Castagnaccio n°3
300 g di farina di castagne
400-420 g di acqua
1 buon pizzico di sale
olio extravergine
Inoltre (ma originariamente optional):
50-70 g di uvetta ammollata
2-3 cucchiaiate di pinoli
mezzo cucchiaio di aghi di rosmarino (facoltativo)
Riunite nel mixer i primi tre ingredienti e aggiungete 3 cucchiaiate di olio: otterrete una pastella molto fluida. Versate in una teglia inaderente, 26 cm di diametro, 3 cucchiai di olio, versatevi anche la pastella, cospargerla con uvetta e pinoli (che affonderanno) e, volendo, il rosmarino (che galleggerà). Spruzzatela un altro paio di cucchiaio d’olio e passate la teglia in forno già caldo, 200-220°C, per 40 minuti. A fine cottura la superficie apparirà percorsa dalle classiche screpolature. Il castagnaccio, con questa misura di teglia, risulterà alto poco meno di un dito: spessore ideale.
I castagnacci spessi anche due (o, orrore, 3) dita sono veri mattoni dalla cottura inadeguata. A Milano (e immagino anche altrove) li hanno fatti conoscere i ‘Gigi della gnaccia’, toscani emigrati al nord che avevano aperto delle friggitorie molto simpatiche e di buon successo, ormai scomparse. Era una scelta che si ispirava a un maggiore vantaggio economico, comprensibilmente desiderabile, ma gastronomicamente deleteria.
Il castagnaccio è un dolce vivace, snello, con i bordi croccanti. Cotto a dovere, non si piazza per ore sullo stomaco.
Varianti:
- in alcune zone della Toscana settentrionale si impiega latte invece dell’acqua
- in lucchesia, dove pare sia nato questo dolce, si unisce della scorza d’arancio grattugiata o tritata
- nella zona di Carrara è frequente la presenza di semi di finocchio in sostituzione del rosmarino
- spesso i pinoli vengono affiancati da gherigli di noci spezzettati: un uso non legato a particolari località e molto indovinato
- alcuni aggiungono da uno a tre cucchiai di zucchero, scelta giustamente riprovata dagli amanti dell’autenticità
- lo stesso vale per la presenza, del tutto spuria, di cacao. Non sarà castagnaccio.