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OVVIA MA A NOI CHI CI PENSA? SOLO SALVINI ?

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[h=1]Il dl Salvini chiude i rubinetti ​per i migranti. E ora la Chiesa apre il portafogli[/h] [h=2][/h]
La Caitas Ambrosiana contro il dl Sicurezza: i migranti che dovrebbero uscire dai centri di accoglienza rimarranno ospitati a spese degli organismi ecclesiastici

Giuseppe De Lorenzo - Mar, 22/01/2019 - 17:09
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"In nome del Vangelo, chiediamo di non porre ostacoli, anche di natura legislativa, all'accoglienza". Monsignor Gualtiero Bassetti, presidente della Cei, si rivolgeva così al governo pochi giorni dopo Natale.
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L'immigrazione è da tempo al centro del messaggio pastorale dei vescovi italiani e non è un mistero che la Chiesa (e la Caritas) non vedano di buon grado le riforme licenziate da Salvini&Co. Tutto legittimo. Ma se fino a oggi erano in sostanza gli italiani a saldare il conto della carità ecclesiale, ora grazie (o a causa) del dl Immigrazione lo Stato dovrà foraggiare meno strutture di accoglienza gestite dai religiosi.

Lo slancio solidale della Cei, infatti, permette ogni anno a migliaia di immigrati di godere delle strutture riservate ai richiedenti asilo e servizi di integrazione. Prestazioni dispendiose, che però nella maggior parte dei casi la Chiesa non ha finanziato con fondi propri, ma - come già rivelato dal Giornale.it - partecipando a bandi di accoglienza statali. Dunque utilizzando soldi pubblici.

A certificarlo sono i dati resi noti dal "Rapporto sulla protezione internazionale" redatto dalla Caritas. L'ultimo disponibile è stato pubblicato lo scorso gennaio e riguarda la situazione dell'accoglienza in tutto il 2017. La rete ecclesiale, rivendica la Caritas, "è parte integrante del sistema SPRAR nonché un pezzo significativo del sistema emergenziale che fa perno sui cosiddetti Centri di accoglienza straordinaria". In soldoni le 139 diocesi coinvolte (su un totale di 220) hanno accolto oltre 23.300 richiedenti asilo o titolari di una forma di protezione. Di questi, solo 5.407 dormono e mangiano grazie al denaro ecclesiastico. I restanti 17.958, Vescovi e parroci li sfamano sì, ma a spese dell'Italia.

Ben 14.124 richiedenti asilo sono finiti nelle strutture Cas, centri straordinari finanziati dalle prefetture con appositi bandi. Altri 3.834, invece, hanno alloggiato nella rete Sprar, sistema di seconda accoglienza dedicata all'integrazione e foraggiata dal ministero dell'Interno. A conti fatti il 76,8% dei migranti ospitati nelle Diocesi sono a libro paga dello Stato. Solo 2.889 vivono coccolati grazie alla bontà delle parrocchie e dei parrocchiani; appena 2.135 in strutture ecclesiali (appartamenti, canoniche, ovvero altri locali messi a disposizione da congregazioni, da istituti della diocesi); e altri 383 in famiglia.

Con l'introduzione del dl Salvini qualcosa potrebbe cambiare. La norma voluta dal leghista e approvata dal Parlamento, infatti, nega l'accesso al circuito ex Sprar a chi ha un permesso di soggiorno umanitario e in generale a chi non è titolare di protezione internazionale. L'obiettivo è una "ottimizzazione" e una "razionalizzazione dei servizi" in modo da evitare "oneri gravosi a carico dell'erario". Tradotto: rubinetti chiusi.

Secondo la Chiesa questo "metterà per strada" diversi immigrati e così le Caritas della Lombardia hanno deciso di farsi carico del "problema": le strutture lombarde della Cei non allontaneranno i migranti che perderanno il diritto a rimanere nei centri di accoglienza, ma li manterranno a totale carico degli organismi ecclesiastici.

A comunicarlo è stato il direttore della Caritas Ambrisiana, Luciano Gualzetti, sottolineando che la decisione riguaraderà circa 500 immigrati in Lombardia. Non solo. Mentre il dl Salvini prevede una riduzione dei percorsi di integrazione nei Cas (ora riservati solo a chi avrà ottenuto diritto d'asilo), la Chiesa lombarda continuerà a garantirli nei suoi centri profughi. Aprendo il portafoglio.


MA CHI SI FA CARICO DEGLI ITALIANI SFRATTATI-POVERI-BISOGNOSI-HA GIA' GLI ITALIANI FANNO SCHIFO.
SONO SOLO DEGLI SCHIAVI CHE DEVONO PAGARE E SUICIDARSI-PER IL FIGLIO PRODIGO SI FA FESTA.

L'immigrazione è da tempo al centro del messaggio pastorale dei vescovi italiani : HA VERO NOI SIAMO IN PERIFERIA


NULLA è PER SEMPRE
 
[h=1]Briatore fa a pezzi l'accoglienza: "Non possiamo prenderli tutti"[/h] [h=2][/h]
L'imprenditore ha pubblicato sul suo profilo Instagram una foto del confronto geografico fra l'Italia e l'Africa per mostrare come il nostro Paese non possa accogliere tutti i migranti

Anna Rossi - Mar, 22/01/2019 - 16:10
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Flavio Briatore si è sempre detto d'accordo con la linea politica adottata del governo giallo verde per gestire e bloccare l'immigrazione clandestina. Ha sempre sostenuto la chiusura dei porti messa in atto da Matteo Salvini e non si è mai tirato indietro nel dire la sua in merito.
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Ma si sa, un personaggio come il suo spesso deve affrontare numerose critiche. Ricordate quando ha spiegato che il figlio Nathan Falco non andrà in università "perché a formarlo sarò io"?. Apriti cielo.

Ora, però, Falvio Briatore è tornato a parlare di immigrazione, proprio mentre la Francia e l'Italia si sfidano sul ring a causa di alcune dichiarazioni del vice ministro Luigi Di Maio, ("La Francia stampa il franco delle colonie con cui si fa finanziare parte del suo debito, per far stare gli africani in Africa basta che i francesi se ne stiano a a casa loro"). L'imprenditore usa poche parole e una foto. E condivide il tutto sul suo profilo Instagram.

"Forse così sarà più chiaro il motivo per cui non possiamo accoglierli tutti", scrive e in allegato pubblica una foto dell'Africa che al suo centro tiene stretta l'Italia. Il suo "accoglierli" va riferito ai migranti che ogni giorno cercano di raggiungere il nostro Paese. E la scelta fotografica è molto chiara: l'imprenditore con questo confronto geografico vuole mostrare le differenze in termini di estensione fra i due Paesi. Ed è evidente perché "non possiamo accoglierli tutti".


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PENSA SE CI FOSSI TU AL LORO POSTO.
TUTTI IN SILENZIO E SON FELICI SONO MARTIRI CRISTIANI AMEN


[h=1]E ai "naufraghi" italiani di Amatrice resta solo la solidarietà di serie B[/h] [h=2][/h]
La neve copre quello che resta di Accumoli e Amatrice. Macerie nascoste, dimenticate, tendopoli e Sae, un avvilente acronimo che sta per soluzioni abitative di emergenza

Tony Damascelli - Dom, 06/01/2019 - 08:38
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L a neve copre quello che resta di Accumoli e Amatrice. Macerie nascoste, dimenticate, tendopoli e Sae, un avvilente acronimo che sta per soluzioni abitative di emergenza.
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Case di carta nel vento ghiacciato di questo inverno così uguale a tutti gli altri. Non ne parla più nessuno, cartoline stracciate, quasi un'assuefazione al terremoto, un'abitudine alla scossa, la terra si muove, ma meglio è dirottare altrove la polvere delle parole. Qualche sfilata di repertorio mentre il presepe è immutato.

Più giù, più in là, in mezzo al mare, dove basta cambiare la posizione delle vocali e Sae diventa Sea, Sea watch, allora i migranti, quelli sì, fanno notizia e compassione molto più degli stanziali d'Abruzzo, lo strazio di donne e bambini alla deriva merita il soccorso, mentre le donne e i bambini, avvolti dal freddo e dalla paura, fanno ormai parte del passato, nemmeno prossimo. Non più pastori dannunziani che lasciano gli stazzi per andare verso il mare, ma un gregge che esiste e resiste sul luogo della tragedia, rassegnato alla disperazione. Tre anni non sono nulla, fanno parte dell'ordinaria amministrazione, c'è addirittura Messina che si porta appresso dal millenovecentootto la vergogna delle baracche dopo il sisma maledetto, un secolo e più di governi, regimi, monarchie, repubbliche per lasciare le cose come stavano e come debbono essere. Accade, invece, che su quella magica isola siciliana, rotoli la lava di figure rivoluzionarie e ribelli contro le istituzioni contemporanee, dopo aver convissuto, da complici, con gli attori del degrado sociale e morale.

È la cronaca miserabile di questi giorni, è il buio che non appartiene soltanto alle notti in mare o sotto una tenda al gelo, è la differenza di emozioni, è la serie A e la serie B delle commozioni, è Saviano scrittore che si sente autorizzato a dare del pagliaccio a un ministro, dimenticando le giullarate di partiti e governanti, suoi sodali o fiancheggiatori, che dei terremotati non hanno più ricordo, se non elettorale. La gente d'Abruzzo si appresta a festeggiare un santo, Antonio Abate, lo farà, come sempre e per sempre, dando fuoco, in piazza, ai torcioni, si sfamerà di granturco cotto, i cicerocchi, non chiederà elemosine governative o statali, avendo capito di non essere ormai più utile a nulla, se non alla propria sopravvivenza.

È un popolo dimenticato dalla prostituzione dei politici e degli intellettuali a gettone. Non ci sono porti per il loro approdo, sono naufraghi sulla terra, zatteranti senza bandiera, guardano la tivvù e scoprono che esistono sofferenze degne di maggiore, anzi di migliore attenzione. Hanno perso le loro dimore, ma non hanno smarrito la loro storia, la loro dignità. Altri, semmai, hanno perduto il pudore del silenzio. Sono macerie di vita.



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