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ornero: in pensione dai 63 ai 70 anni, la Cisl frena
Pensioni: addio a quelle di anzianità. Le ipotesi del ministro del Welfare anticipate in un articolo. Anche le donne del settore privato andranno più tardi.
Giulia Nitti
Riforma delle pensioni? "È già stata largamente fatta, ma necessita di tempi più accelerati". Lo ha spiegato il ministro del Welfare, Elsa Fornero, intervenendo giovedì all'assemblea della Confederazione nazionale dell'artigianato.
Il ministro ha confermato, quindi, che l'impianto esiste, si tratta di metterlo in pratica.
E difatti, col passare delle ore si sono fatte sempre più concrete e più dettagliate le voci sulla ipotesi di riforma del sistema pensionistico italiano. Sembra che il progetto studiato dal ministro del Welfare sia a un passo dall’essere completato per essere presentato al Consiglio dei ministri. Si tratta di un impianto complesso che interessa le pensioni di anzianità, l'aumento dell'età delle donne per le pensioni divecchiaia, e il sistema retributivo.


Un articolo con tutte le premesse teoriche
Del resto quello che pensa il ministro non è una novità. La stessa Elsa Fornero, pochi giorni prima di diventare ministro, lo aveva anticipato in un articolo scritto come docente di Economia all'Università di Torino assieme a Flavia Coda Moscarola, ricercatrice presso il CeRP del Collegio Carlo Alberto.
Ecco il testo integrale pubblicato oggi da repubblica.it.


Contributivo per tutti, età minima 63 anni


"Si tratterebbe di applicare, a partire dal 2012, il metodo contributivo pro-rata per tutti i lavoratori - afferma il neo-ministro nella sua riflessione - rendendo subito effettive un'età minima di pensionamento, pari a 63 anni e una fascia di flessibilità che incoraggi il lavoratore a ritardare l'uscita fino ai 68 (o 70) con un incremento di pensione che, secondo alcuni calcoli matematici e non in base a criteri politici, tengano conto dei maggiori contributi versati e della maggiore età". Inoltre, "dovrebbero scomparire le finestre".

La flessibilità: chi vuole può restare
La flessibilità, secondo il ministro, è "un'occasione per concedere, a quei lavoratori che si sentono ancora 'produttivi' di scegliere liberamente se e di quanto posticipare il momento del pensionamento".
"Il nostro modello - aggiunge Elsa Fornero - non consente una stima accurata dei risparmi. Ciò nonostante i risparmi di spesa sarebbero tutt'altro che irrisori potendo arrivare a qualche decina di miliardi di euro nei primi 5-6 anni di effettiva applicazione del provvedimento".

Abolire le casse dei professionisti e i vitalizi dei politici
"In un momento in cui si è costretti a richiedere duri sacrifici alle famiglie - sottolinea il ministro - con provvedimenti draconiani che colpiscono anche le fasce più deboli, non si può prescindere dall'abolizione delle ingiustificate posizioni di privilegio che perdurano per molte categorie difficilmente annoverabili tra i bisognosi, come i liberi professionisti con le loro casse e i politici con i loro vitalizi".


Bonanni (Cisl) frena: "Solo un articolo"

Il segretario della Cisl, Raffaele Bonanni, che è stato in predicato per diventare lui stesso ministro del Welfare, frena di brutto.
Intervistato da SkyTg24, il segretario della Cisl sottolinea il fatto che l'articolo di Elsa Fornero è stata scritto quando l'autrice era una docente universitaria, non un ministro.
Comunque fa capire chiaramente di non essere d'accordo e poi chiede un incontro con la Fornero: "Dovrà prima sentire le parti sociali", dice, con l'aria di chi ha molti puntini da mettere sulle "i" della bozza di riforma delle pensioni.

Le notizie precedenti: aumento dell'età pensionabile da subito per le lavoratrici private
Per cominciare è più che probabile un intervento che anticipi l'aumento dell'età di vecchiaia delle donne nel settore privato (al momento previsto a partire dal 2014 per andare a regime nel 2026), equiparando da subito questa categoria di lavoratrici agli uomini e alle donne del settore pubblico.
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LA CONOSCENZA RENDE LIBERI

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Chi specula sulla crisi e perché

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Sarà l’effetto contagioso prodotto dal ghigno beffardo di Sarkozy, irriso a sua volta dalle smorfie buffe e canzonatorie di Ferrara, ma non si intravedono validi motivi per ridere.

Se qualcuno ha interesse a nascondere il capo sotto la sabbia, alla stregua degli struzzi, è padrone di farlo, ma se ne deve assumere ogni responsabilità politica e personale. Chi è causa del suo mal pianga se stesso. E non addebiti ad altri colpe che sono proprie.

Analogamente, rispetto alle infamie che screditano l’Italia, è giusto additare al pubblico ludibrio qualche goliardico e disonorevole burlone (o buffone) che si autodefinisce “premier a tempo perso”, non il solito capro espiatorio dei “comunisti che infangano il proprio Paese”. E’ un alibi troppo comodo ed è un atto di grave disonestà intellettuale.

L’atteggiamento di chi persevera, con ottusa e colpevole ostinazione, nell’intento di negare l’evidenza della crisi, equivale a prolungarne e aggravarne gli strascichi dolorosi.

E’ indubbio che chi specula cinicamente sulle tragedie di una nazione può agire in mala fede affinché non si risolvano i problemi estirpandoli alla radice, per lucrare meglio.

Ma chi sta speculando sulla crisi del debito sovrano? Vediamo alcune ipotesi plausibili.

Tutti sanno che lo stato italiano detiene il controllo di grandi aziende pubbliche e dispone di quote azionarie consistenti di imprese private (si pensi a colossi come ENI, ENEL, ecc.), che sono bocconi assai appetitosi per il grande capitale multinazionale. Ma non tutti sanno che un’altra ricchezza economica è il vero, principale bersaglio dell’assalto speculativo messo in atto contro l’Italia, vale a dire le sue cospicue riserve auree, che ammontano a circa 2.451,80 tonnellate. Infatti, l’Italia possiede la terza maggior riserva d’oro al mondo, subito dopo gli Stati Uniti e la Germania. E non è poco.

Un’altra interpretazione potrebbe riguardare l’esistenza della moneta unica europea e le sue implicazioni più controverse. Non a caso, oggi è sotto attacco. Ma ciò che induce a riflettere è l’eccessivo allarmismo, fondato solo in parte, a cui stiamo assistendo.

Già in passato (si pensi, ad esempio, agli anni ’70) l’Italia ha conosciuto periodi di drammatica austerità e crisi economica, con un tasso di inflazione assai elevato, i BOT attesati oltre il 20% e lo spread, di cui all’epoca non si parlava, che aveva raggiunto cifre considerevoli. Il debito pubblico era già mostruoso, mentre il livello di crescita economica non ha mai oltrepassato il 3%. L’unica differenza era la presenza della lira al posto dell’euro, eppure non si è mai parlato di default. Cioè di fallimento di uno Stato.

Oggi i BTP sono al 6%, l’inflazione è sotto il 3%, e si paventa la bancarotta per l’Italia.

Ebbene, quale sarebbe la differenza? Qualcosa non convince e si avverte un intenso e micidiale odore di truffa. Una probabile spiegazione potrebbe essere che negli ultimi anni l’ascesa dell’euro abbia disturbato e minacciato lo strapotere del dollaro, per cui oggi l’euro è insidiato nei suoi “anelli più deboli”, vale a dire Grecia, Portogallo, Italia.

Non c’è dubbio che le analisi formulabili siano molteplici e forse controverse, magari complementari e integrabili tra loro, ma è altrettanto innegabile che sia in corso una spietata guerra monetaria tra il dollaro e l’euro. La crisi globale del capitalismo ha semplicemente acuito e accelerato le dinamiche conflittuali e le contraddizioni latenti.

Lucio Garofalo
 
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