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Roby
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Dal "Corriere Della Sera"
Esther ruba l’identità delle ragazze scomparse. Il caso di Brooke
WASHINGTON — È la notte del 4 aprile del 1999. Brooke Henson, 20 anni, esce di casa «per andare a comprare le sigarette» a Travelers Rest, nella Carolina del Sud. Non la rivedranno più. Sei mesi mesi dopo — in ottobre —, a migliaia di chilometri di distanza, in una sperduta cittadina del Montana sparisce Esther Reed, anche lei ventenne. Se ne va dopo una furibonda lite con la sorella, alla quale ha sottratto del denaro. Urla, imprecazioni, poi il silenzio. Le loro storie sarebbero finite negli archivi dei «cold case», i casi freddi, se non fosse avvenuto qualcosa di strano. Il 4 luglio 2006, la polizia di New York contatta quella di Travelers: «Abbiamo ritrovato Brooke, ma dice che non vuol tornare a casa perché era vittima di abusi».
A lei sono arrivati quando una persona che voleva assumerla come cameriera ha fatto un controllo abbastanza comune negli Stati Uniti: ha digitato il nome su Internet ed ha scoperto che la ragazza era in un elenco di persone scomparse. I genitori di Brooke sono sconvolti, la versione della figlia è una bugia. La polizia chiede ai colleghi di New York di sottoporre Brooke al test del Dna. Peccato che nel frattempo la ragazza sia di nuovo sparita, portandosi dietro pochi oggetti e un gatto. Agli agenti non resta che perquisire l’appartamento. Da un cassetto saltano fuori documenti intestati a persone diverse, tesserini universitari. E soprattutto la prova che Brooke è in realtà Esther Reed, una ladra di identità.
Un reato piuttosto frequente negli Usa. Almeno dieci milioni vivono con il nome di un altro. A volte si accontentano di quello, in altri casi mirano ai soldi. La polizia scava nel passato di Esther, per capire cosa facesse a New York. Scoprono così che è riuscita ad iscriversi in alcune prestigiose università, comprese Harvard e la Columbia. Una rivincita per lei che ha lasciato in anticipo il college. Studia «comunicazione in pubblico», criminologia, psicologia. Materie che possono aiutarla nella sua vita da agente segreto. Sì, perché gli investigatori—all’inizio —sospettano che possa essere legata a qualche rete spionistica. Diversi indizi sembrano accreditarlo. Esther ha la passione per i cadetti dell’Accademia di West Point e i marinai di Annapolis. Ha delle storie con molti di loro, cerca anche di ottenere un diploma della Scuola di Guerra. Ancora più sospette le sue entrate economiche che le hanno consentito, in questi anni, di non lasciare debiti. Agli amanti racconta di essere una «campionessa di scacchi europea», sostiene di ricevere denaro dall’Italia e dalla Germania.
Una testimonianza di terza mano — peraltro labile — racconta di un possibile viaggio in Florida per sottoporsi a una plastica facciale. Tra il 2004 e il 2007, la ragazza usa non solo il cognome della Bronson ma anche quello di altre due donne. Natalie Bowman, 29 anni, che ha studiato ad Harward ed è stata derubata dell’identità mentre si trovava in Sud America. Natalie Fischer, sconosciuta agli archivi. Esther è diabolica. Presentandosi come Brooke Bowman ottiene un passaporto e riesce a iscriversi all’università in California. Quindi, con una lettera di presentazione di un professore bussa agli austeri portoni di Harvard e viene accettata. Giustifica la mancanza dei diplomi con una storia lacrimevole: miamamma è morta di cancro (vero), mio padre mi molestava (falso).
La polizia non riesce a capire come gli impiegati non si siano accorti dell’imbroglio. E vorrebbe anche comprendere quali fossero le disponibilità finanziarie, a parte i 100 mila dollari garantiti dai prestiti statali riservati agli studenti. Una frode per la quale è ricercata. Nelle indagini entrano, ad un certo punto, gli sbirri dell’esercito. Il Dipartimento investigativo criminale teme di trovarsi di fronte a una nuova Mata Hari, che sotto le lenzuola carpisce segreti militari. «In realtà non è emerso nulla di particolare—
Esther ruba l’identità delle ragazze scomparse. Il caso di Brooke
WASHINGTON — È la notte del 4 aprile del 1999. Brooke Henson, 20 anni, esce di casa «per andare a comprare le sigarette» a Travelers Rest, nella Carolina del Sud. Non la rivedranno più. Sei mesi mesi dopo — in ottobre —, a migliaia di chilometri di distanza, in una sperduta cittadina del Montana sparisce Esther Reed, anche lei ventenne. Se ne va dopo una furibonda lite con la sorella, alla quale ha sottratto del denaro. Urla, imprecazioni, poi il silenzio. Le loro storie sarebbero finite negli archivi dei «cold case», i casi freddi, se non fosse avvenuto qualcosa di strano. Il 4 luglio 2006, la polizia di New York contatta quella di Travelers: «Abbiamo ritrovato Brooke, ma dice che non vuol tornare a casa perché era vittima di abusi».
A lei sono arrivati quando una persona che voleva assumerla come cameriera ha fatto un controllo abbastanza comune negli Stati Uniti: ha digitato il nome su Internet ed ha scoperto che la ragazza era in un elenco di persone scomparse. I genitori di Brooke sono sconvolti, la versione della figlia è una bugia. La polizia chiede ai colleghi di New York di sottoporre Brooke al test del Dna. Peccato che nel frattempo la ragazza sia di nuovo sparita, portandosi dietro pochi oggetti e un gatto. Agli agenti non resta che perquisire l’appartamento. Da un cassetto saltano fuori documenti intestati a persone diverse, tesserini universitari. E soprattutto la prova che Brooke è in realtà Esther Reed, una ladra di identità.
Un reato piuttosto frequente negli Usa. Almeno dieci milioni vivono con il nome di un altro. A volte si accontentano di quello, in altri casi mirano ai soldi. La polizia scava nel passato di Esther, per capire cosa facesse a New York. Scoprono così che è riuscita ad iscriversi in alcune prestigiose università, comprese Harvard e la Columbia. Una rivincita per lei che ha lasciato in anticipo il college. Studia «comunicazione in pubblico», criminologia, psicologia. Materie che possono aiutarla nella sua vita da agente segreto. Sì, perché gli investigatori—all’inizio —sospettano che possa essere legata a qualche rete spionistica. Diversi indizi sembrano accreditarlo. Esther ha la passione per i cadetti dell’Accademia di West Point e i marinai di Annapolis. Ha delle storie con molti di loro, cerca anche di ottenere un diploma della Scuola di Guerra. Ancora più sospette le sue entrate economiche che le hanno consentito, in questi anni, di non lasciare debiti. Agli amanti racconta di essere una «campionessa di scacchi europea», sostiene di ricevere denaro dall’Italia e dalla Germania.
Una testimonianza di terza mano — peraltro labile — racconta di un possibile viaggio in Florida per sottoporsi a una plastica facciale. Tra il 2004 e il 2007, la ragazza usa non solo il cognome della Bronson ma anche quello di altre due donne. Natalie Bowman, 29 anni, che ha studiato ad Harward ed è stata derubata dell’identità mentre si trovava in Sud America. Natalie Fischer, sconosciuta agli archivi. Esther è diabolica. Presentandosi come Brooke Bowman ottiene un passaporto e riesce a iscriversi all’università in California. Quindi, con una lettera di presentazione di un professore bussa agli austeri portoni di Harvard e viene accettata. Giustifica la mancanza dei diplomi con una storia lacrimevole: miamamma è morta di cancro (vero), mio padre mi molestava (falso).
La polizia non riesce a capire come gli impiegati non si siano accorti dell’imbroglio. E vorrebbe anche comprendere quali fossero le disponibilità finanziarie, a parte i 100 mila dollari garantiti dai prestiti statali riservati agli studenti. Una frode per la quale è ricercata. Nelle indagini entrano, ad un certo punto, gli sbirri dell’esercito. Il Dipartimento investigativo criminale teme di trovarsi di fronte a una nuova Mata Hari, che sotto le lenzuola carpisce segreti militari. «In realtà non è emerso nulla di particolare—