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LA SENILITA' FA BRUTTI SCHERZI

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[h=1]Moschee, D'Alema propone l'otto
per mille: scoppia la polemica[/h] [h=2]L'ex presidente del Consiglio Massimo D'Alema auspica un Islam europeo e lancia l'idea di istituire anche per i musulmani un otto per mille, come per la Chiesa cattolica, perché abbiano i propri luoghi di culto e le proprie risorse. Si scatena il putiferio[/h] [h=3]di Valentina Santarpia[/h]


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«Se in Italia c’è l’otto per mille per la Chiesa cattolica», perché non fare qualcosa di simile per «un milione e mezzo di musulmani che non sono riconosciuti» e istituire quindi un otto per mille per le moschee? La proposta di Massimo D’Alema, arriva durante una pacifica conversazione su Radio Anch’io, mentre l’ex presidente del Consiglio immagina un «Islam europeo» che possa essere «più aperto, più moderno di quello fondamentalista che viene da certi Paesi d’origine». Ma chi sente la sua dichiarazione sobbalza subito dalla sedia, a partire dal leader della Lega Matteo Salvini: «Ma è matto?? #dalemakbar», scrive su Twitter.




[h=5]Gelmini: «Prima la sicurezza»[/h] L'idea arriva proprio nel giorno in cui la Corte costituzionale rende note le motivazioni della sentenza con cui, nello scorso febbraio, bocciò alcuni punti della legge regionale della Lombardia, nota alle cronache come legge anti-moschee: no a «discriminazioni religiose», precisa la Consulta, spiegando che l'apertura dei luoghi di culto è «forma e condizione essenziale del pubblico esercizio del culto» e ricade nella tutela garantita dall'articolo 19 della nostra Costituzione. E infatti le reazioni più avverse all'iniziativa di D'Alema arrivano proprio dal mondo politico lombardo. «Mai l'otto per mille per le moschee. È una proposta fuori dal mondo, pericolosa oltre che inattuabile. Il bando sulle moschee della Giunta Pisapia ha ampiamente dimostrato l'impossibilità di questi accordi. Prima la sicurezza», la boccia Mariastella Gelmini, capolista FI alle Amministrative 2016 e coordinatrice regionale FI Lombardia. «La consulta boccia la legge regionale che vuol solo tutelare il territorio da insediamento incontrollato di moschee; D’Alema propone destinazione 8x1000 alle moschee. Parigi, Bruxelles, New York, Madrid, Londra. Non hanno insegnato nulla alla sinistra italiana», dichiara Nicolò Mardegan, presidente e candidato della lista civica di centrodestra NoixMilano. «Resto basita - dice l'assessore regionale al Territorio e dirigente di Fratelli d'Italia Viviana Beccalossi - dalle dichiarazioni di Massimo D'Alema. L'otto per mille da destinare alla costruzione di moschee? Spero che tale affermazione sia un pesce d'aprile anticipato di una settimana. Temo, invece, che purtroppo sia tutto vero».





24 marzo 2016 (modifica il 24 marzo 2016 | 19:26)
 
[h=1]La Boldrini spende 40mila euro in lavanderia: tutti gli sprechi della Camera[/h] [h=2][/h] Più di un milione di euro per fotocopie e per trasporate lettere per 350 metri. E spuntano anche 90mila euro per assicurasi del buon trattamento dei migranti nei centri di accoglienza



Giuseppe De Lorenzo - Ven, 21/08/2015 - 16:55









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La spesa più bizzarra è indubbiamente quella che gli onorevoli deputati (a nostre spese) sosterranno per smacchiarsi i vestiti. Nel bilancio della Camera guidata da Laura Boldrini, approvato il 5 agosto, infatti, è iscritta una voce che parla chiaro: 40.000 euro per il servizio di lavanderia.

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Una cifra incredibile, immaginando che le giacche e le cravatte (ormai se ne vedono poche) i deputati se le laveranno a casa. Ma non c'è solo questo. La relazione dei Questori e gli annunci della Presidenza parlano di un bilancio ridotto praticamente all'osso. Falso.
E' vero che la "spesa prevista per il 2015 si riduce di 50,5 milioni di euro rispetto al 2014 (-4,87%)" e che si attesta sotto il miliardo di euro. Ma parliamo pur sempre di 986,6 milioni di euro. Ed è anche vero che i soldi che lo Stato da qui al 2017 dovrà sborsare sono "solo" 943,16 milioni di euro all'anno, come è corretto dire che nel 2015 saranno restituiti al bilancio dello Stato 34,7 milioni di euro, che dal 2012 i deputati hanno fatto risparmiare allo Stato sono 223 milioni di euro.
Ma le voci in cui si annidano sprechi e spese incomprensibili sono ancora eccessive. Troppe e con troppi soldi gettati al vento. Vediamoli, partendo dallo spreco più eclatante.
La Camera può vantare il possesso di un meraviglioso palazzo sorto "in epoca paleocristiana nel cuore del Campo Marzio". Un gioiello, e come tale costa parecchio per la manutenzione. Per la precisione 1milione e 140mila euro per il supporto operativo nella sede di Vicolo Valdina.
Per cosa vengono spesi? Basta andare a leggere nel bando di gara. L'appalto è di durata triennale e l'azienda vincitrice deve assicurare, tra le altre cose, la "movimentazione, anche tramite carrello, di plichi, faldoni, risme di carta, cancelleria, etc.", poi "l'accoglienza e l'accompagnamento ai piani dei frequentatori della sede" e "'esecuzione di attività di riproduzione fotostatica o fascicolazione di documenti". Insomma, più di un milione di euro per fare fotocopie, trasportare faldoni e recapitare la "corrispondenza e di ulteriori materiali". Per questo particolare compito, il bando precisa che i funzionari dovranno assicurare il "ritiro e la consegna della corrispondenza all'interno del Complesso e tra il Complesso e tutte le altre sedi della Camera dei deputati (...) e il recapito, con idonei mezzi di trasporto, della corrispondenza dei deputati tra il Complesso e le sedi degli altri organi costituzionali e dei ministeri ubicate nel comune di Roma".
C'è da chiedersi quali siano gli "idonei mezzi di trasporto", considerando che tra Palazzo Montecitorio e Vicolo Valdina, dove è sito il complesso, ci sono appena 350 metri. Fatti a piedi signficano circa 4 minuti (diciamo 5 in caso di pioggia), che diventano 6 se fatti in auto. E considerare che la Camera già spende 1.660.000 euro per "trasporto e facchinaggio".
Tra le spese, va detto, ci sono anche quelle per il servizio di guardaroba. Un altra di quelle voci di spesa della Camera che sembrano eccedere la logicità: nel bilancio sono stati previsti 150.000 euro per tenere a bada cappotti e cappelli dei deputati.
Per non parlare poi delle spese di pulizia. Laura Boldrini, evidentemente attenta al pulito, si è assicurata una spesa di 6milioni e 550mila euro per l'igiene. Precisamente: 40.000 andranno alla lavanderia, 6.100.000 all'impresa di pulizie e 410.000 per lo smaltimento dei rifiuti.
Altro punto poco chiaro riguarda le capacità poliglottiche degli onorevoli. I corsi di lingua, infatti, sono tutti a carico dei contribuenti: 300.000 euro nel 2015, cui va aggiunto il residuo di quelli ancora non pagati nell'anno passato, che ammontano a 295.113,70 euro. In totale quasi 600mila euro in docenti di inglese e di informatica. La cosa più curiosa, poi, è che evidentemente queste lezioni non danno i frutti sperati. O almeno non fino in fondo. Le tasse degli italiani, infatti, vanno a coprire anche le spese per "traduzioni e interpretariato". Che, sommando tutti i casi in cui vengono citate, si parla di 515mila euro.
Andiamo oltre. Ogni anno vanno in fumo circa 35mila euro per sostenere la commissione che indaga (ancora) sulla morte di Aldo Moro e 340.000 euro per finanziare vari ed eventuali "convegni e conferenze".
Tralasciando poi i 63 milioni di "rimborso delle spese sostenute dai deputati per l’esercizio del mandato parlamentare" (sul quale spesso ricadono enormi dubbi per il modo in cui vengono utilizzati) ci sono ulteriori 15 milioni e 910mila euro legati a spese non specificate, ma inserite in generiche voci chiamate "altre" o "accessorie".
Infine, spuntano anche i 90.000 euro che ogni contribuente contribuirà a versare per permettere ad una commissione speciale di assicurarsi che i profughi abbiano tutto quello che gli occorre nei vari c'entri d'accoglienza sparsi per l'Italia. Una spesa di cui, sinceramente, non si sentiva il bisogno.
 
[h=1]Tra arance e cioccolatini, la Camera ci costa 124 milioni all'anno[/h] [h=2][/h] Tra arance, dolciumi, corsi di informatica e cerimoniali, ecco le spese dei deputati nel 2012



Clarissa Gigante - Ven, 18/01/2013 - 13:07




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Oltre 124milioni di euro. Tanto ci sono costati i deputati solo nel 2012, come dimostrano i documenti pubblicati sul sito della Camera (scaricali qui: primo semestre - secondo semestre).
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Per lo più si tratta di servizi, consulenze o interventi di manutenzione o restauro del palazzo seicentesco.
Ma spuntano anche voci quantomeno curiose, soprattutto per quanto riguarda il cibo. Alla voce "Ristorazione" (4,8 milioni di euro) si legge che a Montecitorio sono stati spesi circa 4mila euro per le forniture della ditta di cioccolatini Venchi, altri 5mila sono andati a Nestlè, 4mila a Baratti&Milano, 9mila a Perfetti. Insomma, circa 22mila euro se ne sono andati in dolciumi, 107mila in caffé, quasi 17mila in macelleria e oltre 8mila in arance fresche. Certo, si tratta di prodotti utilizzati per mensa dei dipendenti e bouvette e quindi "rivenduti" a deputati e entourage, ma sono cifre che fanno comunque impressione.
Spulciando il documento, inoltre, scopriamo che agli onorevoli vengono offerti anche diversi corsi di lingue straniere e informatiche perché possano essere al passo con i tempi. Una voce che ci costa ben 500mila euro all'anno. E che dire dei cerimoniali per cui sono stati spesi oltre 350mila euro? Che vanno ad aggiungersi alle spese "istituzionali", come bandiere di ogni genere (oltre 10mila euro), cancelleria (665mila euro) e apparato informatico (computer, programmi e manutenzione sono costati complessivamente quasi 7 milioni di euro.
 
[h=1]Pensionati come bancomat: in 4 anni derubati di 1.800 euro[/h] [h=2][/h] Dagli interventi del passato ai proclami futuri: dal 2008 assegni svalutati fino al 25% del valore. La Cgil: sottratti più di 9 miliardi



Antonio Signorini - Mar, 03/11/2015 - 08:09




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Vecchia storia quella dei prelievi sulle pensioni. Quando spuntano, i governi di turno li spacciano per misure di giustizia sociale.
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A volte una punizione per chi guadagna troppo, altre come mezzo per riportare un'equa redistribuzione delle risorse tra le generazioni. Ma alla fine si rivelano sempre per quello che sono. Un modo per fare cassa. Tappabuchi di bilancio oppure, peggio, un bancomat a disposizione dei governi a caccia di coperture.
Mai successo che i pensionati futuri abbiano beneficiato di una stretta su chi ha già la fortuna di incassare un assegno. Da questo punto di vista fa scuola la legge Fornero. Nel 2011, mentre il governo Monti bloccava il recupero dell'inflazione e il ministro del Lavoro varava il «contributivo pro quota» (quindi si danneggiavano pensionati e anziani), i requisiti per il ritiro dei giovani lavoratori diventavano proibitivi, facendo - di fatto - un balzo in avanti di dieci anni. Dai vecchi 58 anni, a 66 e oltre. Nessuno ci ha guadagnato, se non lo Stato.
Difficile non inserire le proposte di Tito Boeri, presidente dell'Inps, dentro questa tradizione. Negli ultimi giorni è tornato sul contributo di solidarietà del 50% sui vitalizi sopra gli 80mila euro. Politici, principalmente. Ma le altre ipotesi ispirate dall'economista ruotano attorno a un ricalcolo contributivo a volte totale, a volte solo per la parte dell'assegno che supera una cifra che potrebbe essere 3.000 euro lordi. Il costo per i pensionati è certo. Per Boeri è una percentuale limitata, per i sindacati, invece, di un salasso come minimo del 30%.
Ma non sono i progetti di riforma radicale a minacciare l'assegno dei pensionati. La storia è costellata di prelievi meno visibili. Quasi sempre concentrati sui redditi più alti, cioè su circa 1,9 milioni di pensioni sopra i duemila euro netti al mese.
Un classico è la limatura sulle «pensioni d'oro». Contributo di solidarietà, si chiama. Dal 2010 a oggi ce ne sono stati tre. Sempre concentrati sulle rendite più alte. Ma non sono nemmeno questi a penalizzare i pensionati. C'è un prelievo un po' più subdolo perché automatico. È il recupero dell'inflazione. Legato a coefficienti e soglie che sono state cambiati un continuazione negli ultimi anni, penalizzando tutti i pensionati sopra i 1.500 euro.
«Non fa eccezione l'ultimo governo», spiega Stefano Biasoli, segretario generale di Confedir, sigla dei dirigenti pubblici. Matteo Renzi ha risposto alla sentenza della Corte costituzionale che ha bocciato il blocco della rivalutazione delle pensioni del governo Monti, «restituendo solo il 20% del dovuto». Poi, con l'ultima legge di Stabilità, ha limitato la perequazione «continuando nella tradizione che vuole penalizzare i pensionati che hanno pagato i contributi». Per il segretario della Federspev Michele Poerio negli ultimi quattro anni 5,5 milioni di pensionati hanno perso tra il 20 e il 25% della pensione. Il risultato di uno stillicidio di prelievi, più o meno mascherati, iniziati 24 anni fa.
La Cgil ha calcolato che solo negli ultimi 4 anni la perdita per i pensionati è stata in media di 1.779 euro pro capite. Un «furto» da nove miliardi, secondo lo Spi Cgil, che però come soluzione propone di colpire le pensioni più alte, cioè oltre i 2,500 lordi. Circa 1.500 netti.
«Già dato» rispondono i pensionati più «ricchi». È proprio su questi che si sono concentrati gli interventi per fare cassa. La storia dei blocchi della perequazione, totale o parziale, inizia nel 1992. Con un freno al recupero dell'inflazione, che ai tempi era generosissimo. Nel '98 un blocco per gli importi oltre 5 volte il minimo, l'anno dopo e fino al 2000 altri freni e penalizzazioni per gli assegni oltre tre volte il minimo. Quindi 1.500 euro lordi di oggi. Bloccati per un biennio da Monti.
Con la ultima legge di Stabilità il nuovo taglio oltre i 2.000 euro. Ancora una volta, solo per fare cassa.
 
[h=1]Quei trentamila pensionati d'oro che nessuno osa toccare[/h] [h=2][/h] Sono quasi trentamila gli italiani che percepiscono una pensione d'oro. Hanno lavorato per il parlamento, la Corte costituzionale e la Regione Sicilia. Gli assegni oscillano da 40mila a 200mila euro all'anno. I dati sui contributi effettivamente versati non si conoscono



Raffaello Binelli - Mar, 23/02/2016 - 09:53




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C'è un gruppo di pensionati d'oro che nessuno osa toccare. Sono circa 30mila persone, con pensioni che costano, allo Stato, più di un miliardo e mezzo l'anno, con assegni che, a seconda delle posizioni ricoperte, variano tra i 40mila e i 200mila euro all'anno.
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I "fortunati" pensionati, non toccati dalle riforme del sistema previdenziale, hanno lavorato alla Camera, al Senato, alla Corte costituzionale, alla Presidenza della Repubblica o alla Regione Siciliana. Ma non stiamo parlando solo della "Casta", ovvero degli ex parlamentari, consiglieri regionali, o giudici. Anche il personale che ha prestato servizio nei suddetti enti gode di un trattamento di favore. Eppure, come scrive il Corriere della sera, da dodici anni c'è una legge che impone di conoscere tutto su quelle pensioni, con i dati che andrebbero trasmessi al casellario centrale della previdenza. Ma la legge puntualmente viene disattesa, sulla base di un principio fino ad ora considerato inviolabile: l'autonomia regolamentare (e di bilancio) e, per la Sicilia, lo Statuto speciale.
Alberto Brambilla, ex presidente del Nucleo di valutazione della spesa previdenziale (chiuso nel 2012), ogni anno pubblica un rapporto dettagliato sulle pensioni. Nell'ultima edizione si sofferma anche su "l'altro sistema previdenziale", quello che si sottrae alle regole che valgono per i "comuni mortali". Si tratta di mettere insieme dati difficili da reperire, ammette Brambilla, perché gli enti interessati fanno muro e, contrariamente a quanto previsto dalla legge 243 del 23 agosto 2004, non trasmettono i dati al Casellario centrale. Proprio per questo non si sa, con esattezza, quanti contributi sono stati effettivamente versati, quante pensioni vengono erogate e a quali importi. Gli esperti per ovviare a questo problema hanno esaminato, uno ad uno, i bilanci degli enti e degli organi costituzionali, riuscendo, in questo modo, a fare una prima stima sulle pensioni d'oro.
In media si tratta di assegni da circa 40mila euro lordi all'anno per gli ex pensionati della Regione Sicilia (che in totale sono 16.377), fino ai 200mila dei 29 ex giudici costituzionali (16.600 al mese). Poi si segnalano i vitalizi di Camera, Senato e Regioni (7.500 al mese), i 55mila all'anno per gli ex dipendenti del parlamento e del Quirinale, e i 68mila degli ex dipendenti della Consulta.
Oltre ad una macroscopica sperequazione tra contributi effettivamente versati e assegno percepito, a colpire è l'enorme differenza sull'età raggiunta la quale si può andare in pensione: fino al 1997 ai parlamentari bastava aver fatto una sola legislatura (neanche tutti i cinque anni) per poter avere diritto al vitalizio a 60 anni, e per ogni ulteiore legislatura il limite si abbassava di 5 anni. Solo dal 2012 il limite è stato alzato a 65 anni. Ma per i "comuni mortali" nel regime Inps servono almeno 66 anni e 7 mesi, oppure 42 anni e 10 mesi di lavoro per ottenere la pensione anticipata.
 

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