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[h=1]Quattromila figli di sacerdoti, il Vaticano chiamato alla svolta[/h] [h=2][/h]
Il Vaticano ha scritto una lettera all'associazione che rappresenta i figli dei sacerdoti. La questione è legata al futuro del cattolicesimo

Francesco Boezi - Mar, 07/11/2017 - 18:24
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I figli dei preti rappresentano un problema di sempre più stretta attualità per la Chiesa cattolica.


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La questione è legata a doppio filo con l'apertura di Bergoglio verso i viri probati e l'estensione del sacerdozio ai padri di famiglia:dando la possibilità ai sacerdoti di sposarsi o ammettendo nel clero uomini già sposati, infatti, si risolverebbe il tutto alla radice.

Almeno in riferimento ai casi futuri. Ma prescindendo dalle possibili svolte aperturiste del papa e dai contrari e dai favorevoli a questa che per ora rimane un'ipotesi, a far riflettere sulla vicenda sono soprattutto i numeri dei coinvolti. I figli dei preti, infatti, sono tanti:quattromila secondo Coping international. Michael Rezendes, del Boston Globe, membro di Spotlight, giornalista reso celebre dall'inchiesta sulla pedofilia nella Chiesa, è stato tra i primi ad accorgersi delle proporzioni del fenomeno e in un'inchiesta divisa in due parti ha posto un focus su quella che per il membro del famoso team del Globe è una vera e propria "legione invisibile di segregazione e abbandono". E il comitato preposto dell'Onuaveva già chiesto al Vaticano di "stabilire il numero dei figli messi al mondo da preti cattolici, scoprire dove si trovano e prendere tutte le misure necessarie per assicurare che i diritti di quei bambini a conoscere i loro genitori e a ricevere le loro cure siano rispettate".

Pochi giorni fa, poi, anche il Giorno ha affrontato "le storie e destini dei figli dei preti". Dopo la pedofilia, insomma, questo dei figli dei sacerdoti rischia di divenire un altro grande filone giornalistico-mediatico riguardante gli scandali interni alla Chiesa. E così, il Vaticano ha cominciato a prendere le contromisure. La Santa sede, infatti, ha deciso di affrontare per la prima volta di prendere la strada delle vie ufficiali: la Pontifica commissione per la tutela dei minori, un organismo istituito da Papa Francesco nel 2014 al fine di contrastare la presenza della pedofilia tra il clero e più genericamente per la tutela dei bambini all'interno delle istituzioni ecclesiastiche cattoliche, ha scritto a Coping International, l'associazione mondiale che rappresenta i figli dei preti. L'ente - si legge sul sito di Coping - è un'organizzazione volontaria tesa alla promozione del benessere dei figli di sacerdoti e di religiosi di tutto il mondo. "Lavoriamo - specifica l'associazione - accanto alla Chiesa, incoraggiando l'apertura verso le persone colpite da questo problema".
I figli dei preti, infatti, sono spesso vittime di disagi psicologici, economici e sociali. Basti pensare che nella maggior parte dei casi, chi nasce da un uomo legato al vincolo del celibato è destinato a crescere senza un padre, con tutto ciò che ne consegue.

"Nella riunione più recente della Pontificia commissione per la tutela dei minori - si legge nella lettera destinata a Coping dello scorso 24 ottobre - è stato deciso che il gruppo di lavoro incaricato di definire gli orientamenti dovrebbe prendere in considerazione la stesura di linee guida sulla questione dei figli dei preti". Il Vaticano ha deciso di intervenire ma, specifica la missiva, "il problema è complesso e necessita di un'attenta valutazione". Il diritto canonico - come ha sottolinato il Giorno - non prevede una normativa specifica che copra questo genere di fattispecie, ma si limita ad affermare gli obblighi di celibato e continenza per i sacerdoti. Quello che l'associazione e i figli dei sacerdoti si aspettano dalla Santa sede, in fin dei conti, è che quest'ultima rilasci delle norme atte a sanare un vuoto legislativo o regolamentare difficilmente giustificabile. I primi a pronunciarsi giuridicamente sulla questione, sono stati i vescovi irlandesi che nell'agosto scorso hanno rilasciato delle linee guida sul tema, soffermandosi sul fatto che, seppur mediante "il discernimento caso per caso", sia "indispensabile" che il sacerdote "non fugga dalle proprie responsabilità".

"Le necessità del bambino - hanno scritto i vescovi irlandesi - devono venire per prime!". A fare da sfondo a tutta la questione, si diceva all'inizio, c'è il tema del sacerdozio. Vincent Doyle, rappresentante di Coping International e figlio di un sacerdote, sostiene che il sacerdozio e la paternità siano assolutamente compatibili. Con lui, ovviamente, anche una schiera di teologi progressisti. Il cardinale Sean O' Malley, invece, membro dal 2014 della Pontificia commissione per la tutela dei minori, la pensa diversamente:"Se un prete è padre, ha l' obbligo morale di lasciare il ministero". La questione, in definitiva, intreccia i destini psicologici dei figli di sacerdoti con quello universale della Chiesa cattolica. Dalle linee guida per affrontare il problema, che per Michael Rezendes è "sistematico", potrebbe passare una buona parte del futuro del cattolicesimo. In Vaticano, nel frattempo, si studia il da farsi.


GLI UCCELLI DI ROVO FANNO DANNI




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[h=1]Soldi, caso Orlandi, abusi: il nuovo libro di Nuzzi sui misteri del Vaticano
«Su Emanuela dì che non sai niente»[/h] [h=2]Nella nuova inchiesta del giornalista Nuzzi, «Peccato originale», anche la denuncia dei chierichetti di San Pietro, sottoposti ad indebite attenzioni da parte dei loro superiori[/h] di Gian Antonio Stella
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«Allo Ior dovresti evitare assolutamente di conoscere i nomi dei correntisti…». «E se invece dovessi chiedere i nomi dei clienti?». «A quel punto, amico mio, avrai quindici minuti per mettere in sicurezza i tuoi figli. A presto caro…».
   Basta questo scambio di battute tra Ettore Gotti Tedeschi sul punto di essere nominato presidente della Banca Vaticana e l’«apprezzato uomo delle istituzioni pragmatico e soprattutto molto ascoltato» che scodella al banchiere l’affettuoso «consiglio» dalle sfumature mafiose, a gettare una lama di luce sul nuovo libro di Gianluigi Nuzzi.


[h=5]La fronda a Papa Francesco[/h]
Si intitola «Peccato originale», è edito da Chiarelettere e in 352 pagine il giornalista e scrittore, autore dei bestseller «Vaticano S.p.A.», «Sua Santità» e «Via Crucis» cerca di rispondere a sette domande rimaste in sospeso. Domande che, proprio perché irrisolte, vanno indietro anche di mezzo secolo. «È stato ucciso Albino Luciani? Chi ha rapito Emanuela Orlandi? Se la ragazza ormai “sta in cielo”, come afferma papa Francesco, il Vaticano ha delle responsabilità nell’omicidio, e quali sono? Perché le riforme per la trasparenza della curia, avviate prima da Joseph Ratzinger e adesso da Bergoglio, puntualmente falliscono o rimangono incompiute? Cosa blocca il cambiamento? E ancora: i mercanti del tempio continuano a condizionare la vita della Chiesa dopo aver avuto un ruolo nella rinuncia al pontificato di Benedetto XVI? Infine, la questione più drammatica: lo stallo nel quale sono cadute le riforme di Francesco è dovuto a chi non vuole questo Papa, dentro e fuori i sacri palazzi, e dunque ne ostacola l’opera riformatrice?». Per rispondere, spiega, ha seguito tre fili rossi: i soldi, il sangue, il sesso. Fili che «annodandosi tra loro costituiscono una fitta trama d’interessi opachi, violenze, menzogne, ricatti, e soffocano ogni cambiamento».





[h=5]Il boss in basilica[/h]
E c’è davvero di tutto, nel libro. Dai conti correnti allo Ior di Eduardo de Filippo o di Anjezë Gonxe Bojaxhiu, (suor Teresa di Calcutta) alla dettagliata ricostruzione della riservatissima trattativa tra i vertici della magistratura romana e gli altissimi prelati che fecero sapere al procuratore Giancarlo Capaldo, che da anni indagava sulla scomparsa della Orlandi, del loro imbarazzo per la crescente «tensione massmediatica» a causa della presenza nei sotterranei di sant’Apollinare della tomba di Enrico «Renatino» De Pedis, il boss della banda della Magliana sospettato d’aver avuto un ruolo centrale nella sparizione della ragazza e sepolto lì in cambio di una donazione, pare, di 500 milioni di lire. Insomma, il «disagio» per «sospetti» e «pettegolezzi» era tale che se i giudici si fossero presi la briga di rimuover loro la salma, come raccontava il film di Roberto Faenza «La verità sta in cielo», il Vaticano dopo anni di reticenze avrebbe discretamente fornito tutto ciò che sapeva. Un patto che dopo la traslazione della salma e l’esame di 409 cassette e 52.188 ossa umane per cercare eventuali tracce della quindicenne sparita, sfumò com’è noto nel nulla.

[h=5]Papa Luciani[/h]
Come nel nulla erano finiti i dubbi, le discussioni e le polemiche sulla morte di Albino Luciani, il «Papa che sorrise solo 33 giorni». Fu avvelenato? Probabilmente no, dice Nuzzi: piuttosto fu «schiacciato» dal peso dei problemi e più ancora dalla «verità tragica e indicibile» di quanto avveniva dentro lo Ior. Che lui avrebbe voluto riformare fin dal ‘72, quando da Patriarca di Venezia aveva avuto il primo scontro col potentissimo e spregiudicato cardinale Paul Marcinkus. Il quale, si legge in «Peccato originale», avrebbe liquidato sei anni dopo il neoeletto Giovanni Paolo I con parole sprezzanti: «Questo pover’uomo viene via da Venezia, una piccola Diocesi che sta invecchiando, con 90.000 persone e preti anziani. Poi, all’improvviso, viene catapultato in un posto e nemmeno sa dove siano gli uffici. (…) Si mette a sedere e il segretario di Stato gli porta una pila di documenti, dicendo: “Esamini questi!”. Ma lui non sa neppure da dove cominciare».

[h=5]Scatole cinesi e conti esteri[/h]
In verità, i pasticci, le scatole cinesi e i labirinti azionari erano tali che avrebbe faticato a capirci non solo un Papa santo ma un revisore dei conti provetto. Basti dire che uno dei numerosi documenti in appendice al libro, del 23 marzo 1974, è la «contabilizzazione assegno n. 0153 s/FNCB NY, del valore di 50.000 dollari, emesso all’ordine: “S.S. Paolo VI per erogazione in relazione Esercizio 1973”. In basso nel documento si riporta il relativo addebito sul conto n. 051 3 01588, intestato “Cisalpine Fund”, che potrebbe far riferimento alla banca panamense Cisalpine, nel cui cda siederanno Paul Marcinkus con Roberto Calvi e Licio Gelli». Banca tirata in ballo in un incontro con Nuzzi dalla stessa vedova di Roberto Suárez Gómez, il «re della cocaina»: «Mio marito Roberto era felice di aver incontrato in Venezuela Calvi, perché disponendo di un garante di questo livello gli affari sarebbero andati molto meglio... con la cocaina immagino, non fu esplicito ma immagino fosse così... Calvi era socio di mio marito...».
 

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