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Telefonini e sigarette: tutti i benefit dei clandestini - Cronache - iltempo








07/06/2014 06:06
ESPULSIONI A PESO D'ORO
Telefonini e sigarette: tutti i benefit dei clandestini
Gli ospiti dei 13 centri d’identificazione d’Italia costano 40 euro al giorno più gli extra. APPROFONDIMENTO: Sangue sputi e calci per bloccare i rimpatri SPRECHI NEI CIE: bluff identificazioni




Cie
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Ogni giorno un pacchetto di sigarette e una scheda telefonica da 5 euro. E poi scarpe, tuta, felpa, mutande, asciugamani, calzini, magliette, dentifricio, spazzolino, pettine, shampo e bagnoschiuma, lenzuola pulite ogni due giorni, per le federe un po’ di pazienza: tre giorni.
Sissignori, avete letto bene: sigarette e scheda telefonica. Perché si sa che i vizi, quelli, è difficile perderli. E allora, clandestini, benvenuti in uno dei 13 Cie (Centri per l’identificazione e l’espulsione, ndr) d’Italia, Paese di Bengodi che non lesina, quando si tratta d’accoglienza. Gli immigrati irregolari e gli extracomunitari "pizzicati" sul suolo italico senza uno straccio di documento valido per starci, né documenti per l’identificazione, costano allo Stato 40 euro al giorno, che per un mese fa 1200 euro, benefit esclusi: lo stipendio medio di un impiegato italiano. Quei centri che per qualcuno sono vere e proprie carceri, a guardar bene e facendo due conti costano allo Stato quanto dei residence.
Dal 2010 ad oggi, la sola prefettura di Roma, che tratta i casi di stranieri fermati in provincia, ha disposto l’accoglienza nei vari Cie della Penisola in seguito all’emissione di un decreto di espulsione, per più di 19 mila persone. Di queste ne sono stati rimpatriate appena 3.700. Ora una domanda: che fine hanno fatto i restanti 15.300 clandestini ospiti dei Cie? Presto detto. Una parte potrebbe aver richiesto e ottenuto lo status di rifugiato politico, oppure potrebbe aver lasciato il Cie per decorrenza dei termini dopo essersi appellato al primo rigetto della commissione. Sforare i 60 giorni (30 più altri 30 prorogabili dal Giudice di pace) entro cui l’Ufficio immigrazione deve reperire documenti validi per l’espatrio, è infatti la norma. Si può tornare così a scorrazzare per l’Italia con un ordine del Questore a lasciare il Paese entro 7 giorni, pena una denuncia al Giudice di pace e un’ammenda da 10 mila a 20 mila euro (Sic!). Reperire dai consolati dei Paesi di provenienza dei clandestini un titolo valido per il rimpatrio, non è solo una corsa contro il tempo, ma un braccio di ferro estenuante con i consolati stranieri che prima di riprendersi i propri concittadini ci pensano non due ma quattro volte. Per un’altra piccola parte degli stranieri ospitati nei Cie in attesa dell’identificazione potrebbero aprirsi invece le porte di un carcere italiano qualora si scoprisse che il soggetto ha precedenti penali. Ma non finisce qui. Per terminare il conto e capire che fine abbiano fatto le 15 mila e più persone rimaste nei Cie a nostre spese, bisogna provare ad immaginare il peggio. Di casi limite ce ne possono essere tanti. Uno per tutti, la fuga. Il miglior modo per darsela a gambe da un Cie è richiedere una visita medica. Il personale del Cie è costretto a inviare i soggetti in ospedale dove vengono affidati ai medici. Non trattandosi di persone in arresto, ma di ospiti, gli agenti di polizia non sono infatti tenuti a piantonarli. I medici, da parte loro, non sono tenuti a trattenerli con la forza. Ecco che la fuga dall’ospedale diventa, per chi vuole evitare il rimpatrio in estremis, un gioco da ragazzi.
Ipotizzando una permanenza media di 60 giorni nel Cie (il tempo massimo stabilito dalla legge è di 180 giorni, 5 mesi, ndr) e un costo mensile di 1600 euro, cifra tonda pasti inclusi, i clandestini trattati dalla sola Prefettura romana ci sono costati, dal 2010 ad oggi, quasi 5 milioni di euro, più di un milione l’anno. Nel solo Cie romano di Ponte Galeria, attualmente sono ospitati circa 70 uomini e 30 donne, e non ci sono altri posti. Nei 13 centri d’Italia, in questi giorni, le brande libere si contano sulle dita di una mano. Ciò significa che un clandestino per il quale è stato emesso a Roma un decreto d’espulsione, dovrà essere scortato magari a Bari o a Milano: due uomini, se non tre per i casi più "indisciplinati", e un’auto sottratta al controllo del territorio. Trasferta andata e ritorno in giornata, il «servizio navetta» di ogni residence che si rispetti.
Mat. Vin.














Ogni clandestino ci costa 25mila euro
Ecco le cifre stratosferiche per rimpatriare gli stranieri. Nuova ondata di arrivi: soccorsi 17 barconi con 2500 migranti a bordo



IIMMIGRAZIONE: PORTA DROGA IN CIE ROMA, ARRESTATA AVVOCATESSA
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Per ogni clandestino rimpatriato l’Italia spende 25mila euro, lo stipendio annuo di un impiegato statale. Ora moltiplicate questa cifra per 41.000, ovvero il numero di cittadini extracomunitari che dal 2010 non sono stati rimpatriati materialmente ma solo «accompagnati» all’Ufficio Immigrazione della Prefettura di Roma per le pratiche d’espulsione. Avrete un esborso (potenziale) pazzesco: oltre un miliardo di euro (per l’esattezza 1.025.000.000). Una tombola.
Di fronte a ipotesi del genere non sappiamo se essere contenti per il bene delle casse nazionali, pur se in parte sostenute dall’Unione Europea, o scontenti perché sul territorio tricolore circolano impunemente migliaia di clandestini. Questa cifra, insieme ad altre che vi daremo dopo aver scovato i veri numeri dell’emergenza immigrazione in Italia (fino a oggi rimasti nascosti) dà la misura di un problema che sembra senza soluzione.
Tra i casi di stranieri «lavorati» dagli uffici di polizia e i rimpatri realmente effettuati dalle forze dell’ordine, c’è dunque una bella differenza. Prendete il rapporto tra i decreti d’espulsione emessi delle Prefetture e gli accompagnamenti alla frontiera: è di cinque a uno, se non inferiore. Nel 2010, per esempio, i semplici decreti di espulsione (quelli dove si impone agli uffici di rispedire i clandestini nei loro Paesi) nella provincia di Roma, sono stati poco più di 5.500.
«Decreti di espulsione emessi», è una frase con cui i ministri dell’Interno dei governi di centrodestra e centrosinistra che si sono alternati negli ultimi anni alla guida del Paese, si sono sempre riempiti la bocca. Inconsapevoli, forse, che tra l’emissione di un decreto di espulsione e far (ri)varcare la frontiera a un clandestino ci passa invece un abisso, spesso quello stesso Mar Mediterraneo che se è stato capace di traghettare dalle coste nordafricane carrette di disperati, allo stesso modo è incapace di invertire la corrente per riportare in patria chi non ha diritto a stare nel nostro Paese.
A fronte di quei 5.500 «espulsi», nello stesso anno i rimpatriati sono stati appena un migliaio. E più passano gli anni, più diminuiscono gli accompagnamenti alla frontiera. Nel 2013 il numero dei clandestini portati all’"ufficio immigrazione" della Questura di Roma è sceso a quota 6400, i decreti di espulsione emessi sono stati circa 2700, gli extracomunitari imbarcati su un aereo e consegnati alle autorità del Paese di provenienza, appena 670.
Sì, seicentosettanta. E qualche giorno fa sulle nostre coste, in una sola notte, ne sono sbarcati tremila. I conti, a ben vedere, non tornano: essere rimpatriati è più difficile che approdare in Italia. E 25mila euro per un rimpatrio resta una cifra stratosferica. Ma non solo. C’è un altro dato su cui bisogna riflettere. Di quelle 2680 persone fermate a Roma e destinate al rimpatrio nel corso del 2013, 450 sono finite nei Cie ( Centri d’identificazione ed espulsione, prima si chiamavano Cpt, ndr ). Chi ha ogni giorno a che fare con le pratiche di rimpatrio degli extracomunitari sarebbe pronto a mettere la mano sul fuoco, quando dice: «Di quei 450 rimasti nei Cie, probabilmente, ad oggi ne saranno stati rimpatriati il 10 per cento, altri avranno ottenuto lo status di rifugiato politico, i restanti staranno bighellonando per l’Italia fino a che non verranno fermati un’altra volta, forse già l’ennesima volta».
Un costo, quello della permanenza nei Cie, che fa lievitare il nostro calcolo. I 180 giorni (cinque mesi) concessi dalla normativa come tempo limite per l’identificazione e l’espulsione sono un’eternità per gli ospiti e per lo Stato, che sborsa 40 euro al giorno per ogni straniero nei Cie: 1200 euro al mese, quindi 6000 euro per tutto il periodo concesso, a cui vanno aggiunti alcuni singolarissimi benefit. Le persone alloggiate nei Centri di identificazione ed espulsione, di fatto, vengono stipendiate con il salario medio di un lavoratore italiano.
Altro caso quello dei cittadini comunitari, per i quali lo Stato ha gettato la spugna. Le frontiere aperte vanificano gli sforzi e le risorse messe in campo per mandarli via. E ancora una volta basta guardare i numeri: dai circa duemila allontanamenti eseguiti a Roma nel 2010, si è passati ai 650 del 2013.
Ma torniamo agli extracomunitari e cerchiamo di capire perché, alla fine della giostra, il numero delle persone che salgono fisicamente su un aereo per essere rimpatriate è così basso. Un mix di lungaggini burocratiche, normative confusionarie, cavilli giuridici e mancanza di collaborazione da parte dei consolati di appartenenza degli extracomunitari rendono vano il lavoro svolto dalle forze dell’ordine, e più in particolare dei funzionari di polizia a cui spetta il compito di dare un volto e un nome a chi viene fermato per un controllo o arrestato per aver commesso un reato sul nostro territorio.
Un dedalo di passaggi improbabili e di beffe subite che portano gli operatori sull’orlo di una crisi di nervi, mentre clandestini spacciatori, violenti, trans e presunti minorenni (dall’età non definita) alla fine la fanno franca, da sempre consapevoli che l’Italia è il Paese di Bengodi, che quel Mare Nostrum, più che nostro, è loro, e che i Paesi d’origine non hanno alcuna intenzione di riprenderseli.
La nostra inchiesta inizia qui, dai dati e dai costi, per la comunità, dell’immigrazione. Leggeteli con cura. Date uno sguardo alla nazionalità degli extracomunitari trattati dagli uffici romani, e Roma, si sa, per certe cose è lo specchio dell’Italia. Vi renderete conto che la Primavera Araba, fin dall’esodo tunisino, per i Paesi del Nordafrica è stata una grande occasione per spedire in Europa (passando da qui) il peggio del peggio, e un’ottima scusa per negare il rimpatrio a chi, già in Italia da anni, ha mostrato il peggio di sé.
«Grazie agli accordi con Tunisi è stato creato un ufficio ad hoc all’aeroporto di Palermo, Punta Raisi, per l’identificazione e il rimpatrio immediato dei clandestini che sbarcavano a frotte sulle nostre coste. Il consolato concedeva visti di ingresso in Tunisia solo a quei "poveri cristi" che avevano la fedina penale pulita e chissà cosa avevano passato pur di scappare da quell’inferno. Gli altri restassero pure in Europa». Un caso raro: «Ricordo che una volta, con un charter, riuscimmo finalmente a rimpatriare in Tunisia un gruppo di clandestini che avevano commesso reati nel nostro Paese. Per accompagnarli noi eravamo un esercito. Quando sbarcammo a Tunisi, una donna, una sola donna, li prese in consegna sotto la scaletta dell’aereo. Aveva un frustino in mano. Loro abbassarono la testa e come pecorelle salirono in fila indiana sul pullmino che li portava in carcere».
Sono solo due passaggi dei tanti racconti dei nostri operatori durante i giorni di preparazione di quest’inchiesta sull’immigrazione. Gli altri li leggerete nelle prossime puntate.
Maurizio Gallo e Matteo Vincenzoni
 

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