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Allarme antibiotici nel latte italiano: i marchi a rischio
Tra le marche italiane prese in esame ci sono nomi noti
24 gennaio 2020
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Un’inchiesta de Il Salvagente spaventa i consumatori italiani: il latte del Belpaese, compreso quello di marchi noti, presenta tracce di antibiotici e farmaci.
Tra le marche prese in esame ci sono nomi noti come Parmalat, Granarolo, Coop, Conad, Lidl, Esselunga e Carrefour.
L’analisi è stata condotta dall’Università Federico II di Napoli e l’Università di Valencia, e insieme hanno portato alla luce un quadro tutt’altro che idilliaco, in più della metà delle confezioni è stata riscontrata la presenza di farmaci al suo interno.
I farmaci riscontrati con maggiore frequenza sono stati dexamethasone (un cortisonico), il neloxicam (antinfiammatorio) e l’amoxicillina (un antibiotico), in concentrazioni tra 0,022 mcg/kg e 1,80 mcg/kg.
La presenza di antibiotici, come insegna la pesca d’allevamento, è tutt’altro che inedita: vengono utilizzati per curare la mastite nelle vacche, e può capire che qualche residuo quindi finisca nel latte. E infatti le aziende in questione si sono dimostrate disponibili e favorevoli a partecipare alle analisi, e si sono dette sicure di voler risolvere il problema.
Le indagini di Salvagente sono quindi un tentativo di informare e sensibilizzare su una questione, per quanto comprensibile, ancora poco nota ai consumatori. Niente allarmismi, secondo la rivista, perché tutto in regola con i limiti di legge. C’è però un rischio, per neonati e bambini, legato all’assuefazione ai medicinali e allo sviluppo di batteri resistenti.
“Queste analisi – spiega il direttore della rivista Riccardo Quintili – non vogliono essere una penalizzazione alle aziende nelle cui confezioni abbiamo trovato residui di farmaci. Molte si sono mostrate sensibili. L’interesse era sollevare un potenziale rischio per trovare soluzioni”. Da dove provengono questi residui di medicinali? Secondo Enrico Moriconi, veterinario e Garante degli animali della Regione Piemonte, sono “usati per curare le mastiti, cioè infezioni alle mammelle, nelle vacche da latte”. Cortisonici e antinfiammatori sono impiegati come coadiuvanti.
“L’assunzione costante di piccole dosi di antibiotico – evidenzia Ruggiero Francavilla, pediatra, gastroenterologo dell’Università di Bari – con gli alimenti possono determinare una pressione selettiva sulla normale flora batterica intestinale a vantaggio dei batteri resistenti agli antibiotici che possono diventare più rappresentati”. I risultati confermano quelli di una ricerca su 56 latti italiani, pubblicata sul Journal of Dairy Science. “Neonati e bambini sono particolarmente esposti – conclude Alberto Ritieni, professore di Chimica degli alimenti della Federico II – e potrebbero risultare più vulnerabili. Per questo un monitoraggio costante degli allevamenti sarebbe necessario”.
Tag: brand
ALLORA:
possono determinare una pressione selettiva sulla normale flora batterica intestinale a vantaggio dei batteri resistenti agli antibiotici che possono diventare più rappresentati”.
LA STESSA COSA SUCCEDE ALL'ESSERE UMANO
L'INTESTINO è IL PRIMO CERVELLO"SERBATOIO" CHE INVIA AL "MOTORE" CEVELLO LA "BENZINA" MA SE INVECE DA QUELLO CHE MANGIAMO INVIA "GASOLIO" SECONDO VOI COSA SUCCEDE ?
SEMPLICE NO ?
SECONDO VOI PERCHE GLI VIENE LA MASTITE?
vengono utilizzati per curare la mastite nelle vacche
LE MAMMELLE SI INFIAMMANO PERCHE GLI TOLGONO IL LATTE PIU DE DOVUTO QUINDI GIU ANTIBIOTICI.
pUR DI VENDERE OBBLIGANO GLI ANTIBIOTICIE A TUTTI GLI ANIMALI DALLE GALLINE IN SU ED ANIMALI DA COMPAGNIA,CANI E GATTI ECC.
ESSI DISTRUGGONO LA FLORA INTESTINALE A QUEL PUNTO ARRIVA DI TUTTO QUALSIASI MALATTIA ......E POI TI DANNO ALTRE MEDICINE ECC.
******
ai bambini che bevono il latte gli distruggi la flora batterica intestinale che causa allergie e malattia di ogni genere.
*****
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Polli e farmaci: aumenta l’antibiotico-resistenza. Uno scenario allarmante anche per gli esseri umani.
Paola Emilia Cicerone 19 Aprile 2016 Allerta Commenti
Ogni anno muoiono a causa dell’antibiotico- resistenza fra 5 e 7mila persone
La crescente presenza di batteri antibiotico-resistenti, dovuta all’uso eccessivo e improprio di farmaci, è forse il principale problema degli allevamenti intensivi di animali da reddito soprattutto nel settore dei polli da carne. La questione è legata ai metodi di allevamento e alla qualità della vita degli animali, come evidenzia il recente report del Ministero della salute sulla presenza di batteri antibiotico-resistenti negli avicoli. Il documento rivela la presenza di livelli preoccupanti di antibiotico-resistenza nei polli. Si tratta di un dossier diffuso dall’associazione Compassion in Word Farming CIWF, che chiede al Ministro – anche attraverso una petizione popolare – di proporre un piano obbligatorio per ridurre il consumo di antibiotici, con obiettivi e scadenze precisi, analogamente a quanto è stato fatto in altri paesi, in modo da abolire ”l’uso sistematico e profilattico” di questi farmaci.
Quello dell’antibiotico resistenza (fenomeno chiamato così perché alcuni batteri patogeni sviluppano una resistenza agli antibiotici impiegati per curare le malattie dell’uomo), è un problema che non riguarda solo i farmaci veterinari visti gli evidenti risvolti sulla nostra salute. In Italia, secondo dati della SIMIT (Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali), ogni anno muoiono a causa dell’antibiotico resistenza fra 5 e 7 mila persone, con un costo annuo superiore a 100 milioni di euro. Il rischio è che la diffusione dell’antibiotico resistenza in campo veterinario, oltre a rendere più difficile il controllo delle malattie infettive negli animali di allevamento, aumenti il rischio che batteri antibiotico-resistenti siano trasferiti direttamente o indirettamente all’uomo.
L’’Italia è il paese europeo con il più alto consumo di antibiotici negli allevamenti
L’origine di molti problemi attuali risale dagli anni ‘50, quando negli allevamenti intensivi venivano somministrati agli animali in modo sistematico piccole dosi di antibiotici nei mangimi come promotori della crescita (per prevenire patologie intestinali e altri problemi sanitari in grado di rallentare l’incremento di peso dei polli). Questa pratica è stata vietata in Europa solo nel 2006. Oggi il trattamento a base di antibiotici può essere fatto solo in tre casi. Il caso più diffuso è quello collegato a ragioni terapeutiche (curare un singolo animale o un gruppo colpiti da una malattia infettiva). Ci sono pure i trattamenti per metafilassi, ovvero la somministrazione ad animali sani che potrebbero essersi infettati a contatto con soggetti malati: in questo caso l’antibiotico serve per prevenire un’ulteriore diffusione della malattia, la cui presenza deve comunque essere accertata. Il terzo caso riguarda la profilassi a scopo preventivo, cioè la somministrazione ad animali sani per prevenire infezioni: una pratica considerata accettabile quando il rischio di contagio è elevato e l’infezione grave. La profilassi, nonostante i numerosi controlli veterinari e il costo dei trattamenti, è comunque un modo per aprire la porta all’uso improprio e illecito dei farmaci.
In Italia il consumo veterinario di antibiotici è +136,8% rispetto alla media europea
Il problema ci riguarda da vicino, visto che dai pochi dati disponibili – come il primo rapporto congiunto ECDC/EFSA/EMA diffuso nel 2015 – l’Italia si distingue come il paese europeo con il più alto consumo di antibiotici negli allevamenti degli animali da reddito. Secondo i dati ministeriali molti dei ceppi di batteri individuati sui campioni esaminati come ad esempio Escherichia coli, Campylobacter spp. e Salmonella spp. responsabili di infezioni anche gravi – hanno sviluppato resistenza nei confronti degli antibiotici più comuni. Più precisamente il 90% dei ceppi di Campylobacter jejuni ha mostrato resistenza ai fluorochinoloni mentre il 5% ha mostrato resistenza a più antibiotici. Nel caso di Salmonella spp., l’83% dei ceppi isolati ha mostrato resistenza ai fluorochinoloni, l’82% alle tetracicline (la classe di antimicrobici più venduta in Italia), più del 3% alle cefalosporine di 3° e 4° generazione, mentre il 78% mostra una resistenza multipla. Per Escherichia coli la resistenza ai fluorochinoloni è presente nel 67% dei campioni, quella alle cefalosporine di 3° e 4° generazione nel 6,47%. Inoltre l’80% circa ha mostrato una resistenza multipla.
Infine, per i campioni di Escherichia coli produttori di ESBL o AmpC o carbapenemasi – enzimi che conferiscono resistenza a farmaci importanti per l’uomo – il 95% ha mostrato resistenza multipla. A rafforzare questi dati, arriva una ricerca dell’Istituto zooprofilattico del Veneto, che riguarda ceppi batterici produttori di beta-lattamasi a spettro esteso (ESBL): anche in questo caso, tutti i ceppi di Escherichia coli analizzati presentano elevati livelli di resistenza per la maggior parte degli antibiotici testati.
I risultati sulla diffusione dei medicinali rappresentano una situazione alquanto allarmante
Altrettanto allarmanti i dati presenti nel Piano nazionale per l’uso responsabile del farmaco veterinario e per la lotta all’antibiotico resistenza in avicoltura, elaborato dal Ministero della salute insieme alla Società Italiana di patologia Aviare e all’associazione UNA Italia. Il documento evidenzia che il consumo di antibiotici destinati agli allevamenti in Italia di antibiotici di particolare importanza terapeutica risulta decisamente superiore rispetto alla media europea (+136,8%). Secondo la Federazione Nazionale Ordine Veterinari Italiani (FNOVI) “i risultati rappresentano una situazione alquanto allarmante soprattutto per alcuni antimicrobici quali tetracicline, sulfamidici, amminopenicilline e chinolonici”.
Il piano ministeriale per gli avicoli, reperibile presso il sito del Sistema Informativo per l’Epidemiologia Veterinaria, oltre a prevedere un sistema di monitoraggio sull’uso degli antibiotici, mette l’accento sulla necessità di ridurre il ricorso alle metafilassi e rinunciare alla profilassi, ed evitare per quanto possibile il ricorso agli antibiotici più utilizzati per gli umani e in particolare fluorochinoloni, macrolidi e polimixine. Si tratta di un’iniziativa importante, visto che per un’efficace lotta all’antibiotico-resistenza è indispensabile disporre di dati precisi sull’impiego di questi medicinali negli allevamenti. L’efficacia dell’iniziativa ha il grosso limite di prevedere l’adesione al sistema di controlli su base volontaria, così come sono volontarie le iniziative per promuovere la ricetta elettronica adottata da alcune regioni. A oggi, nonostante la richiesta di associazioni come il CIWF, non è possibile sapere quante e quali aziende abbiano aderito all’iniziativa.
E SOLO TUTTA COLPA POLITICA
LA FARMACEUTICA COMPRA TUTTO E TUTTI.
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Le verità sul pollo che ancora gli italiani non sanno
Home > Grande Notizia > Le verità sul pollo che ancora gli italiani non sanno
di VALERIO GUIGGI 12 Agosto 2015
15
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Mangi il pollo precotto pagato 7 € al supermercato. Addenti la coscia. L’osso ti resta in mano, il muscolo tra i denti. Per reazione il pensiero compone parole minacciose come ormoni, antibiotici, maltrattamenti [continua…]
Quante verità sappiamo noi italiani sul pollo? Pochine, a giudicare dai risultati di un sondaggio Doxa per UnaItalia, un’associazione di filiera della carni avicole.
Vi riproponiamo le domande: i patti sono che prima di leggere le risposte provate a replicare da soli. Più indovinate più vi allontanate dallo status di pollo. Tutto chiaro?
1. I polli vengono allevati in batteria?
La maggior parte degli italiani pensa di sì, probabilmente per le molte campagne animaliste che condannano la crudeltà dell’allevamento nelle batterie (gabbie) e il debeccaggio.
Ma i polli non sono allevati in batteria da almeno 50 anni.
Se il pollo venisse allevato nelle batterie non si muoverebbe. Starebbe sempre accovacciato e poggiando sempre per terra il petto, che ha dimensioni esagerate, s’infiammerebbe rendendo la carne viola e impossibile da vendere. Una bella perdita per gli allevatori.
Quelle che invece crescono nelle batterie sono le galline, certo, polli pure loro (Gallus gallus) ma comunemente intese come femmine deputate a fare le uova. Le galline si possono allevare in tre modi: a terra, all’aperto o in batteria. Metodo quest’ultimo che molti allevatori adottano per ridurre al minimo il rischio di contaminazioni tra il guscio dell’uovo e le deiezioni della gallina.
2. Ai polli si danno gli ormoni?
Gli ormoni sono vietati, prima dalle autorità sanitarie italiane che effettuano ogni anno migliaia di controlli a campione, poi da una legge europea. Se oggi i polli sono più grandi rispetto a 30 anni fa è per motivi diversi. E’ migliorata l’alimentazione, come abbiamo visto non esiste più l’allevamento in batteria e il controllo delle malattie negli animali è aumentata.
3. Ai polli si danno gli antibiotici?
Siccome i batteri, compresi quelli responsabili delle malattie umane, sono sempre più resistenti ai medicinali, nei 3000 allevamenti avicoli italiani si ricorre alla terapia antibiotica. Ma solo se strettamente necessario, cioè quando i polli sono malati. In questo caso è obbligatorio rispettare il cosiddetto “tempo di sospensione”, cioè il tempo necessario agli animali per smaltire il farmaco. Infine la cottura elimina i rischi legati alla presenza di batteri.
4. Il pollo va lavato prima di cucinarlo?
La pelle dei polli è piena di batteri pericolosi tipo Salmonella o Campylobacter che, come detto, vengono uccisi dalla cottura. Lavare il pollo prima di cucinarlo espone invece a dei rischi potenziali: i batteri potrebbero scivolare nel lavabo, venire a contatto con altri alimenti in attesa di essere lavati, per esempio l’insalata che poi mangiamo cruda… Meglio evitare, per farla breve.
5. Da dove viene il pollo che si trova al supermercato?
Sembrerà strano ma è vero Made in Italy, nel senso che viene dall’Italia. Il 99% dei nostri polli è nato, allevato e cresciuto in Italia perché importarlo non è economicamente vantaggioso. Non sarebbe vantaggioso neache importare il latte, ma ci sono (o comunque c’erano fino a poco fa) le Quote Latte e questo è un altro discorso. Non esistono invece le Quote Pollo, di conseguenza agli avicoltori conviene allevare i polli in Italia.
Allora, a quante domande avete risposto esattamente?
PS: Volete sapere perché nei polli precotti pagati 7 € al supermercato l’osso resta in mano e il muscolo tra i denti?Perché sono giovanissimi, avranno sì e no 45 giorni. Il muscolo non ha avuto il tempo necessario per aderire all’osso come invece avviene nei galletti, cioè i maschi delle galline ovaiole, che crescendo più lentamente vengono macellati quando hanno qualche mese di vita. Costano di più, ma se volete mangiare una coscia come si deve, quei polli dovete evitarli.
Non fate i polli.
www.dissapore.com
Tra le marche italiane prese in esame ci sono nomi noti
24 gennaio 2020
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Un’inchiesta de Il Salvagente spaventa i consumatori italiani: il latte del Belpaese, compreso quello di marchi noti, presenta tracce di antibiotici e farmaci.
Tra le marche prese in esame ci sono nomi noti come Parmalat, Granarolo, Coop, Conad, Lidl, Esselunga e Carrefour.
L’analisi è stata condotta dall’Università Federico II di Napoli e l’Università di Valencia, e insieme hanno portato alla luce un quadro tutt’altro che idilliaco, in più della metà delle confezioni è stata riscontrata la presenza di farmaci al suo interno.
I farmaci riscontrati con maggiore frequenza sono stati dexamethasone (un cortisonico), il neloxicam (antinfiammatorio) e l’amoxicillina (un antibiotico), in concentrazioni tra 0,022 mcg/kg e 1,80 mcg/kg.
La presenza di antibiotici, come insegna la pesca d’allevamento, è tutt’altro che inedita: vengono utilizzati per curare la mastite nelle vacche, e può capire che qualche residuo quindi finisca nel latte. E infatti le aziende in questione si sono dimostrate disponibili e favorevoli a partecipare alle analisi, e si sono dette sicure di voler risolvere il problema.
Le indagini di Salvagente sono quindi un tentativo di informare e sensibilizzare su una questione, per quanto comprensibile, ancora poco nota ai consumatori. Niente allarmismi, secondo la rivista, perché tutto in regola con i limiti di legge. C’è però un rischio, per neonati e bambini, legato all’assuefazione ai medicinali e allo sviluppo di batteri resistenti.
“Queste analisi – spiega il direttore della rivista Riccardo Quintili – non vogliono essere una penalizzazione alle aziende nelle cui confezioni abbiamo trovato residui di farmaci. Molte si sono mostrate sensibili. L’interesse era sollevare un potenziale rischio per trovare soluzioni”. Da dove provengono questi residui di medicinali? Secondo Enrico Moriconi, veterinario e Garante degli animali della Regione Piemonte, sono “usati per curare le mastiti, cioè infezioni alle mammelle, nelle vacche da latte”. Cortisonici e antinfiammatori sono impiegati come coadiuvanti.
“L’assunzione costante di piccole dosi di antibiotico – evidenzia Ruggiero Francavilla, pediatra, gastroenterologo dell’Università di Bari – con gli alimenti possono determinare una pressione selettiva sulla normale flora batterica intestinale a vantaggio dei batteri resistenti agli antibiotici che possono diventare più rappresentati”. I risultati confermano quelli di una ricerca su 56 latti italiani, pubblicata sul Journal of Dairy Science. “Neonati e bambini sono particolarmente esposti – conclude Alberto Ritieni, professore di Chimica degli alimenti della Federico II – e potrebbero risultare più vulnerabili. Per questo un monitoraggio costante degli allevamenti sarebbe necessario”.
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possono determinare una pressione selettiva sulla normale flora batterica intestinale a vantaggio dei batteri resistenti agli antibiotici che possono diventare più rappresentati”.
LA STESSA COSA SUCCEDE ALL'ESSERE UMANO
L'INTESTINO è IL PRIMO CERVELLO"SERBATOIO" CHE INVIA AL "MOTORE" CEVELLO LA "BENZINA" MA SE INVECE DA QUELLO CHE MANGIAMO INVIA "GASOLIO" SECONDO VOI COSA SUCCEDE ?
SEMPLICE NO ?
SECONDO VOI PERCHE GLI VIENE LA MASTITE?
vengono utilizzati per curare la mastite nelle vacche
LE MAMMELLE SI INFIAMMANO PERCHE GLI TOLGONO IL LATTE PIU DE DOVUTO QUINDI GIU ANTIBIOTICI.
pUR DI VENDERE OBBLIGANO GLI ANTIBIOTICIE A TUTTI GLI ANIMALI DALLE GALLINE IN SU ED ANIMALI DA COMPAGNIA,CANI E GATTI ECC.
ESSI DISTRUGGONO LA FLORA INTESTINALE A QUEL PUNTO ARRIVA DI TUTTO QUALSIASI MALATTIA ......E POI TI DANNO ALTRE MEDICINE ECC.
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ai bambini che bevono il latte gli distruggi la flora batterica intestinale che causa allergie e malattia di ogni genere.
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Polli e farmaci: aumenta l’antibiotico-resistenza. Uno scenario allarmante anche per gli esseri umani.
Paola Emilia Cicerone 19 Aprile 2016 Allerta Commenti

La crescente presenza di batteri antibiotico-resistenti, dovuta all’uso eccessivo e improprio di farmaci, è forse il principale problema degli allevamenti intensivi di animali da reddito soprattutto nel settore dei polli da carne. La questione è legata ai metodi di allevamento e alla qualità della vita degli animali, come evidenzia il recente report del Ministero della salute sulla presenza di batteri antibiotico-resistenti negli avicoli. Il documento rivela la presenza di livelli preoccupanti di antibiotico-resistenza nei polli. Si tratta di un dossier diffuso dall’associazione Compassion in Word Farming CIWF, che chiede al Ministro – anche attraverso una petizione popolare – di proporre un piano obbligatorio per ridurre il consumo di antibiotici, con obiettivi e scadenze precisi, analogamente a quanto è stato fatto in altri paesi, in modo da abolire ”l’uso sistematico e profilattico” di questi farmaci.
Quello dell’antibiotico resistenza (fenomeno chiamato così perché alcuni batteri patogeni sviluppano una resistenza agli antibiotici impiegati per curare le malattie dell’uomo), è un problema che non riguarda solo i farmaci veterinari visti gli evidenti risvolti sulla nostra salute. In Italia, secondo dati della SIMIT (Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali), ogni anno muoiono a causa dell’antibiotico resistenza fra 5 e 7 mila persone, con un costo annuo superiore a 100 milioni di euro. Il rischio è che la diffusione dell’antibiotico resistenza in campo veterinario, oltre a rendere più difficile il controllo delle malattie infettive negli animali di allevamento, aumenti il rischio che batteri antibiotico-resistenti siano trasferiti direttamente o indirettamente all’uomo.

L’origine di molti problemi attuali risale dagli anni ‘50, quando negli allevamenti intensivi venivano somministrati agli animali in modo sistematico piccole dosi di antibiotici nei mangimi come promotori della crescita (per prevenire patologie intestinali e altri problemi sanitari in grado di rallentare l’incremento di peso dei polli). Questa pratica è stata vietata in Europa solo nel 2006. Oggi il trattamento a base di antibiotici può essere fatto solo in tre casi. Il caso più diffuso è quello collegato a ragioni terapeutiche (curare un singolo animale o un gruppo colpiti da una malattia infettiva). Ci sono pure i trattamenti per metafilassi, ovvero la somministrazione ad animali sani che potrebbero essersi infettati a contatto con soggetti malati: in questo caso l’antibiotico serve per prevenire un’ulteriore diffusione della malattia, la cui presenza deve comunque essere accertata. Il terzo caso riguarda la profilassi a scopo preventivo, cioè la somministrazione ad animali sani per prevenire infezioni: una pratica considerata accettabile quando il rischio di contagio è elevato e l’infezione grave. La profilassi, nonostante i numerosi controlli veterinari e il costo dei trattamenti, è comunque un modo per aprire la porta all’uso improprio e illecito dei farmaci.

Il problema ci riguarda da vicino, visto che dai pochi dati disponibili – come il primo rapporto congiunto ECDC/EFSA/EMA diffuso nel 2015 – l’Italia si distingue come il paese europeo con il più alto consumo di antibiotici negli allevamenti degli animali da reddito. Secondo i dati ministeriali molti dei ceppi di batteri individuati sui campioni esaminati come ad esempio Escherichia coli, Campylobacter spp. e Salmonella spp. responsabili di infezioni anche gravi – hanno sviluppato resistenza nei confronti degli antibiotici più comuni. Più precisamente il 90% dei ceppi di Campylobacter jejuni ha mostrato resistenza ai fluorochinoloni mentre il 5% ha mostrato resistenza a più antibiotici. Nel caso di Salmonella spp., l’83% dei ceppi isolati ha mostrato resistenza ai fluorochinoloni, l’82% alle tetracicline (la classe di antimicrobici più venduta in Italia), più del 3% alle cefalosporine di 3° e 4° generazione, mentre il 78% mostra una resistenza multipla. Per Escherichia coli la resistenza ai fluorochinoloni è presente nel 67% dei campioni, quella alle cefalosporine di 3° e 4° generazione nel 6,47%. Inoltre l’80% circa ha mostrato una resistenza multipla.
Infine, per i campioni di Escherichia coli produttori di ESBL o AmpC o carbapenemasi – enzimi che conferiscono resistenza a farmaci importanti per l’uomo – il 95% ha mostrato resistenza multipla. A rafforzare questi dati, arriva una ricerca dell’Istituto zooprofilattico del Veneto, che riguarda ceppi batterici produttori di beta-lattamasi a spettro esteso (ESBL): anche in questo caso, tutti i ceppi di Escherichia coli analizzati presentano elevati livelli di resistenza per la maggior parte degli antibiotici testati.

Altrettanto allarmanti i dati presenti nel Piano nazionale per l’uso responsabile del farmaco veterinario e per la lotta all’antibiotico resistenza in avicoltura, elaborato dal Ministero della salute insieme alla Società Italiana di patologia Aviare e all’associazione UNA Italia. Il documento evidenzia che il consumo di antibiotici destinati agli allevamenti in Italia di antibiotici di particolare importanza terapeutica risulta decisamente superiore rispetto alla media europea (+136,8%). Secondo la Federazione Nazionale Ordine Veterinari Italiani (FNOVI) “i risultati rappresentano una situazione alquanto allarmante soprattutto per alcuni antimicrobici quali tetracicline, sulfamidici, amminopenicilline e chinolonici”.
Il piano ministeriale per gli avicoli, reperibile presso il sito del Sistema Informativo per l’Epidemiologia Veterinaria, oltre a prevedere un sistema di monitoraggio sull’uso degli antibiotici, mette l’accento sulla necessità di ridurre il ricorso alle metafilassi e rinunciare alla profilassi, ed evitare per quanto possibile il ricorso agli antibiotici più utilizzati per gli umani e in particolare fluorochinoloni, macrolidi e polimixine. Si tratta di un’iniziativa importante, visto che per un’efficace lotta all’antibiotico-resistenza è indispensabile disporre di dati precisi sull’impiego di questi medicinali negli allevamenti. L’efficacia dell’iniziativa ha il grosso limite di prevedere l’adesione al sistema di controlli su base volontaria, così come sono volontarie le iniziative per promuovere la ricetta elettronica adottata da alcune regioni. A oggi, nonostante la richiesta di associazioni come il CIWF, non è possibile sapere quante e quali aziende abbiano aderito all’iniziativa.
E SOLO TUTTA COLPA POLITICA
LA FARMACEUTICA COMPRA TUTTO E TUTTI.
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Le verità sul pollo che ancora gli italiani non sanno
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di VALERIO GUIGGI 12 Agosto 2015
15

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Mangi il pollo precotto pagato 7 € al supermercato. Addenti la coscia. L’osso ti resta in mano, il muscolo tra i denti. Per reazione il pensiero compone parole minacciose come ormoni, antibiotici, maltrattamenti [continua…]
Quante verità sappiamo noi italiani sul pollo? Pochine, a giudicare dai risultati di un sondaggio Doxa per UnaItalia, un’associazione di filiera della carni avicole.
Vi riproponiamo le domande: i patti sono che prima di leggere le risposte provate a replicare da soli. Più indovinate più vi allontanate dallo status di pollo. Tutto chiaro?
1. I polli vengono allevati in batteria?
La maggior parte degli italiani pensa di sì, probabilmente per le molte campagne animaliste che condannano la crudeltà dell’allevamento nelle batterie (gabbie) e il debeccaggio.
Ma i polli non sono allevati in batteria da almeno 50 anni.
Se il pollo venisse allevato nelle batterie non si muoverebbe. Starebbe sempre accovacciato e poggiando sempre per terra il petto, che ha dimensioni esagerate, s’infiammerebbe rendendo la carne viola e impossibile da vendere. Una bella perdita per gli allevatori.
Quelle che invece crescono nelle batterie sono le galline, certo, polli pure loro (Gallus gallus) ma comunemente intese come femmine deputate a fare le uova. Le galline si possono allevare in tre modi: a terra, all’aperto o in batteria. Metodo quest’ultimo che molti allevatori adottano per ridurre al minimo il rischio di contaminazioni tra il guscio dell’uovo e le deiezioni della gallina.
2. Ai polli si danno gli ormoni?
Gli ormoni sono vietati, prima dalle autorità sanitarie italiane che effettuano ogni anno migliaia di controlli a campione, poi da una legge europea. Se oggi i polli sono più grandi rispetto a 30 anni fa è per motivi diversi. E’ migliorata l’alimentazione, come abbiamo visto non esiste più l’allevamento in batteria e il controllo delle malattie negli animali è aumentata.
3. Ai polli si danno gli antibiotici?
Siccome i batteri, compresi quelli responsabili delle malattie umane, sono sempre più resistenti ai medicinali, nei 3000 allevamenti avicoli italiani si ricorre alla terapia antibiotica. Ma solo se strettamente necessario, cioè quando i polli sono malati. In questo caso è obbligatorio rispettare il cosiddetto “tempo di sospensione”, cioè il tempo necessario agli animali per smaltire il farmaco. Infine la cottura elimina i rischi legati alla presenza di batteri.
4. Il pollo va lavato prima di cucinarlo?
La pelle dei polli è piena di batteri pericolosi tipo Salmonella o Campylobacter che, come detto, vengono uccisi dalla cottura. Lavare il pollo prima di cucinarlo espone invece a dei rischi potenziali: i batteri potrebbero scivolare nel lavabo, venire a contatto con altri alimenti in attesa di essere lavati, per esempio l’insalata che poi mangiamo cruda… Meglio evitare, per farla breve.
5. Da dove viene il pollo che si trova al supermercato?
Sembrerà strano ma è vero Made in Italy, nel senso che viene dall’Italia. Il 99% dei nostri polli è nato, allevato e cresciuto in Italia perché importarlo non è economicamente vantaggioso. Non sarebbe vantaggioso neache importare il latte, ma ci sono (o comunque c’erano fino a poco fa) le Quote Latte e questo è un altro discorso. Non esistono invece le Quote Pollo, di conseguenza agli avicoltori conviene allevare i polli in Italia.
Allora, a quante domande avete risposto esattamente?
PS: Volete sapere perché nei polli precotti pagati 7 € al supermercato l’osso resta in mano e il muscolo tra i denti?Perché sono giovanissimi, avranno sì e no 45 giorni. Il muscolo non ha avuto il tempo necessario per aderire all’osso come invece avviene nei galletti, cioè i maschi delle galline ovaiole, che crescendo più lentamente vengono macellati quando hanno qualche mese di vita. Costano di più, ma se volete mangiare una coscia come si deve, quei polli dovete evitarli.
Non fate i polli.

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