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polli gonfiati

Alien.

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[h=1]Polli gonfiati,ecco cosa mangiamo ogni giorno.Guarda il video e capirai cosa porti in tavola[/h] [h=2]Polli gonfiati,ecco cosa mangiamo ogni giorno:Carne processata industrialmente,gonfiata con materiali animali di scarto per aumentarne il peso!VIDEO SHOCK[/h] Analizziamo in cosa consiste la pratica di addizionare acqua e proteine animali e materiali di scarto alla carne di pollo destinata a supermercati, ristoranti e take-away:

si tratta delle preparazioni a base di pollo: polpettine, crocchette, ma anche tranci interi di carne processati industrialmente, “gonfiati”, con materiali animali di scarto e acqua. La pratica del “tumbling” consiste nel mettere i pezzi di pollo in grosse betoniere con acqua e materiali bovini e suini (scarti di macellazione).

Nel dettaglio, i risultati dei test sono netti. I tre quarti dei campioni analizzati, prelevati in tutto il Regno Unito e provenienti da industrie sul suolo nazionale e dai Paesi Bassi, sono risultati positivi, pur fregiandosi della denominazione “petto” di pollo o “filetto”, dicitura che può essere solo usata per il pollo senza additivi o altri trattamenti. Più della metà vantano in etichetta un più alto contenuto di carne rispetto a quello reale. Quasi la metà contengono tracce di Dna di maiale (e di questi tutti – tranne uno – erano etichettati come ‘Halal’). Tutti i campioni sono stati prelevati da rivenditori del circuito del catering in diverse aree dell’Inghilterra, in Belgio e in Olanda. Il sampling è stato disegnato sulla base dei risultati della prima indagine, per vedere se si sono avuti miglioramenti. Durante il processo di preparazione ingredienti quali acqua e proteine idrolizzate (in genere da pelle e scarti di pollo e di altri animali). Spesso lo si fa per gonfiare il pollo, facendo sì che appaia più grosso di quanto è. Aggiungere simili ingredienti è consentito: purché lo si dichiari in etichetta. Anche la percentuale di carne dovrebbe essere indicata. I risultati dell’inchiesta: – il 60% dei campioni di carne di pollo avevano tra il 5% e il 25% di carne “vera” in meno rispetto a quanto scritto in etichetta. – il 72% aveva scritto in etichetta “petto di pollo” o “filetto di pollo” – e questo dovrebbe essere scritto solo sul pollo non addizionato. – il 48% conteneva Dna “non di pollo” – quasi tutti denunciavano presenza di carne di maiale, alcuni sono risultati positivi sia per Dna di maiale che di bovino. Questo video è stato bloccato pochi mesi fa POICHE’ DIMOSTRA IL TRATTAMENTO ILLECITO DELLA FILIERA ALIMENTARE DELLA CARNE e successivamente ripubblicato.Sicuramente anche il presente video verrà bloccato consigliamo agli interessati di fare una copia del suddetto video e di condividerlo il più possibile

http://jedasupport.altervista.org/blog/curiosita/polli-gonfiati-scarti-animali-acqua/
 
[h=1]Allarme di “Altroconsumo”: Batteri resistenti ad antibiotici nell’84% della carne di pollo.ATTENZIONE[/h] Alcuni batteri possono sviluppare un pericoloso meccanismo di resistenza agli antibiotici, usati in quantità massicce anche negli allevamenti di animali. Con la diffusione di batteri resistenti, percorrendo la catena alimentare dagli allevamenti sino alla tavola, il rischio è che gli antibiotici perdano il loro effetto curativo anche negli uomini. I risultati dell’inchiesta di Altroconsumo dimostrano la gravità del fenomeno nel settore.


Il test: analizzati a livello europeo 250 campioni di petti di pollo per valutare la presenza di batteri (famiglia Enterobatteriacea) più inclini di altri a sviluppare un meccanismo di resistenza agli antibiotici. Trovati E. Coli resistenti nell’84% dei 45 campioni comprati in Italia, a Milano e a Roma.
Segnalati i risultati al ministero della Salute.
In seguito al trattamento degli animali con antibiotici, usati per cura delle malattie, i batteri che vivono nel loro tratto gastrointestinale possono diventare resistenti al farmaco e contaminare il cibo e l’ambiente. Non necessariamente questi microrganismi possono farci ammalare, il vero problema è che possono trasmettere il loro meccanismo di resistenza ad altri batteri presenti nel nostro organismo: senza seri provvedimenti, dunque, – che ne limitino l’uso negli allevamenti – gli antibiotici potrebbero, tra una decina di anni, non riuscire a sconfiggere la maggior parte dei batteri, anche negli uomini.

I risultati del test dimostrano che il problema della resistenza del pollo agli antibiotici è molto diffuso ed è strettamente legato al tema della sicurezza alimentare: occorre migliorare il monitoraggio dell’uso di questi medicinali in ambito veterinario con sistemi di sorveglianza più severi. Serve un sistema che lavori maggiormente sulla prevenzione delle malattie animali, per ridurre la necessità di usare gli antibiotici. Non solo: visto i rischi per l’uomo, sarebbe opportuno conservare una classe di antibiotici da usare solo per gli animali e non per le persone, in modo da limitare i danni. Queste le richieste girate al ministero della Salute da cui ci si aspetta interventi chiari e maggiore informazione ai consumatori.
 

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