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Dire “Vaffa…” non è ingiuria tranne al vicino di casa
24 Marzo 2014 | Autore: Angelo GrecoOffese come “me ne fotto” e “vaffan…” hanno ormai perso la loro portata offensiva, purché si tratti di un proprio pari e non sia rivolta nei confronti di un condomino dello stesso stabile.
Addio per sempre bon ton. Dire “Vaffan…” non è più reato, ma a determinate condizioni.
A dirlo è la Cassazione con due importanti sentenze che val la pena di ricordare [1].
Questo termine è ormai diventato “di uso comune” e, pertanto, secondo la Suprema Corte, rivolgersi con tale termine a qualcuno, purché sia un proprio “pari”, non fa scattare il reato di ingiuria (per esempio: il destinatario dell’offesa non deve essere un poliziotto nell’esercizio delle proprie funzioni o un giudice durante l’udienza, ecc.).
Vi sono alcune espressioni – precisa la Cassazione – che, pur rappresentative di concetti osceni o a carattere sessuale, sono diventate di uso comune e hanno perso il loro carattere offensivo. Esse hanno preso il posto, nel linguaggio corrente, di altre aventi significato diverso, a loro volta sempre meno utilizzate. Un simile fenomeno si è verificato rispetto a numerose locuzioni, quali per esempio – sono parole della Cassazione – le frasi “Me ne fotto” al posto di “non mi cale”, “è un gran casino” in luogo di “è una situazione disordinata” e anche “vaffanculo” la quale (trattasi ormai di un’unica parola) viene frequentemente impiegata per dire “non infastidirmi” o “lasciami in pace”.
L’uso inflazionato di tali parole ha determinato un impoverimento anche della loro valenza offensiva, tanto da togliervi ogni rilievo di carattere penale: insomma, proprio perché le dicono tutti non sono più reato.
Ovviamente, tale valutazione dipende anche dal contesto in cui tali espressioni vengono proferite. Per esempio, se pronunciate dall’interessato nei confronti di un’insegnante che fa un rimprovero o di un vigile che fa una multa, esse assumono carattere di spregio. Invece è lecito il loro utilizzo se esse si inseriscono in un discorso tra soggetti in posizione di parità.
Ma vi è un’altra eccezione, ed è sempre la Cassazione a precisarla. Il “vaffa” tra vicini di casa resta sempre un reato. E ciò perché coinvolge la vita di relazione tra persone che, invece, dovrebbero essere caratterizzate da un maggior legame di solidarietà. Il pensiero era stato espresso anche dal giudice di pace di Tagliacozzo in una sentenza di non molti mesi fa (leggi a riguardo “Zingara! L’ingiuria nel condominio, al vicino di casa, è più grave”).
Dunque, nella vita quotidiana tra vicini di casa dello stesso condominio, la parola “vaffa” non ha ancora perso la propria valenza dispregiativa dell’onore. I rapporti di vicinato devono rimanere improntati a un maggiore rispetto reciproco: altrimenti si avrebbe una impossibilità di convivenza, che invece è necessitata dalla quotidiana relazione nascente dal fatto abitativo.
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