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[h=1]Orlando "libera" i ladri ma condanna i reati d'odio[/h] [h=2][/h] La riforma del Guardasigilli azzera le pene inferiori ai 4 anni: niente più carcere per truffatori e spacciatori
Da una parte l'onda inarrestabile dei furti, delle rapine, dei «reati predatori» che popolano le paure degli italiani; dall'altro l'allarme sulla presunta recrudescenza razzista e neofascista.
Messo di fronte questi due pericoli, il ministro della Giustizia Andrea Orlando sceglie di dare risposte diverse, che la dicono lunga su quale consideri la vera emergenza: la seconda, quella dei cosiddetti «reati d'odio». Così precetta i magistrati italiani, ordinando corsi accelerati di severità verso questi reati. Mentre ieri sera porta in Consiglio dei ministri e fa approvare la riforma che apre le porte al trattamento morbido dei reati da strada: d'ora in avanti, chi viene condannato con pene fino a quattro anni non passerà più per il carcere, e potrà accedere direttamente ai percorsi di riabilitazione.
La novità sta nel testo del decreto di riforma dell'ordinamento penitenziario, che è stato approvato ieri dal governo e dovrà affrontare ora i pareri delle commissioni giustizia delle due Camere. Ma il percorso è già segnato nel comma 85 della legge delega del giugno scorso: «Prevedendo che il limite di pena che impone la sospensione dell'ordine di esecuzione sia fissato in ogni caso a quattro anni». Significa che anche una condanna definitiva a tre anni e undici mesi non verrà espiata, e il colpevole rimarrà libero in attesa dell'affidamento in prova: in questo tetto rischiano di ricadere la grande maggioranza dei condannati per reati contro il patrimonio dei cittadini, da chi truffa le vecchiette a chi scippa, a chi irrompe di notte nelle ville.
È una riforma che Orlando ha portato avanti tenacemente con l'obiettivo dichiarato di utilizzare sempre meno lo «strumento carcere» e di facilitare il ricorso alle pene alternative, come la semilibertà e l'affidamento ai servizi sociali. Orlando ha scelto anche di sfidare l'impopolarità che potrebbe derivargli da misure che vanno a beneficiare i responsabili della «paura diffusa» che secondo l'ultimo rapporto Istat «Delitti, imputati e vittime dei reati» colpisce trasversalmente gli italiani di ogni grado di cultura. È una paura cui lo stesso rapporto riconosce di essere basata su dati di fatto, ovvero la crescita costante tra il 2010 e il 2014 dei furti e delle rapine in abitazione. È una crescita che solo nell'anno successivo ha segnato una lieve inversione di tendenza, ma restando su numeri impressionanti: che dicono - per esempio - come ogni giorno nove italiani subiscano lo choc di trovarsi i rapinatori in casa.
La percentuale degli autori di questi reati che viene scoperta e processata è quasi insignificante: nel 2014, solo il 2,7% dei furti in abitazione è stato risolto. Ora la riforma Orlando offre una via d'uscita soft anche ai pochi casi in cui il responsabile si ritrova davanti al giudice: tutto nell'ottica di ridurre l'affollamento carcerario e di favorire il reinserimento sociale dei condannati. Contemporaneamente, Orlando invoca invece condanne più severe nei confronti di quella che considera la vera minaccia alla convivenza democratica, i cosiddetti reati d'odio.
In una lettera alla Scuola di formazione della Magistratura il ministro maltratta i giudici che non hanno inflitto condanne esemplari ai responsabili dei reati di antisemitismo: categoria non prevista dal codice, sotto la quale il ministro sembra ricomprendere l'istigazione all'odio razziale e anche l'apologia di fascismo. Secondo Orlando, «pare cogliersi un calo dell'attenzione tanto nel contesto sociale quanto nelle risposte giudiziarie, oscillanti e non sempre assistite da percorsi motivazionali compiutamente sviluppati». E chiede corsi appositi, per insegnare ai magistrati a essere meno indulgenti: almeno su questo versante.
I cinesi vogliono i porti italiani. Ci avevano già provato due anni fa con Taranto ma, a causa anche delle consuete incrostazioni burocratiche, si erano spostati sul Pireo. Però non hanno dimenticato l’Italia acquistando il 40% della piattaforma logistica di Vado Ligure.
Ora vogliono andare avanti perchè, nonostante siano passati otto secoli e nel frattempo Cristoforo Colombo abbia scoperto che la terra è rotonda, il collegamento migliore fra la Cina e l’Europa resta quello tracciato da Marco Polo. Non a caso Pechino ha varato un progetto gigantesco da 113 miliardi di dollari e l’ha chiamato Via della Seta: una via di terra e l’altra per mare. «Ma il collegamento di terra - dice Giulio Sapelli economista e docente alla Statale di Milano - è un progetto fragile. Deve attraversare troppe frontiere. Più efficiente la rotta marittima».
Da qui l’interesse verso i porti italiani. Un’attenzione arrivata fino a Palazzo Chigi che ha convocato un tavolo tecnico con ministri, trecnici, e ferrovie. Segno che il programma dei cinesi avanza.
L’Italia è strategica nella proiezione cinese nel Mediterraneo, in termini politici, commerciali e di sicurezza. All’aumento degli investimenti di Pechino all'estero, corrisponde la necessità di una revisione della strategia di difesa dei propri interessi: le esercitazioni congiunte tra Cina e Russia nelle acque del Mediterraneo e la creazione dell’avamposto militare di Gibuti, spiegano questa tendenza di cui anche l’Europa farebbe bene a tenere conto.
Nelle mappe cinesi, il porto di Venezia è indicato come il terminale europeo della Via della Seta marittima. Soprattutto con il raddoppio del Canale di Suez. Attraverso l’Italia si arriva al cuore dell’Europa ed ecco perchè il Pireo resta un ripiego. I container come escono? Non certo per via di terra visto che strade e ferrovie sono inesistenti.
Così l’attenzione torna sull’Italia e più in generale sull’Adriatico: Venezia, Trieste e Ravenna. Ma anche Capodistria (Slovenia) e Fiume (Croazia). Un progetto di alleanza tra i cinque maggiori porti esiste già ed è cofinanziato dal governo italiano (con il coordinamento del ministero dei Trasporti e delle Infrastrutture) e dal Silk Road Fund il grande fondo cinese cui il governo Pechino ha affidato 40 miliardi per completare il progetto della Via ndella Seta. Risorse accolte dall’entusiamo generale per il rilancio delle infrastrutture. Esce dal coro Giulio Sapelli che invece, nella Via della Seta vede lo strumento per la consacrazione del dominio cinese. L’espansionismo della Repubblica Popolare che dietro le bandiere rosse ha allineato insegne imperiali.
«Le tesi dell’ultimo Congresso del Partito a Pechino hanno detto chiaramente le intenzioni della Cina - spiega il professore - Un nuovo imperialismo sfruttando le debolezze dell’Europa e gli errori degli Stati Uniti». Nè vale la storia come elemento di argine. «È falso dire che nella storia della Cina non ci sia un Dna imperiale. Hanno scoperto la bussola e la polvere da sparo. Nel XV secolo disponevano di una flotta potente». Per ragioni mai chiarite l’imperatore ordinò di affondarle. «Il Progetto della Via della Seta è la maniera per ripartire con la conquista del mare», taglia corto Sapelli.