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LE GRANDI BATTAGLIE DI PANCIA MIA FATTI"CAPANNA"

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[h=2]LA STORIA[/h] [h=1]Dal ’68 alla difesa del vitalizio Le grandi battaglie di Capanna[/h] [h=3]LEGGI ANCHE Ideologia, vitalizio e una Capanna[/h]


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È proprio vero che non ci sono più i compagni di una volta. Un tempo, per dirla con le parole dell’indimenticabile Giorgio Gaber, erano tutti un «la borghesia, il proletariato, la lotta di classe». E poi il ’68, il sogno di una società migliore, liberi dal bigottismo e dalle corrutele di una certa classe dirigente.
Mario Capanna fu uno dei protagonisti assoluti di quella stagione. Leader del Movimento sessantottino e successivamente di Democrazia Proletaria, è stato un esempio per intere generazioni di «proletari». Che stamattina devono essere caduti dalla sedia leggendo che fine ha fatto il loro paladino.
Ma andiamo per ordine. L’impegno politico di Capanna gli ha permesso di ricoprire una serie di incarichi pubblici. Consigliere regionale della Lombardia tra il 1975 e il 1980, consigliere comunale a Milano (1980), parlamentare europeo (1979-84), deputato nazionale per due legislature (1983-92).
In Italia, si sa, chi ha avuto la fortuna di sedere su una delle poltrone sopra citate, solitamente si gode una serena vecchiaia con un bel vitalizio. Capanna ovviamente non fa eccezione se non fosse che, in tempi di spending review, la Regione Lombardia ha deciso di tagliargli l’assegno. Un taglio più altro simbolico. A conti fatti la media tra i consiglieri è di circa il 10% con una variabile in base all’entità del vitalizio fino al 2018. Il massimo previsto è del 16% per chi percepisce più di 4.500 euro (poco più di 700 euro). Il Pirellone ha quantificato il risparmio intorno ai 500 mila euro. E vale la pena ricordare che a oggi i vitalizi elargiti sono 221, più 47 assegni di reversibilità per i coniugi, ai quali presto si aggiungeranno 41 ex consiglieri che stanno per maturare i requisiti per prendere la pensione.
Un «proletario» come Capanna non può che approvare un’operazione del genere. Tagliare a chi ha un po’ di più per aiutare chi, soprattutto in questo periodo di crisi, ha di meno. Neanche per sogno. L’ex leader del ’68 ha preso carta e penna è ha presentato ricorso al Tar contro la legge regionale.
Ovviamente non è solo. Anche perché quando si tratta di soldi le «larghissime intese» sono facili da raggiungere. Con lui, infatti, ci sono altri 53 ex consiglieri regionali. Dal leghista Alessandro Patelli, che si autodefinì un «pirla» per il suo coinvolgimento in Tangentopoli, all’ex comunista ed ex Forza Italia Giampiero Borghini, all’attuale assessore comunale alla Casa, Daniela Benelli, fino all’ex Dc Gian Carlo Abelli e all’ex assessore Antonio Simone.
Il vitalizio medio per loro si aggira intorno ai 2.600 euro, ma di tagli non ne vogliono proprio sentire. «Il ricorso — si legge nella comunicazione dell’ufficio legale alla presidenza del consiglio regionale — è incentrato sulla individuazione di profili di illegittimità costituzionale delle norme di legge regionale su cui è basata la riduzione dei vitalizi. Viene lamentata la violazione del principio di intangibilità dei diritti acquisiti (nel caso di specie: il diritto acquisito dai ricorrenti alla percezione dell’assegno nella misura piena determinata secondo la normativa di riferimento) e parallelamente la violazione del principio del legittimo affidamento e della certezza e stabilità dei rapporti giuridici, che sarebbero determinati dall’effetto sostanzialmente retroattivo della riduzione».
Insomma, guai a parlare della difesa di un privilegio. Qui ci sono in ballo i «diritti». E poco importa che a tutti vengano chiesti dei sacrifici. Per il grillino Eugenio Casalino l’iniziativa «si commenti da sola soprattutto alla luce della sofferenza sociale in cui versa il Paese a causa della crisi economica. Oltretutto quel taglio, per quanto ci riguarda, era un passo in avanti ma non abbastanza». E Capanna? Ad ora tace. Anche se per lui parla una frase inserita nella biografia pubblicata sul proprio sito: «Poteva diventare un bravo meccanico, come il padre e i fratelli o, in subordine, un buon insegnante di liceo. Il Sessantotto decise diversamente». Già, il ’68 gli evitato il grasso e gli ha consegnato un vitalizio. Non male.
Luigi Frasca
 
[h=1]Vitalizi anche alla casta del '68
che voleva cambiare il mondo[/h] [h=2]Rendite previste pure per Bertinotti, Capanna, e Russo Spena[/h]
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Fausto Bertinotti (Jpeg)

Il mitico '68 va in pensione,les dieux s'en vont. Ha suscitato molta curiosità la notizia che l'ex presidente della Camera, Fausto Bertinotti, va in pensione. Con il famoso vitalizio che, notizia di pochi giorni fa, non verrà più elargito ai parlamentari. Non ora, ma a partire dal 2018. «Se mi toglierei il vitalizio? Se mi dessero qualcos'altro per vivere sì, se mi dessero una pensione sì. Ho lavorato una vita e ho diritto a una pensione, poi come si chiami non conta» ha precisato Bertinotti. Vitalizio è peggio di pensione: si porta dietro un retaggio medioevale, è un recinto per privilegiati. La pensione, almeno, ha un che di piccolo-borghese, richiama la panchina dei giardini pubblici, le discussioni attorno alle buche dei lavori in corso, il quartino alla bocciofila.
Se poi ad andare in pensione è un ex ribelle, un ex rivoluzionario, un ex sindacalista la malinconia cresce. Veramente anche la moglie Lella è da tempo una baby pensionata, avendo usufruito di agevolazioni per il pubblico impiego. Ma almeno si è dedicata anima e corpo al marito, diventando la sua look maker, creando il communist cashmere style tanto caro al salotto di Bruno Vespa.
Anche Mario Capanna è andato in pensione. Come Cincinnato si è ritirato in campagna a vivere dei prodotti della terra. L'ex leader del Movimento studentesco prende 5.000 euro dalla Regione Lombardia e 4.725 euro dal Parlamento. Fa una certa impressione, per chi ricorda Capanna arringare la folla degli studenti milanesi per distruggere la borghesia e rigenerare la Storia, fa impressione vederlo ora alle prese con i vasetti di salsa di pomodoro e di miele o spaccare la legna per il caminetto. Il suo successore alla guida di Democrazia proletaria, Giovanni Russo Spena, di pensioni ne ha tre: una da ex parlamentare (4.725 euro), una da ex consigliere regionale (3.000 euro) e una da ex professore (3.250 euro). Costa la casta: non hanno rubato nulla, i soldi spettano loro per legge. Volevano cambiare il mondo, hanno cambiato la loro situazione previdenziale.
Lunga vita a Bertinotti, Capanna e Russo Spena. Ma fra cinquant'anni, caso mai dovessero trapassare, sulle loro tombe non sfigurerebbe l'epitaffio che Indro Montanelli aveva vergato per il Migliore: «Qui riposa Palmiro Togliatti impiegato modello di rivoluzioni parastatali».
Aldo Grasso




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