie con stranieri (12,9% per le famiglie miste, 23,4% per quelle con tutti componenti stranieri) e sostanzialmente stabile nel confronto temporale, a differenza del leggero miglioramento riscontrato per le famiglie di soli italiani (l'incidenza passa dal 5,1 al 4,3%). Nel 2014, sono 2 milioni 654 mila le famiglie in condizione di povertà relativa (il 10,3% di quelle residenti), per un totale di 7 milioni 815 mila individui (il 12,9% dell'intera popolazione), di cui 3 milioni 879 mila sono donne (l'incidenza è del 12,5%), 1 milione e 986 sono minori (19%) e 1 milione 281 mila anziani (9,8%). La povertà relativa risulta sostanzialmente stabile rispetto al 2013. Grave la situazione nel Mezzogiorno: alla più ampia diffusione della povertà si associa la maggiore gravità del fenomeno. La spesa media mensile equivalente delle famiglie povere è pari a 804,23 euro, valore più elevato dei 783,17 euro rilevati nel 2013 (l'intensità è passata dal 24,1% al 22,8%). Nel Nord e nel Centro, dove la spesa media mensile equivalente delle famiglie povere è più elevata (818,28 e 835,71 euro rispettivamente), l'intensità risulta in leggero aumento al Nord (dal 18,3% al 21,5%) e pressochè stabile al Centro (al 19,8%). Nel dettaglio territoriale, il Trentino Alto Adige (3,8%), la Lombardia (4%) e l'Emilia-Romagna (4,2%) presentano i valori più bassi dell'incidenza di povertà. Ad eccezione dell'Abruzzo (12,7%), dove il valore dell'incidenza non è statisticamente diverso dalla media nazionale, in tutte le regioni del Mezzogiorno la povertà è più diffusa rispetto al resto del Paese. Le situazioni più gravi si osservano tra le famiglie residenti in Calabria (26,9%), Basilicata (25,5%) e Sicilia (25,2%), dove oltre un quarto delle famiglie è relativamente povero. Il 28% delle famiglie con cinque o più componenti risulta in condizione di povertà relativa, l'incidenza raggiunge il 36,8% fra quelle che risiedono nel Mezzogiorno. Si tratta per lo più di coppie con tre o più figli e di famiglie con membri aggregati, tipologie familiari tra le quali l'incidenza di povertà a livello nazionale è pari, rispettivamente, al 27,7% e al 19,2% (35,5% e 31% nel Mezzogiorno). Il disagio economico si fa più diffuso se all'interno della famiglia sono presenti figli minori: l'incidenza di povertà, pari al 14,0% tra le coppie con due figli e al 27,7% tra quelle che ne hanno almeno tre, sale, rispettivamente, al 18,5% e al 31,2% se i figli hanno meno di 18 anni. Il fenomeno, ancora una volta, è particolarmente evidente nel Mezzogiorno, dove è povero oltre il 40% delle famiglie con tre o più figli minori. Le differenze tra italiani e stranieri sono molto più marcate nel Centro-nord, anche se i livelli di povertà sono comunque più contenuti rispetto al Mezzogiorno: nel Nord e nel Centro l'incidenza di povertà tra le famiglie di soli stranieri è di oltre 6 volte superiore a quella delle famiglie di soli italiani, nel Mezzogiorno è circa doppia.
 

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