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pentole radioatttive

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Pentole radioattive in negozio l'ultimo regalo dell'India

Una ditta pugliese le importa dall'Asia. Ma i test di laboratorio hanno scoperto veleni che si sprigionano al contatto col fuoco.



Pentole e pentolini, cucchiai e cucchiaini, forchette e coltelli, padelle e scolapasta e altri utensili da cucina: tutto prodotto in India a basso costo attraverso la fusione nella lega d'acciaio del cobalto 60, materiale decisamente più economico ma soprattutto radioattivo che adesso viene cercato in mezza Italia dopo l'approdo nel porto di Taranto.
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Il motivo: una parte è stata messa in commercio e dopo le analisi è scattato l'allarme da parte delle Asl.
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Timori che si allungano da Nord a Sud, e hanno innescato una caccia a quelle stoviglie venute dall'altra parte del mondo e finite da queste parti.
La verità è che da tempo per lo Ionio passa un po' di tutto, come se questa ampia fetta di mare fosse una specie di nastro trasportatore che traghetta in Occidente pezzi decisamente consistenti del colossale bazar del falso allestito in terre lontane. Un campionario vario quanto inquietante: qui in passato sono arrivati cosmetici ricavati non si sa bene come, prodotti alimentari provenienti dall'estremo Oriente ma taroccati e spacciati in Europa come fiori all'occhiello del made in Italy; e poi ancora: giocattoli realizzati con pericolose vernici tossiche e senza le precauzioni imposte dall'Unione Europea, occhiali da sole dagli allegri colori sgargianti che tutto fanno tranne che proteggere gli occhi, persino gel igienizzante che secondo l'etichetta dovrebbe prevenire eventuali infezioni e che invece era tutt'altro che un toccasana visto che poi è risultato contraffatto in Cina.
Ma adesso, come se non bastasse, l'ultimo capitolo di questa rischiosa catena commerciale a livello internazionale in cui non sono contemplate regole né misure di sicurezza riguarda le stoviglie da cucina low cost al cobalto 60: un materiale che spesso si trova in vecchi rottami in ferro e può rivelarsi pericoloso solo se viene ingerito o se si rimane esposti alle sue radiazioni per parecchio tempo. Il carico di utensili da cucina era destinato a un'azienda di importazione della provincia di Taranto, che comunque era all'oscuro di tutto e sta collaborando con le autorità sanitarie. Lo sbarco è avvenuto il 21 dicembre dell'anno scorso. A quel punto sono state seguite tutte le procedure internazionali di sicurezza. Due campioni dei prodotti sono stati prelevati dagli agenti dell'Ufficio di sanità marittima ed europea del ministero della Salute (Usmaf) e sono stati inviati all'istituto zooprofilattico sperimentale di Foggia: l'1 febbraio sono arrivati i risultati ed è scattato l'allarme. I tecnici hanno imposto lo stop, è stata fatta un'ispezione nella ditta importatrice e sono stati trovati 700 colli ancora sistemati nei magazzini. Sulla merce venuta dall'India e contaminata dal cobalto – anche se la presenza non è eccessiva - sono state rilevate fonti di radioattività: è stato disposto il sequestro, la zona è stata isolata. Un bel sospiro di sollievo. Ma a quanto pare non definitivo. Perché una parte del carico aveva già preso il volo e sarebbe ancora in giro per l'Italia, oltre che a Malta e in Montenegro, perché i documenti erano in regola ed era stato quindi concesso il nullaosta alla commercializzazione. Il rischio è che il materiale possa essere finito sugli scaffali di diversi punti vendita.
Per questo il primo passo degli ispettori dell'Asl è stato spulciare i documenti con gli ordinativi in modo da risalire ai luoghi di destinazione; nello stesso tempo, dagli uffici dell'assessorato regionale alla Sanità è stato diramato un allarme alle aziende sanitarie locali competenti per le zone interessate. La situazione è tutt'altro che semplice, anzi è decisamente complicata perché le località sono parecchie: Milano, Palermo, Firenze, Napoli, Recanati, Viterbo, Arezzo, Prato, Terzigno, San Giuseppe Vesuviano, Oristano, Padova e Verona. E proprio in quest'ultima città sono stati trovati 24 colli, che sono stati riportati in Puglia con spese a carico della società di importazione. Il caso però è ancora aperto. E nel corso di una riunione che si è tenuta nei giorni scorsi nella prefettura di Taranto è stato fatto il punto della situazione ed è stato ricostruito quanto accaduto. Nel frattempo i controlli vanno avanti a ritmo serrato con l'obiettivo di rintracciare tutte le stoviglie radioattive finite sul territorio italiano; inoltre a breve, seguendo le direttive del ministero dell'Ambiente, dovrebbe essere messo a punto un decalogo con le procedure da seguire per lo smaltimento del carico sequestrato. Che potrebbe anche far ritorno in India, grande esportatore di acciaio e uno dei maggiori produttori di cobalto 60. Insomma, la corsa contro il tempo per spazzare via le ombre di quelle radioattive pentole low cost va avanti.








 
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[h=1]Tonni radioattivi in California a due anni da Fukushima[/h]
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A quasi due anni dall’incidente nucleare di Fukushima, si continuano a contare i danni della fuga radioattiva dalla centrale giapponese. Secondo un recente studio condotto negli Stati Uniti, sarebbero ancora molti gli esemplari di tonno pinna blu contaminati e pescati al largo della California, a ben 6.000 miglia di distanza dal reattore.
>>Leggi del pesce radioattivo negli Stati Uniti
Lo scorso anno l’Università di Stanford aveva condotto uno studio per capire i possibili danni della migrazione dei tonni dal Giappone agli Stati Uniti, rinvenendo tassi di radioattività troppo elevati in tutti i pesci analizzati a campione. A 12 mesi di distanza, il ricercatore Daniel J. Madigan ha voluto condurre un follow up, scoprendo come rimanga alto il livello di contaminazione seppur lievemente diminuito rispetto all’anno precedente.
>>Scopri la posizione di TEPCO sul disastro di Fukushima
La spiegazione del perché questi tonni radioattivi finiscano in California è abbastanza semplice: si tratta di una specie animale in grado di vivere sino a 30 anni e, grazie al moto delle correnti e ai flussi migratori, è normale che dal Giappone – dove nasce – giunga verso le coste opposte. È però preoccupante rilevare come a due anni di distanza siano stati scovati ben 50 esemplari radioattivi, segno di come qualcosa dalle parti di Fukushima non stia funzionando a dovere. Gli scienziati, infatti, avevano ipotizzato una risoluzione spontanea della contaminazione entro 12 mesi dal disastro, eppure i tassi di radioattività rimangono simili all’esposizione post incidente.



Secondo il chimico Ken Buessler, studioso specializzato in ecosistemi marini e contaminazione delle acque, è probabile che la centrale nucleare di Fukushima stia ancora riversando in mare sostanze radioattive, in particolare Cesio 137. E le radiazioni potrebbero essere ben più alte di quanto in realtà ipotizzato, perché pare anomalo che i tonni presentino tassi preoccupanti in California: uno studio recente, infatti, dimostra come il nuoto e il movimento aiuti i pesci a liberarsi di ogni contaminazione, una rilevazione a 6.000 miglia di distanza non può allora che indicare un’esposizione radioattiva originaria incredibilmente elevata.

>>Scopri il pesce radioattivo al largo di Fukushima

Gli scienziati studiano il tonno da anni, da molto prima del disastro nucleare giapponese. Questo perché si tratta di una specie marina alla base della catena alimentare animale e umana, la cui sopravvivenza è già messa a dura prova dalle attività di pesca deregolamentata, con la conseguente diminuzione del 96% della popolazione totale negli ultimi decenni. La radioattività di Fukushima, oltre che a minare la salute dell’uomo, è quindi un vero e proprio attacco alla biodiversità marina e rischia di far scomparire molte famiglie di pesci se non contenuta con interventi urgenti.
Fonte: HuffingtonPost


Leggi tutto: Tonni radioattivi in USA a due anni da Fukushima - Inquinamento - GreenStyle
 
[h=1]Tonni radioattivi in California a due anni da Fukushima[/h]
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A quasi due anni dall’incidente nucleare di Fukushima, si continuano a contare i danni della fuga radioattiva dalla centrale giapponese. Secondo un recente studio condotto negli Stati Uniti, sarebbero ancora molti gli esemplari di tonno pinna blu contaminati e pescati al largo della California, a ben 6.000 miglia di distanza dal reattore.
>>Leggi del pesce radioattivo negli Stati Uniti
Lo scorso anno l’Università di Stanford aveva condotto uno studio per capire i possibili danni della migrazione dei tonni dal Giappone agli Stati Uniti, rinvenendo tassi di radioattività troppo elevati in tutti i pesci analizzati a campione. A 12 mesi di distanza, il ricercatore Daniel J. Madigan ha voluto condurre un follow up, scoprendo come rimanga alto il livello di contaminazione seppur lievemente diminuito rispetto all’anno precedente.
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Secondo il chimico Ken Buessler, studioso specializzato in ecosistemi marini e contaminazione delle acque, è probabile che la centrale nucleare di Fukushima stia ancora riversando in mare sostanze radioattive, in particolare Cesio 137. E le radiazioni potrebbero essere ben più alte di quanto in realtà ipotizzato, perché pare anomalo che i tonni presentino tassi preoccupanti in California: uno studio recente, infatti, dimostra come il nuoto e il movimento aiuti i pesci a liberarsi di ogni contaminazione, una rilevazione a 6.000 miglia di distanza non può allora che indicare un’esposizione radioattiva originaria incredibilmente elevata.

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Gli scienziati studiano il tonno da anni, da molto prima del disastro nucleare giapponese. Questo perché si tratta di una specie marina alla base della catena alimentare animale e umana, la cui sopravvivenza è già messa a dura prova dalle attività di pesca deregolamentata, con la conseguente diminuzione del 96% della popolazione totale negli ultimi decenni. La radioattività di Fukushima, oltre che a minare la salute dell’uomo, è quindi un vero e proprio attacco alla biodiversità marina e rischia di far scomparire molte famiglie di pesci se non contenuta con interventi urgenti.
Fonte: HuffingtonPost


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