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Panico alla Camera, blitz alla buvette: stanati i deputati scrocconi

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A dirla tutta il giubileo della legalità, alla Buvette, era stato celebrato già nel 2006 con l’introduzione dello scontrino obbligatorio (e propedeutico al consumo: orrore!). Dieci anni dopo il bar di Montecitorio, passato nel frattempo in mano a gestori privati, non ha fatto altro che perfezionare i meccanismi “anti-taccheggio”. Adesso, all’uscita del ristoro del Transatlantico, c’è del personale addetto al controllo delle consumazioni. Uomini in livrea stanno attenti a che tutti paghino regolarmente il conto prima di andare. Ma, soprattutto, che dichiarino quello che realmente hanno mangiato, senza “amnesie” (al Senato, invece, vale ancora la regola dell’autocertificazione).

Ma chiariamo: fregare un caffè alla Buvette, al giorno d’oggi, è un concentrato di sfacciataggine e destrezza. Lo scroccone può far leva sul pudore del banconista nel chiedere il rispetto della legge a uno che, le leggi, sta lì per scriverle. O approfittare dei momenti di caos, quando un’improvvisa votazione fa svuotare il bar in un secondo. E allora ciao: valli a recuperare uno per uno, i portoghesi! Eppure i “furti” succedono più di quanto si pensi, visto che la società appaltatrice del servizio di ristorazione denuncia una falla nella contabilità. La soluzione allora è la repressione: far sentire il fiato sul collo agli onorevoli che soffrono di disturbi della memoria non appena vedono un registratore di cassa. Ma è uno scandalo, si indigna Pasquale Laurito denunciando il caso sulla Velina Rossa: «Ci sono guardie “naziste” che chiedono ai consumatori gli scontrini quando escono dalla Buvette».

Laurito, che è il decano della stampa parlamentare, sa bene che le cose in passato andavano diversamente. C’è stato un tempo in cui il bar dei parlamentari era assoggettabile più al concetto di circolo che a quello di esercizio commerciale. Pagare le consumazioni era un gesto di generosità più che un obbligo. Nessuno ti rincorreva con il conto in mano. I deputati con un po’ di legislature alle spalle ricordano che, prima dell’introduzione dello scontrino obbligatorio, alla Buvette non c’erano barriere di fronte alla fame. Quelle odiose vetrine. All you can eat: frutta, panini, pizze, frittini e quiches. L’onorevole si serviva da solo e, al momento di pagare, andava sottraendo. Prendo tre, pago uno.

I supplì erano uncountable: un deputato di Caserta una volta si vantò di averne mangiati otto di fila, pagandone uno. Un altro suo collega democristiano fece fuori 26 panini, omettendone venticinque al cassiere. Casi di gastroenterite o di etilismo erano all’ordine del giorno. Un vice presidente della Camera era solito ordinare il primo Negroni della giornata alle 11 del mattino. Il primo di una lunga serie. Sicché i turni dei lavori d’Aula erano organizzati in maniera tale che non capitasse mai a lui di presiedere le sedute pomeridiane. D’altronde con quei prezzi: un long drink alla Buvette costava due euro, un calice di rosso un euro. Per una porzione di frutta bastavano cinquanta centesimi, stesso prezzo per una rosetta col prosciutto. Possibile? Sì, perché almeno fino a un certo punto la Camera si accollava la spesa dei generi alimentari, dei cuochi e del personale di servizio. Il prezzo di vendita del prodotto finale era più che altro simbolico. Poi...

Poi è cominciata la stagione della razionalizzazione delle spese. Il terrore. L’oscurantismo. La Buvette della Camera dei deputati ha preso a praticare gli stessi prezzi dei bar che si trovano nei paraggi del Parlamento. L’onorevole ha smesso di sentirsi coccolato dall’istituzione. Tanto che spesso preferisce farsi quattro passi fuori dal Palazzo. Anche perché, esternalizzando il servizio, la qualità non sembra essere migliorata. Anzi. È emblematico il caso dell’onorevole Luciano Cimmino, di Scelta Civica, che, insoddisfatto dell’espresso servito alla Buvette, ha comprato di tasca sua (è il padron dei marchi Yamamay e Carpisa) cinque diverse miscele derivanti da altrettanti chicchi pregiati, «tutti provenienti da Napoli». Ne ha regalato un’intera fornitura alla Camera: «Ora sì che il caffè è buono». Almeno quello.

di Salvatore Dama
 
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[h=1]Legge dura senza paura: processato il ladro di cioccolatini da 8 euro[/h] di Gianluca il 30 gennaio 2015
Avvocato del Supermercato

28 anni, incensurato: ruba 8 euro di cioccolatini e finisce sotto processo. Per farla franca doveva rubare almeno un milione e poi evadere sotto il 3%
Ha rubato una scatola di cioccolatini al supermercato del valore di soli 8 euro ma sarà processato. È successo a Genova dove un giovane di 28 anni, pure incensurato, ha subito una imputazione coatta dalla giudice per le indagini preliminari Silvia Carpanini nonostante il procuratore aggiunto di Genova, Nicola Piacente avesse chiesto l’archiviazione. Il magistrato l’aveva motivata per l’entità lieve del furto e per non ingolfare con un processo così irrilevante le cancellerie che già scoppiano di lavoro. Ma gli avvocati del supermercato hanno presentato opposizione all’archiviazione e il gip ha accolto la loro richiesta.
Quello di Genova è solo uno dei tanti casi paradossali della giustizia italiana dove la prescrizione è in aumento, come ha scritto il presidente della Cassazione Giorgio Santacroce nella relazione in occasione del nuovo anno giudiziario, e i criminali economici nella maggior parte dei casi restano impuniti.
Ha fatto nascere un gruppo di solidarietà su Facebook, la storia di Filippo P, 34 anni, romano, disoccupato dal 2010, arrestato l’anno scorso in un supermercato per aver rubato generi alimentari per sfamare la sua famiglia: la moglie casalinga e un figlio di quattro anni. Filippo, preso dalla disperazione, ha rubato del pane, del latte e del prosciutto. È stato arrestato, processato e condannato a 5 mesi con la pena condizionale e l’obbligo di firma. Due settimane dopo, però, sempre per fame, Filippo è tornato a rubare al supermercato: un pezzo di formaggio, un arrosto sottovuoto e una bottiglia di olio. Valore complessivo della refurtiva, poche decine di euro.
Stavolta è finito in carcere, condannato a 6 mesi per furto aggravato dalla recidiva. È stata applicata la legge ex Cirielli quella che Silvio Berlusconi si è fatto approvare dalla sua maggioranza in Parlamento per dimezzare la prescrizione dei reati che gli interessavano personalmente e per gli amici incensurati.. La difesa diFilippo P., condannato l’anno scorso, era rappresentata dall’avvocato Gianluca Arrighi: “Ho assunto gratuitamente la difesa – aveva dichiarato alla fine del processo – perché ritengo che vi siano dei casi umani che noi penalisti non possiamo esimerci dall’accettare. Purtroppo negli ultimi anni i casi di persone che commettono furti di generi alimentari è aumentato in modo esponenziale. È ovvio che nulla giustifica la commissione di reati ma una cosa è rubare per arricchirsi e una cosa è rubare per mangiare”.

A Viterbo, nel 2012, vengono arrestati due uomini che hanno rubato in un centro commerciale cibo, vestiti e scarpe. Un ragazzo minorenne che era con loro è stato affidato a un centro di prima accoglienza. Uno dei due arrestati, un giovane di 20 anni, ha detto al processo di aver rubato per fame: “Non mangiavo da alcuni giorni”. L’altro imputato, 48 anni, ha raccontato che non può sopravvivere: “Prendo una pensione di 280 euro al mese e non ce la faccio ad andare avanti”.
A Trento per un pezzo di formaggio rubato al supermercato, per di più restituito, sarà processato un ragazzo marocchino. Secondo la polizia, aveva pagato alcuni generi alimentari ma non il formaggio, nascosto in una tasca interna della giacca. Una volta scoperto lo aveva restituito. Ma è stato denunciato lo stesso e finirà davanti al giudice. Il prossimo 5 marzo sarà processato P.A.R., 58 anni, accusato di furto aggravato per aver rubato in un supermercato di Ponte nelle Alpi, nel 2012, due bistecche e un po’ di insalata, prese da confezioni e messe in tasca, inoltre un cappello e un paio di guanti per bambino.
Forse processi di questo genere potranno diminuire. Nella primavera del 2014 il Parlamento ha approvato la legge delega che ha conferito al governo il potere di regolare reati “lievi”. Il decreto legislativo prevede di “escludere la punibilità di condotte sanzionate con la sola pena pecuniaria o con pene detentive non superiori nel massimo a cinque anni, quando risulti la particolare tenuità dell’offesa”. Ma chi ha commesso il reato non deve essere recidivo.
In ogni caso la parte offesa ha 10 giorni di tempo per opporsi alla richiesta di archiviazione del pm e l’ultima parola in quel caso spetta al giudice. La parte offesa può anche rivalersi in sede civile.

Antonella Mascali | Il Fatto Quotidiano 30.1.2015
 

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