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Un clochard alla riscossa. «Può succedere a tutti voi»

2 dicembre 2012 Stampa


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La testimonianza di Wainer Molteni, laureato e con alle spalle otto anni di vita in strada. In Italia al momento ci sono 51 mila clochard. Ma «quelli con il carrello pieno di sacchi della spesa, quelli con dieci golf e cinque pantaloni, che si pisciano addosso e frugano nei cestini, sono sempre di meno» scrive nel libro `Io sono nessuno`. E avverte: «Può succedere perché non vi hanno rinnovato il contratto, può succedere perché non avete i soldi per l`affitto. A voi. Tutti»
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«Può succedere perché prima non avete i soldi per la benzina, poi per la spesa, poi per le bollette, infine per l`affitto. Può succedere perché non vi hanno rinnovato il contratto o è passato troppo tempo tra un impiego e l`altro. Può succedere perché ci sono dei periodi in cui il mondo sembra avercela con voi e tutto va storto», scrive Wainer Molteni, 42 anni, nel libro «Io sono nessuno», in uscita il 20 novembre per Baldini Castoldi Dalai editore. Sono i motivi per cui si finisce per strada, a guardare la città che passa accanto dal buco della testa di un sacco a pelo, come una tartaruga nell`unico guscio che le è rimasto. Può succedere a tutti, e quando accade è sempre troppo tardi. «Nel mio caso – racconta l`autore – è stato un insieme di fattori negativi: nessun appiglio familiare (nonni e genitori morti quando ero poco più che ragazzo), un carattere poco incline a chiedere aiuto, ma soprattutto il fallimento della catena di supermercati dove ero responsabile delle risorse umane». Niente di patologico, anzi.
Quando Wainer un giorno di fine ottobre chiude la porta del suo appartamento al caldo ha 33 anni, una laurea in sociologia, un master in criminologia a Quantico nel quartier generale dell`Fbi, e una gran voglia di essere «uno come tanti» con lavoro regolare e ferie pagate («Quando non riesci a immaginare la tua vita pensi: ‘Magari hanno ragione gli altri` e ti adegui»). Mai però avrebbe immaginato di vivere otto lunghi anni da clochard. ‘Sei mesi e sono fuori` è stata la sua cantilena in tutto questo tempo. Per non impazzire («sopravvivere ce la fai, il vero problema è mettere il silenziatore alla testa»), ma anche perché ne è sempre stato certo.
All`inizio la vita in strada per lui è come un`avventura: senza più vincoli può cominciare a sognare. Da subito rincontra Nocciolina, l`amico con cui è cresciuto, che fa quella vita da dieci anni e che gli insegnerà i segreti del mestiere. «Avevo trovato qualcuno – scrive Wainer – che sapeva chi ero, da dove venivo, dove sarei potuto andare». Con lui comincia a vagare per la città, con il freddo e la pioggia. Unici punti fermi – forse troppo – gli orari tassativi di mensa e dormitorio. L`idea romantica ‘senza tetto né legge` si rivela pura invenzione: «Incredibile», rifletteva Wainer in quegli anni «finisco per strada e sono più regolare di un impiegato…».
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Nella sfortuna però, sullo sfondo della sua disavventura c`è Milano, una città con una lunga tradizione di accoglienza. Nel cosiddetto ‘terzo settore` (che si occupa di assistenza sociale, tutela dei diritti civili, e altro) non mancano organizzazione, strutture e soldi. «Più clochard c`erano, più soldi giravano». Soldi che servono per le emergenze, ma che difficilmente vengono impiegati per il reinserimento sociale di chi ha perso tutto. Per Wainer urge un cambiamento. Nel 2004 insieme a molti altri dà vita al primo sindacato autogestito ‘Clochard alla riscossa`, gli stessi che nel 2005 decidono di occupare il dormitorio di via Maggianico. Finita l`emergenza freddo, infatti, il Comune ha intenzione di chiuderlo lasciando in strada centinaia di barboni milanesi. Le loro rimostranze non servono a nulla: a Wainer e ai suoi amici, sgombrati con la forza, non rimane che nuovamente la strada, questa volta in pieno centro, sotto casa dell`allora sindaco Letizia Moratti. «Quando non hai più niente da perdere – racconta Molteni – allora vai a cercare risposte dalle sole persone che te le possono dare.
Dopo 40 arresti («Una o due notti a San Vittore, e per fortuna perché ero al caldo»), e una raccolta di sacchi a pelo organizzata da me su Facebook, con la Moratti abbiamo cominciato a parlarci e siamo diventati amici. Fino a quando un giorno rientrando a casa lei dice: «C`è un appartamento disponibile in una casa popolare. Andateci». Da lì senza più la paura di esser svegliati nel cuore della notte da un poliziotto o da un balordo il dottor Molteni mette a punto quel che aveva – gioco forza – lasciato a metà: il progetto di reinserimento di alcuni «barbafratelli».
Lo scorso giugno l`associazione ‘Clochard alla riscossa` ha aperto a Selva Pistoiese il primo agriturismo interamente autogestito da ex senzatetto. Grazie all`affitto agevolato dei proprietari, tredici clochard hanno ritrovato la dignità in un casale del `400 circondato da orti, frutteti, uliveti e vista sulle colline toscane. A partire da un lavoro, uno stipendio e un tetto sulla testa. Altri progetti simili sono in fase di avvio. In un momento dove la crisi immobilizza ogni iniziativa imprenditoriale, che dire? Complimenti. E solo un`ultima domanda: sulla strada è servito il master in criminal profiling? «Mi serve di più adesso per difendermi dalla burocrazia di chi vorrebbe farci chiudere – come hanno già provato a fare senza riuscirci – l`agriturismo vicino Pistoia. Certo, una bella gara con chi passandomi accanto, assiderato sull`asfalto nel sacco a pelo rosso e nero, diceva con nonchalance: ‘Vedi come si va a finire a tifare Milan?!».
 
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Mi chiamo Ruggero, ho 60 anni, sono un clochard. Potevo esserci io al posto dei due somali morti nel tunnel, potevo fare la loro stessa fine. Se continua così, se tutti fanno finta di non vedere che la povertà è aumentata e quelli che vivono per strada sono sempre di più, tanto vale che noi clochard chiediamo un certificato di morte presunta. Facciamo prima. Senza aspettare di morire in un tunnel per il fuoco o su un marciapiede per il freddo. Chiedo al Comune e ai partiti politici di qualsiasi colore di fare qualcosa, di offrire più posti letto e strutture ben organizzate, almeno nei mesi più freddi. Se i dormitori funzionano bene i senzatetto ci vanno subito. Io abito dentro di me. Non ho una casa dal 1987, da quando mi sono separato. I soldi per un affitto non li avevo e ho cominciato a dormire ai giardinetti di San Paolo. Facevo il carrozziere: un po' lavoravo, un po' no. Poi per qualche anno ho vissuto con una donna, quando ci siamo lasciati mi sono ritrovato di nuovo in strada. Dormivo alla stazione Trastevere sui cartoni, nei sacchi di plastica. Sono stati anni belli, quelli alla stazione, eravamo un gruppo affiatato, dieci amici e c'era un'atmosfera serena. Ho dormito ovunque, sulle panchine, nei pronto soccorso degli ospedali. Da qualche anno ho una roulotte, me l'hanno procurata i volontari della comunità di Sant'Egidio. Se non mi avessero aiutato loro rischiavo anche io di finire come i somali bruciati. Ho le candele, una radiolina, un fornelletto a gas, i libri. Niente altro: non ho la luce e l'acqua la prendo alla fontana di villa Sciarra, la scaldo e riesco anche a lavarmi. Cucino cose semplici, passo il tempo a dipingere e disegnare. Amo i libri, adesso sto leggendo Macbeth. Quando posso aiuto anche gli altri, qui a Sant'Egidio, mi arrangio con lavoretti se ho qualche soldo faccio l'elemosina.
Non mi pento della mia vita da clochard. Lo so, gli altri mi considerano un pezzente e mi vedono strano. Anche io li vedo strani. Penso: poverini, si sono fatti infinocchiare dal logorio della vita, dalla tirannide delle cose, dalla cocaina elettronica, come chiamo i pc, i telefonini, internet. Io invece mi sento libero. Chi l'ha detto che bisogna avere una casa, una tv, una macchina, una lavatrice? A me non manca nulla. Non mi interessano le persone normali, chiamiamole così: pensano di avere il potere sulla vita e sulla morte, credono di essere meglio degli altri, inseguono i titoli. A me non interessa niente di tutto questo, non cambierei la mia vita con la loro. Se qualcuno me lo proponesse direi: lasciatemi dove sto. Sono un niente di troppo e mi va bene così. A 60 anni non ho paura di invecchiare e niente mi spaventa.
 
[h=1]La pensione non basta, vive da clochard:
«Ho lasciato la casa a moglie e figli»[/h][h=2]Un 61enne dorme su una panchina e soltanto saltuariamente
riesce a trovare un tetto: E la sua ex famiglia non sa nulla[/h]


di Elisabetta Savarese
VENEZIA - Trovare un posto per dormire la notte al massimo per 10 giorni a pagamento e poi doverne cercare un altro, magari una panchina in uno dei pochi parchi pubblici della città perché i posti nei ricoveri sono pochi e perché i soldi della pensione, circa 600 euro al mese, bastano appena per mangiare e per vestirsi.

È la vita che da circa 14 anni conduce un veneziano di 61 anni, tra mille difficoltà: «Ho una piccola pensione, quella sociale, aumentata di recente, prima erano 430 euro circa, adesso sono 600 - racconta - Sono stato questi pochi mesi alle Muneghete a pagamento, poi al Betlemme per 10-15 giorni perché una persona era stata ricoverata e c'era un letto libero, un via vai continuo».

Il suo è un racconto che somiglia a quello di tanti altri clochard. Non fosse per il fatto che la sua storia nasce, appunto, da una pensione che non gli basta per vivere. E lui, pensionato che passa sulle panchine la maggior parte della sua esistenza, ormai ha perso anche la voglia di protestare: «Ultimamente - prosegue - durante il periodo natalizio ho dormito da un amico, ma poi sono arrivati i suoi parenti e non c'era più posto».

La sua vita fino a pochi anni fa sembrava snodarsi sui binari della normalità, come la maggior parte delle persone. «Avevo una casa del Comune - racconta - ma al momento della separazione, con 4 figli ancora piccoli, l'ho lasciata a loro e a mia moglie e mi è toccato arrangiarmi». La famiglia non la vede da tempo e loro non sanno nemmeno che tipo di vita conduca.

«Sono andato via - prosegue - che non avevo ancora la pensione, quella mi è arrivata dopo.
Quello che mi servirebbe è una camera a pagamento dove poter abitare. I soldi che ho bastano appena per arrivare a fine mese anche se cerco di risparmiare il più possibile comprando i vestiti al mercato, anche se poi devo buttarli via perché non ho un posto dove metterli. Al momento dormo sulla scalinata di una chiesa con due coperte e un maglione con il vento e con la pioggia. E sperando che non nevichi».

Giovedì 24 Gennaio 2013 - 18:28 Ultimo aggiornamento: Venerdì 25 Gennaio - 20:06
 

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