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GLI AFFARISTI DEI BOSS IN MANETTE​

«“Ho gestito 30 miliardi di tangenti in quattro anni, di cui la metà destinata ai politici e l’altra metà a Cosa Nostra”. Comincia così la confessione di Angelo Siino, l’ uomo che dentro Cosa Nostra aveva il ruolo di ‘ministro dei Lavori pubblici’ . Parole, le sue, che chiamano in causa i politici, gli imprenditori e i boss che per anni hanno gestito i grandi appalti in Sicilia e che ieri sono finiti nella grande retata dei carabinieri e della Guardia di finanza».

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Angelo Siino detto “Bronson” per la somiglianza con l’attore
L’articolo proveniente dall’archivio di Repubblica porta la data del 5 ottobre 1997 e inquadra perfettamente la situazione descritta dal “pentito”: «Nella caccia all’ appalto, Siino aveva svolto il ruolo di “mediatore” per conto della mafia sin dagli anni ’80 e, nelle dichiarazioni fatte ai magistrati di Palermo, precisa che il suo referente politico, fino al 1986, era stato l’ eurodeputato dc Salvo Lima, ucciso in un agguato nel 1992. Poi le cose cambiarono, Lima fu ‘scavalcato’ e da allora Siino ebbe come referente l’ imprenditore Filippo Salamone con cui decideva la distribuzione degli appalti e le quote di denaro da riservare alla mafia, “a Salvatore Riina”, precisa».

Totò Riina, nel frattempo, era stato arrestato il 15 gennaio 1993 dal Capitano Ultimo, alias Sergio De Caprio, e dalla sua Sezione Crimor del Ros dei Carabinieri guidato dal colonnello Mario Mori. Dopo 24 anni di latitanza fu imputato e condannato quale mandante di varie stragi tra cui anche gli attentati dinamitardi ai giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.

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Il capitano Ultimo, Sergio De Caprio oggi colonnello, e il superboss Totò Riina dietro le sbarre nel 1993
«Fin dal 1989 quest’ufficio avviava una serie di indagini volte a fare luce sul sistema della illecita gestione degli appalti in Sicilia. L’esito di tali indagini consentiva in un primo momento l’emissione di ordinanze di custodia cautelare in carcere da parte del giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Palermo nell’ambito del procedimento nei confronti di Angelo Siino ed altri per il reato di cui all’articolo 416-bis del Codice Penale nonché per reati di contro la pubblica amministrazione (turbativa d’asta eccetera)» rammentano invece i sei magistrati nella loro richiesta di autorizzazione a procedere nelle indagini nei confronti di Mattarella inserita dall’allora ministro della Giustizia Conso nel Doc. IV, n. 552 del 9 agosto 1993 della Camera dei Deputati.

«Venivano sviluppate altre investigazioni sulla Sirap spa, società a capitale pubblico, che risultava essere uno dei centri di principale interesse degli uomini legati al detto Siino. Le indagini portavano infatti ad evidenziat che la “Sirap spa” altro non era se non un’artificiosa costruzione giuridica volta a meglio controllare gli appalti pubblici in Sicilia» scrivono le toghe.



IL COMITATO D’AFFARI DI SALVATORE LIMA

«La Sirap, venne costituita agli inizi del 1983, dopo una serie di riunioni nella segreteria dell’ eurodeputato democristiano e negli studi professionali di altri influenti personaggi: un “comitato d’affari” che, in prima persona o insieme a Cosa Nostra, decideva a chi e in che modo dovevano essere assegnati gli appalti – riportava invece La Repubblica in un articolo del 28 maggio 1993 dal titolo “Era Salvo Lima il re di Mafiopoli” – Due anni di intercettazioni telefoniche con conversazioni tra Lima, altri politici (fino ad ora solo sfiorati dall’ indagine) e gli amministratori della Sirap, hanno confermato la tesi degli inquirenti. Nelle conversazioni e negli incontri si “studiavano” leggi e “leggine” sulla Sirap e sui finanziamenti pubblici, che invece di essere approvate nella loro sede naturale, l’ Assemblea regionale siciliana, venivano “deliberate” nella segreteria dell’ eurodeputato o negli uffici dei suoi più stretti collaboratori. Queste “deliberazioni” ottenevano poi l’ approvazione ufficiale delle forze politiche di maggioranza all’ Assemblea regionale siciliana.

Destinatario del provvedimento restrittivo insieme a Siina era stato anche il geometra Giuseppe Li Pera, capo-area per al Sicilia della “Rizzani de Eccher spa” di Udine che nel corso del successivo dibattimento processuale diventerà il grande pentito come riortò sempre il quotidiano romano in un successivo articolo.

Li Pera – scrivono invece sempre i magistrati nell’istanza alla Camera, «iniziava a dare un apprezzabile contributo all’intera attività investigativa descrivendo il sistema illecito di gestione lottizzatoria degli appalti, imperniato sul pagamento di “tangenti” ed all’interno del quale venivano applicate ben precise regole, con svolgimento di ben determinate funzioni da parte di politici, pubblici funzionari, imprenditori, progettisti, direttori dei lavori eccetera».

«L’apporto di Li Pera unitamente alle dichiarazioni nel frattempo rese da alcuni imprenditori, e la ulteriore collaborazione di altre persone, portava all’emissione, in data 25 maggio 1993, di un’ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti di esponenti mafiosi, ai quali veniva addebitata una concreta ingerenza in taluni appalti di opere pubbliche realizzate in Sicilia nonché nei confronti di imprenditori operanti in Sicilia e in ambito nazionale, ai quali veniva impuyato il reato di associazione per delinquere aggravata finalizzata alla monopolizzazione degli appalti pubblici» si legge sempre nella richiesta per procedere contro il deputato Mattarella.
 

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