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L’ira dei poliziotti sui giudici: "Per loro è lecito ammazzarci"

No Tav violenti, la Cassazione: forse fu ira o suggestione. Chiesto di valutare le attenuanti. La polizia: "Adesso basta"

Giuseppe De Lorenzo - Sab, 16/11/2019 - 18:07

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Il contesto è questo: manifestazioni No Tav del 3 luglio 2011. Ricordate? “Furono ore di guerriglia”, dice chi indossava elmetto e divisa in quella maledetta giornata.
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Otto anni dopo i processi contro i violenti di Chiomonte non si sono ancora chiusi, benedetta giustizia nostrana. Di capitoli, stralci del maxi-processo e polemiche ce ne sono stati a decine. Ieri l’ultimo colpo di scena. La Cassazione infatti si è espressa affermando che alcuni dei manifestanti della grande manifestazione anti Tav potrebbero aver commesso qualche reato perché “suggestionati dalla folla in tumulto” o perché “in stato d'ira determinata da un fatto ingiusto”, come l’atteggiamento della polizia. Dunque la corte di Appello di Torino dovrà valutare le attenuanti. E quindi uno sconto di pena.
L'inferno di Chiomonte
La notizia non fa sorridere Andrea Cecchini. Oggi è un sindacalista di Italia Celere, ma continua a vivere la strada da poliziotto. Era a Chiomonte quando 200 agenti riportarono ferite di varia entità. A lui toccarono circa 20 giorni di prognosi, 3 mesi di assenza dal servizio, un timpano lesionato, la sublussazione della spalla e difficoltà respiratorie varie. “Un collega aveva la mano rotta - ricorda - a un altro è esploso un timpano”.
Non è facile tornare con la mente a quelle ore. “Tutto inizia alle 4 del mattino - racconta - quando ci portano sul viadotto autostradale. Intorno alle 9 iniziamo ad avvistare le prime tute bianche, nere, di ogni colore”. Da giorni si parla di una giornata campale. L’obiettivo delle forze dell’ordine è quello di non far avvicinare troppo i No Tav al cantiere. L’autostrada è chiusa. Dopo qualche ora Cecchini e i suoi uomini vengono spostati vicino al cantiere, nella zona sormontata da un bosco considerato inaccessibile. È lì che avviene il “massacro”. “Non è stata una guerriglia - dice il celerino - ma un inferno. Per sei ore consecutive ci hanno lanciato di tutto. Hanno iniziato con i sassi e le pietre, poi è arrivata pure una botte. Noi eravamo in basso, loro in alto”. Di bombe carta ne saranno esplose “almeno 400” ed erano pure chiodate. Poi le molotov. “Avevano una formazione militare”, giura Cecchini che quegli incappucciati li ha visti da vicino. Molto da vicino. “La mia squadra a un certo punto riesce ad aprire un varco tra i primi manifestanti e lì dietro troviamo un vero e proprio accampamento. C’erano persone con le maschere antigas che spezzavano le pietre con una mazzetta per passarle ad altri che le avrebbero lanciate contro noi agenti”. La polizia prova a rispondere con i lacrimogeni, inutilmente. Il peggio viene sfiorato quando “i No Tav sequestrano un carabiniere” e lo pestano a sangue. “L’ho incontrato in ascensore in ospedale - ricorda Cecchini - era devastato da decine di fratture”. I violenti gli avevano tolto pure la pistola di ordinanza: “Chiedevano la liberazione di un fermato in cambio della restituzione”. Un inferno.
La sentenza

La sentenza della Cassazione, come riporta la Stampa, riguarda quattro manifestanti. Secondo i giudici, i colleghi di Torino non si sono soffermati abbastanza sul comportamento delle forze di polizia a Chiomonte. Per questo bisognerà valutare per i violenti la possibile attenuante di aver agito “in stato d’ira determinata da un fatto ingiusto”. C’è poi la questione della “suggestione di una folla in tumulto”. Secondo i magistrati, infatti, non sarebbe dimostrato che i manifestanti avessero intenzione di dare vita agli scontri.
Ira della polizia
Cecchini non ci sta. È convinto che tutto fosse “premeditato”. Ecco perché, nel leggere la sentenza della Cassazione, prova “rabbia e preoccupazione”: “Ho rischiato la vita, ho visto la morte in faccia e non ho avuto giustizia”. Non è tempo di mezzi termini. “Ora viviamo con una grande preoccupazione: in piazza i violenti potranno gettare molotov e pestarci, convinti che tanto verranno giustificati da ‘ira’ o ‘suggestione’ e otterranno le attenuanti”. Per Cecchini quella degli ermellini è una decisione "che lascia senza parole”. Basti pensare che “nessuno dei 200 poliziotti feriti quel giorno verrà mai ripagato per le spese mediche. I miei accertamenti successivi alla prognosi ho dovuto pagarli di tasca mia”. Come si è potuta trovare anche “una sola giustificazione per persone che cercavano di ucciderci"? “Non vorremmo che questa sentenza facesse passare il messaggio che se sei suggestionato o adirato puoi tranquillamente ammazzare un poliziotto con una molotov”.


CI VORREBBE UN BEL COLPO.............
 
Maxi rissa tra 30 africani: in Duomo volano pugni, bottiglie e sedie

Una trentina di stranieri si sono affrontati nel pomeriggio di ieri. Denunciati in tre, tutti tunisini

Valentina Dardari - Sab, 16/11/2019 - 18:48

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Scazzottata in pieno centro a Milano, dove una trentina di nordafricani si sono pestati sotto la Madonnina.
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La rissa è avvenuta nel tardo pomeriggio di ieri, venerdì 15 novembre, in piazza Mercanti, a poche decine di metri dal Duomo. Da quanto emerso, e dai racconti dei vari testimoni presenti al pestaggio, sarebbero stati almeno trenta i ragazzi che si sono affrontati prima a insulti e poco dopo lanciandosi bottiglie e sedie. Tre giovani, di origine tunisina, sono stati fermati e denunciati. Tutto sarebbe iniziato poco dopo le 18, quando, secondo le testimonianze, dei ragazzi nordafricani avrebbero incominciato a spintonarsi e insultarsi. In breve tempo però dalle parole, pesanti, sono passati velocemente ai fatti.
La rissa tra nordafricani
E allora ecco che hanno iniziato a volare bottiglie e sedie, prese dai tavolini esterni del McDonald’s che si trova in piazza Duomo e che ha un’uscita secondaria proprio su piazza Mercanti (guarda la gallery). Immediatamente sono arrivate diverse telefonate alle forze dell’ordine e, verso le 18,20, sul posto sono giunti i carabinieri della Compagnia Duomo. I militari sono riusciti a fermare e identificare tre giovani tunisini, un 18enne e due minorenni di 17 anni che, secondo quanto appreso, avrebbero partecipato alla scazzottata. I tre sono stati denunciati per rissa e il personale del 118 li ha accompagnati al pronto soccorso del Fatebenefratelli in codice verde per essere medicati. L’unico di loro maggiorenne sarebbe anche quello messo peggio. Per lui infatti otto giorni di prognosi a causa di una ferita alla testa, alla regione parietale destra.

Lancio di tavolini e colpi di bottiglie: maxi rissa vicino al Duomo


Il degrado nel centro di Milano
Durissime le parole dell’assessore regionale alla sicurezza Roberto De Corato in riferimento alla rissa avvenuta ieri in piazza Mercanti. “Anche piazza del Duomo è diventata un luogo di scontri per nordafricani. È difficile ricordare un episodio simile, con trenta persone coinvolte in una rissa a ridosso della basilica. Tra l'auto che giovedì notte è passata nella ZTL fino ad arrivare sotto il sagrato del Duomo e la rissa di ieri pomeriggio con lanci di bottiglie e sedie, la zona è diventata come una delle tante piazze della periferia, nelle quali gli immigrati irregolari dilagano. È indispensabile l'arrivo di altri uomini delle forze dell'ordine, perché Milano risulta sguarnita, nonostante il grande lavoro svolto da polizia e carabinieri, che però non sono sufficienti ad arginare il degrado che ormai ha raggiunto anche il pieno centro città”. L’assessore ha quindi voluto sottolineare anche la grave bravata che una influencer milanese ha avuto il coraggio di compiere, guidando sul sagrato davanti al Duomo e riprendendosi con il telefonino.
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Morales, il comunista con la casa da sceicco

Svelata la suite su due piani del "presidente del popolo": "Lussi da sceicco arabo"

Paolo Manzo - Sab, 16/11/2019 - 17:00

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San Paolo - Mentre Evo Morales è in Messico ospitato dal presidente López Obrador (Amlo), il nuovo governo della Bolivia - insediatosi come da Costituzione e che deve indire nuove elezioni entro gennaio - mostra al mondo il lusso «da sceicco» in cui viveva il sindacalista cocalero.
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Una risposta alla foto divulgata l'altroieri dai produttori di coca di cui Morales è il leader, con Evo a dormire per terra sotto una umile tenda nel suo feudo del Chapare, dove il 94% delle foglie di coca prodotte (fonte Dea, agenzia anti-droga Usa) si trasformano in cocaina per i mercati statunitensi ed europei.
La suite imperiale di Morales è stata presentata alla stampa dal neo ministro dell'Informazione, Roxana Lizárraga, e occupa due piani, il 23esimo e 24esimo della Casa Grande del Popolo, uno degli edifici simbolo dello sfarzo senza limiti di Evo. 120 metri d'altezza (il più alto di La Paz) tutta in vetro, con piste di atterraggio per elicotteri sul tetto e pareti decorate da immagini della tradizione indigena e da murales che raffigurano operai al lavoro. Peccato solo che dall'agosto 2018, quando la «Casa del Popolo» fu inaugurata, il popolo (quello che guadagna una miseria in Bolivia, il 40% vive in povertà) non potesse entrare nella suite su due piani di Morales, oltre mille metri quadrati a piano. Anzi, il popolo non ne conosceva neanche l'esistenza visto che a svelarla è stata proprio ieri Roxana Lizáraga, in anteprima mondiale. «Sembra l'abitazione di uno sceicco arabo - ha detto il ministro, aggiungendo - lo spreco di denaro che è stato fatto per la costruzione di questo palazzo è davvero un insulto per tutti i boliviani». Quasi 40 milioni di euro, infatti, il costo per consentire al socialista Morales di «riposare meglio», con all'interno una fornitissima e costosissima collezione di alcolici. Il governo della presidente ad interim Jeanine Áñez - che ieri ha risposto ad Evo che vuole tornare per «pacificare» che «non ci sono problemi, può farlo» - ha annunciato che presenterà una denuncia per furto visto che prima di fuggire in Messico via Chapare gli uomini della sua sicurezza hanno portato via oltre a documentazione top secret tutte le decorazioni e le suppellettili, molte dei quali regali fatti all'Evo dei tempi d'oro da altri presidenti e di proprietà dello Stato. Rimasti solo alcuni soldi in contanti, un letto di tre metri, una jacuzzi e una palestra.
Il «povero indio» Evo - così lo presenta la sinistra mondiale - «è in realtà miliardario - ha svelato ieri il giornalista peruviano Jaime Bayly - grazie alla vendita a 2.500 dollari al kg di tonnellate di coca prodotte nel Chapare al Cartello di Sinaloa». Tutto da dimostrare ma di certo c'è che quando nel 2012 la Corte dei conti boliviana divulgò che l'ammontare dei beni del presidente della Bolivia era misteriosamente quadruplicato in pochi anni, chiedendogli di dimostrare il suo subitaneo arricchimento Evo rispose con la «faccia di bronzo» dei socialisti del secolo XXI: «Che responsabilità ho io se il popolo continua a regalarmi ponchos da 200 dollari l'uno?».
 

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