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Marea nera in Sardegna, adesso il petrolio minaccia anche l’isola della Maddalena


Il disastro ambientale è stato causato dall’incidente allo stabilimento E.On di Porto Torres, lo scorso 11 gennaio. Almeno 15mila litri di olio combustibile finiti in mare, vicinissimi ad alcune fra le più belle spiagge dell’isola




Sembrava tutto sotto controllo ma ora il catrame minaccia anche La Maddalena. Rassicurazioni e ottimismo della prima ora non sembrano essere bastati a fermare la marea nera nel nord della Sardegna, dopo l’incidente allo stabilimento E.On di Porto Torres, lo scorso 11 gennaio. Almeno 15mila litri di olio combustibile finiti in mare, vicinissimo ad alcune fra le più belle spiagge dell’isola, da Platamona a Stintino e proprio di fronte all’area marina protetta del Parco Nazionale dell’Asinara. Diverse chiazze nere che, galleggiando verso est, hanno raggiunto nel corso delle ultime quarantotto ore anche le coste della Gallura, da Santa Reparata alla penisola di Capo Testa e che ora mettono a rischio anche il paradiso di Spargi e tutto l’arcipelago protetto della Maddalena.

Difficile stimare i danni reali un’emergenza ambientale che all’inizio della settimana fa veniva considerata conclusa dalle autorità marittime locali e che ha invece invece spinto il Capo del Compartimento Marittimo di La Maddalena ha dichiarare venerdì lo stato di emergenza, in una confusione informativa e istituzionale che non lascia presagire niente di buono per le reali conseguenze dell’incidente di Fiume Santo sull’ecosistema di uno dei tratti di costa più belli del Paese.

L’impressione dei tecnici dell’Ispra arrivati a monitorare la situazione è che “il grosso delle piccole chiazze di catrame siano già spiaggiate” ma le ricognizioni in mare e sui fondali di fronte alle spiagge continueranno anche nei prossimi giorni, mentre sono già sei le tonnellate di materiale inquinante recuperate nel corso della settimana dai volontari e dalle ditte incaricate della pulizia della costa. “Va posta un’attenzione elevata per il fatto che il prodotto, essendo molto pesante, è potenzialmente rischioso per l’ambiente marino”, ha specificato il responsabile del Servizio emergenza ambientale dell’Ispra, Luigi Alcaro, alimentando di fatto timori già espressi dalle associazioni ambientaliste e dai comitati cittadini che chiedono una maggiore informazione sul reale impatto della marea nera.

“Ci chiediamo quanti litri di petrolio siano ancora in mare, quanti abbiano soffocato la poseidonia, una pianta acquatica che provvede all’ossigenazione dell’acqua, e quanti animali marini siano morti in un’area tanto importante per la biodiversità e, in particolare, per i cetacei”, è il messaggio che arriva dall’Ente nazionale protezione animali (Enpa), preoccupato per una possibile contaminazione anche dell’area protetta del Santuario dei cetacei. “Pretendere di voler conciliare la presenza di insediamenti industriali non sicuri in aree marine protette è simbolo di un atteggiamento schizofrenico, incompatibile con una reale volontà di tutela del territorio e della biodiversità”, dichiara a ilfattoquotidiano.it il direttore scientifico dell’ente, Ilaria Ferri.

“Siamo preoccupati dallo stato delle strutture dello stabilimento, l’azienda avrebbe dovuto premunirsi contro il rischio di fuoriuscite all’esterno” afferma invece Massimo Fresi, responsabile del locale circolo di Legambiente. “Il danno poteva essere peggiore, fortunatamente siamo in inverno e le basse temperature facilitano l’amalgamazione dell’olio combustibile e quindi anche una sua più facile asportazione”.

Dalla E.Con, il gruppo energetico responsabile dell’impianto di Fiume Santo, arrivano intanto le prime risposte sulle dinamiche dell’incidente, anche in seguito alla mobilitazione di un gruppo di cittadini su Facebook “Disastro ambientale a Porto Torres e Platamona: vogliamo risposte! “Non c’e’
 
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