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BOLOGNA-MILANO IN MENO DI 10 MINUTI

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BOLOGNA-MILANO IN MENO DI 10 MINUTI CON HYPERLOOP

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I treni ad alta velocità capaci di sfrecciare a 300 km/h potrebbero presto diventare delle lumache su rotaie se paragonate all'ultima frontiera della tecnologia, Hyperloop, il treno supersonico nato dalla mente di Elon Musk che viaggia all'interno di tubi a basso attrito ed è basato sul principio della levitazione magnetica passiva. Esso prevede che passeggeri e merci siano caricati all'interno di capsule, realizzate in carbonio, in grado di viaggiare intorno ai 1200 chilometri orari. Questa tipologia di treno è al momento in fase di progettazione in numerosi paesi del mondo, e uno degli imprenditori che si sta occupando di trasformare questa idea in realtà è l'italiano Gabriele Gresta, che ha fondato Hyperloop Transportation Technologies, azienda comprendente 800 tra ingegneri, designer e sviluppatori, che ha concluso già accordi per realizzare linee Hyperloop in diversi stati del mondo tra cui Brasile, Stati Uniti, Francia, Cina e India. Ed il prossimo paese potrebbe essere proprio l'Italia: Gresta ha infatti rivelato che è attualmente alla ricerca di investitori per realizzare due linee di Hyperloop da 150 chilometri anche nel nostro paese, con studi di fattibilità già in fase avanzata. Il treno viaggerebbe ad una media di 600 km/h, e potrebbe ad esempio garantire la tratta Bologna - Milano in appena 9 minuti. Inoltre, Hyperloop non solo sarebbe più veloce dei treni attuali, ma anche più efficiente e conveniente dal punto di vista energetico ed economico. Infatti, I tubi nei quali far viaggiare le capsule sarebbero ricoperti di pannelli solari e dotati di impianti eolici e geotermici il che consentirebbe di ammortizzare i costi della struttura.
 
[h=1]Prezzi bassi, macchine più capaci e domanda in crescita: ecco perché i robot stanno cambiando il mondo[/h] 1 Luglio 2019 Stefano Casini 9 min read
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I robot sono in aumento come mai prima d’ora, nella storia della produzione industriale. Uno slancio destinato a continuare nel prossimo futuro, e che impone di affrontare sfide e opportunità che la robotizzazione porterà nei Paesi più sviluppati, e nelle loro economie.

Ci sono tre fattori essenziali alla base dell’impennata, già in corso, dei robot industriali nel manifatturiero a livello mondiale. I tre “jolly” da giocare sul tavolo dell’innovazione sono: prezzi sempre più bassi e convenienti; capacità via via più straordinarie e sofisticate delle macchine; domanda mondiale di manufatti in crescita da parte dei consumatori, che richiede processi produttivi in grado di soddisfarla.

Il quadro emerge dall’analisi di mercato e scenario realizzata dalla società di consulenza Oxford Economics, nel suo Report ‘How Robots Change the World‘. Basta elencare un po’ di dati e cifre per inquadrare la ‘Robot Invasion‘ in corso nelle principali economie: il numero di macchine Hi-tech in uso in tutto il mondo si è triplicato negli ultimi due decenni, arrivando a oltre 2 milioni.


E dal 2010 a oggi l’ammontare globale di robot industriali è più che raddoppiato: negli ultimi quattro anni ne sono stati installati tanti quanti negli otto precedenti. Durante questo periodo, il baricentro del parco robot mondiale si è spostato verso nuovi produttori, soprattutto in Cina, Corea del Sud e Taiwan, ma anche in India, Brasile e Polonia.

Secondo la Federazione Internazionale della Robotica, alla fine del 2016 la produzione rappresentava oltre l’86% del parco operativo mondiale di robot industriali. L’automazione è stata a lungo una componente critica della produzione, in particolare nell’industria automobilistica, che nel 2016 ha rappresentato oltre il 43% del parco totale di robot industriali a livello globale.
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Le innovazioni nell’ingegneria e nell’apprendimento delle macchine lasciano presagire per i prossimi 5 anni un’adozione accelerata dei robot non solo nel settore industriale ma anche in quello dei servizi, quindi si aprono nuovi mercati. Tendenze e stime indicano che il numero globale di robot si moltiplicherà ancora più velocemente nei prossimi 20 anni, raggiungendo quota 20 milioni entro il 2030, e almeno un terzo di questi saranno in Cina.

Al contrario, sebbene sia cresciuto di circa 370 mila unità dal 2000, l’inventario complessivo di robot di Stati Uniti ed Europa è sceso al di sotto del 40% della quota globale, dal suo picco di quasi il 50% nel 2009. E il Giappone, qualche decennio fa leader mondiale dell’automazione, ha ridotto il suo stock attivo di robot di circa 100 mila unità dall’inizio del terzo millennio, in linea con un riequilibrio della sua economia, e con la migrazione di molti suoi impianti di produzione offshore, in particolare in Cina. Ma oggi e nei prossimi anni cosa spingerà un po’ ovunque questa impennata Hi-tech?
[h=2]Trend 1: robot più economici degli umani[/h]
La rapida espansione delle installazioni robotizzate è in parte dovuta al crollo dei costi delle macchine. Come per altre tecnologie avanzate, la crescita esponenziale della potenza di elaborazione dei microchip, la maggiore durata delle batterie, e i vantaggi di reti Hi-tech sempre più grandi e intelligenti, hanno aumentato il valore unitario di molti componenti tecnologici, mentre il prezzo unitario medio di un robot è sceso dell’11% tra il 2011 e il 2016.


Tutto ciò mentre l’aumento del costo del lavoro nelle principali economie manifatturiere contribuisce a una dinamica dei prezzi sempre più rilevante: in Cina, ad esempio, i costi unitari del lavoro nell’industria manifatturiera sono aumentati di oltre il 65% dal 2008. I tassi salariali sono aumentati costantemente anche in Corea, Giappone, Stati Uniti e Germania, in parte a causa dell’invecchiamento della popolazione.
[h=2]Trend 2: macchine sempre più capaci[/h]
Man mano che le tecnologie robotizzate migliorano, vengono utilizzate in processi sempre più sofisticati, in contesti più variegati, e possono essere installate più rapidamente.

Le innovazioni hanno reso i robot di oggi più piccoli, più sensibili ai loro ambienti e più collaborativi. Attraverso l’Intelligenza artificiale, possono imparare dalle loro esperienze e prendere decisioni informate dai dati di una rete di altri robot. Questi sviluppi hanno contribuito e contribuiranno a spingere l’adozione dei robot in più settori e diversi da quelli dell’industria tradizionale.
[h=2]Trend 3: più manufatti e più macchine per produrli[/h]
Gran parte della crescita delle scorte di robot nell’ultimo decennio può essere attribuita alla crescente domanda di manufatti. La Cina è al centro di questo cambiamento: è diventata il più grande sito produttivo automobilistico del mondo, e uno dei maggiori produttori di dispositivi elettronici di consumo, batterie e semiconduttori, tutti settori produttivi ad alta intensità di robot. Questa tendenza è destinata a continuare, dato che la Cina è ancora solo all’inizio della sua automazione, e sta investendo in robot per posizionarsi come leader globale di produzione.

Nonostante il suo allestimento Hi-tech in rapida crescita, la Cina utilizza attualmente nella produzione solo 68 robot ogni 10 mila lavoratori, contro i 303 ogni 10 mila del Giappone, e 631 per 10 mila della Corea del Sud. Gran parte della forza lavoro cinese è ancora impegnata in processi manuali, il che significa che rimane un vasto potenziale per un’ulteriore robotizzazione del settore manifatturiero cinese, più che in ogni altro Paese.

Con politiche governative che puntano a espandere l’uso dei veicoli elettrici (che richiederanno una produzione su larga scala di batterie), e la creazione di nuova produzione ad alta tecnologia, c’è da aspettarsi che la Cina continuerà probabilmente ad accelerare gli investimenti in robot per il prossimo decennio. Entro il 2030, se l’investimento in robot industriali continuerà a crescere secondo la sua attuale tendenza, la Cina avrà circa 10 milioni di robot industriali in uso.
[h=2]L’industria è all’avanguardia nella robotica[/h]
Il settore automobilistico è stato a lungo l’utilizzatore predominante dei robot: le innovazioni nella produzione di veicoli autonomi ed elettrici richiedono catene di produzione sempre più sofisticate, e questo ha fatto nascere la domanda di macchine nuove, più potenti e intelligenti per la loro costruzione.

Tuttavia, altre industrie manifatturiere stanno assumendo un ruolo più importante nell’uso dei robot. Ad esempio, la quota di nuove installazioni di robot nella produzione ad alta tecnologia è salita dal 21% del 2000 al 31% nel 2016. I robot sono stati introdotti sempre più spesso anche nella produzione di gomma e plastica, e stanno lentamente trovando la loro strada nell’industria alimentare e delle bevande.
[h=2]Braccia e cervelli Hi-tech al posto di quelli umani[/h]
L’aumento dei robot ha già avuto un profondo impatto sull’occupazione industriale in tutto il mondo: si calcola che ogni nuovo robot installato elimina, o ‘sposta’ ad altra funzione e attività, una media di 1,6 operai di produzione. Entro il 2030 si stima che, con la robotizzazione, potrebbero essere eliminati 20 milioni di posti di lavoro nella produzione industriale in tutto il mondo, una quota pari all’8,5% della forza lavoro globale nel settore manifatturiero.

“È importante notare che, nonostante il ritmo crescente degli investimenti e dell’installazione della robotica, i timori popolari che i robot creino enormi fasce di disoccupazione in tutto il mondo sono in qualche modo fuori luogo”, sottolinea il Report di Oxford Economics. Che rimarca: “questo perché il valore creato dai robot in tutta l’economia compensa ampiamente il loro impatto dirompente sull’occupazione”.
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I posti di lavoro sostituiti dall’automazione al 2030. Fonte: Oxford Economics[h=2]L’effetto ‘spostamento’ verso altre attività[/h]
I produttori automatizzano i loro processi per aumentare la produttività, e ciò crea un ‘effetto di spostamento’ dai posti di lavoro di produzione, poiché la nuova tecnologia può svolgere il lavoro di un lavoratore in modo più economico per un determinato standard di qualità. Riduce anche i costi unitari di produzione che, in un mercato competitivo, si traducono in prezzi più bassi e aumentano efficacemente il reale potere d’acquisto dei consumatori. “Pertanto, gli stessi robot che spostano i posti di lavoro nell’industria manifatturiera creano occupazione anche in tutta l’economia in generale”, è la previsione degli analisti di Oxford Economics.

In pratica, l’innovazione distrugge e rende obsoleti determinati tipi di lavoro e funzioni, ma lo sviluppo e la ricchezza che genera creano altra occupazione in altri tipi di attività. Entro il 2030, comunque, il saldo finale nel settore della manifattura dovrebbe essere in negativo fino a 20 milioni di posti di lavoro in tutto il mondo. Non sono numeri da catastrofe biblica, ma occorre comunque regolarsi per tempo.

Storicamente, i lavoratori scarsamente e mediamente qualificati che hanno perso il posto di lavoro in un settore manifatturiero sempre più produttivo e tecnologico hanno trovato opportunità nel settore dei servizi. Ma cosa possono fare i lavoratori disoccupati se i robot assumono anche lavori di servizio?
[h=2]I robot arrivano anche nel settore dei servizi[/h]
Mentre l’aumento dei robot industriali ha già ridotto significativamente l’occupazione manifatturiera nelle economie avanzate di tutto il mondo, la produzione rappresenta solo una piccola parte dell’occupazione totale in questi Paesi. Al contrario, la stragrande maggioranza delle persone lavora nel settore dei servizi, circa tre quarti di tutti i lavoratori, secondo le ultime stime dell’Oxford Economics.

Ma le innovazioni nell’Intelligenza Artificiale, nell’apprendimento delle macchine e nella potenza di calcolo portano a una consistente accelerazione nell’adozione dei robot anche nei settori e nelle attività dei servizi, dal carico delle scorte nei magazzini alla movimentazione dei bagagli negli aeroporti. O nella categoria dei sistemi logistici, in parte dovuta all’espansione globale di Amazon e di altre multinazionali del commercio elettronico.

La rapidità con cui si verifica un passaggio diffuso ai robot di servizio dipende da diversi fattori. Mentre alcuni lavori di servizio possono essere considerati standardizzati e relativamente facili da automatizzare, altri richiedono qualità umane uniche come intelligenza sociale, immaginazione, empatia e altre abilità cognitive non facilmente traducibili in algoritmi.
[h=2]Creatività ed empatia per ora sono poco replicabili[/h]
“Sarà difficile per le macchine sostituire gli esseri umani nelle occupazioni del settore dei servizi che richiedono compassione, creatività e intelligenza sociale. I fisioterapisti, gli addestratori di cani e gli assistenti sociali, per esempio, probabilmente rimarranno al sicuro con il loro lavoro, mentre camionisti e magazzinieri sono molto più a rischio”, rileva l’analisi ‘How Robots Change the World‘.

“Sì, i magazzinieri di Amazon saranno probabilmente sostituiti da robot in due o tre anni”, prevede Kai-fu Lee, esperto di Deep learning robotico ed ex dirigente di Google e Microsoft. Che osserva: “ma per il lavoro che si svolge in ambienti non strutturati, non prevedo che i robot sostituiscano effettivamente le persone per altri 20 o 30 anni. Saranno necessarie altre scoperte”.
[h=2]Gli automi che vendono frigoriferi e Prosecco[/h]
L’Ifr (la Federazione robotica internazionale) stima che nel 2017 sono stati installati 69 mila sistemi logistici (quelli utilizzati nei magazzini commerciali), con un incremento del 162% rispetto al 2016. Circa il 90% è stato installato al di fuori degli stabilimenti. Il valore delle vendite dei sistemi logistici ha raggiunto la quota complessiva di circa 2,4 miliardi di dollari.

Oggi anche in alcuni negozi si trovano i primi robot, anche se i ruoli da svolgere sono finora limitati. Il gigante olandese Ahold Delhaize sta collocando 500 robot dotati di sofisticate telecamere nei negozi di alimentari degli Stati Uniti, per assicurarsi che gli scaffali siano stoccati sempre in maniera adeguata, e che le eventuali fuoriuscite di prodotto vengano pulite dai pavimenti.

Nei negozi di elettrodomestici Saturn in Germania, è probabile che un robot a grandezza naturale vi accolga ‘calorosamente’ e vi indichi il modello specifico di Tv che state cercando. E nel negozio di vini e liquori BevMo a Walnut Creek, in California, l’inventario della cantina è monitorato da un assistente a due ruote di nome Norma, che può anche condurvi allo scaffale dello Chardonnay e del Prosecco.

 
[h=1]I robot stanno imparando a fare la pizza[/h] [h=2][/h]
Al MIT di Boston hanno realizzato una rete neurale che, grazie ad un sistema di algoritmi antagonisti, è in grado di leggere la ricetta, dosare gli ingredienti e controllare la cottura. L'obiettivo non è far fuori i pizzaioli ma creare delle macchine in grado di apprendere da sole e prendere le decisioni giuste. Se ne parla da tempo: quando vedremo una "margherita" perfetta preparata da un cuoco artificiale vorrà dire che siamo arrivati al traguardo
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RICCARDO LUNA19 giugno 2019 14:43
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PIZZA

INTELLIGENZA ARTFICIALE
Ogni tanto penso, chissà cosa staranno facendo al MIT, il mitico istituto di tecnologia del Massachussets, dove hanno inventato la galleria del vento e il radar, la fissione nucleare e le batterie agli ioni di litio che fanno funzionare le auto elettriche. Chissà che meraviglia staranno facendo oggi, mi chiedevo quando mi sono imbattuto nella loro ultima ricerca. Stanno facendo la pizza.

O meglio: stanno insegnando a un sistema di intelligenza artificiale cos’è una pizza per poterla cucinare e guarnire in autonomia. Non è una scemenza, o un progetto estivo di qualche studente, ma una frontiera importante per costruire macchine, robot o quello che sia, in grado di fare davvero quello che facciamo noi esseri umani. Infatti, spiegano i ricercatori (qui il paper completo), quando si dice che in qualche catena di fast food c’è già un robot che fa gli hamburger si dice una mezza verità: il robot non sa davvero se sulla griglia c’è un hamburger di manzo o di plastica, lo gira ogni tot minuti e lo serve in tavola. Ma non ha capito cosa ha cucinato.

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Quello che al MIT - assieme a un istituto di ricerca del Qatar - hanno realizzato invece è un network di reti neurali in grado di prendere delle istruzioni, in questo caso una ricetta, dosare gli ingredienti, controllare la cottura e arrivare al prodotto finito. Insomma, hanno creato un vero cuoco artificiale. Funziona grazie ad un metodo inventato nel 2014 da un giovane studente di Stanford, Ian Goodfellow, che oggi lavora al progetto Brain di Google e fa parte della lista dei 100 pensatori più influenti del mondo. Tutto ciò perché quando aveva 29 anni pubblicò una ricerca in cui dimostrava che creando due sistemi di algoritmi che si sfidano (detti GAN), la macchina è in grado di generare una sorta di apprendimento automatico senza supervisioni.

Torniamo alla pizza che è meglio. I due algoritmi antagonisti hanno creato immagini della pizza prima e dopo la cottura, con più o meno mozzarella, pomodoro, basilico e tutto il resto. In questo modo il robot in futuro saprà esattamente cosa aggiungere o togliere e quanto cuocerla per avere una pizza perfetta.

Ora qui il tema non è che un giorno i pizzaioli scompariranno perché al loro posto avremo i robot del MIT. La strada è lunga e ma la posta in gioco è molto più grande della pizzeria sotto casa. Riguarda tutti i settori della nostra vita. Certo, quando vedremo un robot capace di preparare e cucinare una vera pizza, vorrà dire che l’intelligenza artificiale è arrivata al traguardo.



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[h=1]Prezzi bassi e pochi immigrati. Arrivano i contadini-robot[/h] [h=2][/h]
L'automazione non è certo una novità in agricoltura, ma fino a ora ha riguardato soprattutto alcune colture come mais, frumento, soia, riso, cotone. Altre, invece – come fragole o mele - sono rimaste attività manuali. Adesso però c'è un set di innovazioni che potrebbe cambiare le cose

di PAOLO FIORE
19 giugno 2019,19:06
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AfpRobot in agricoltura CONTADINI ROBOT

AGRICOLTURA
Il lavoro manca perché ce lo rubano i robot. O forse i robot arrivano dove non ci sono i lavoratori (pagati poco). Trovare una risposta non è mica semplice, ma leggendo un reportage di John Seabrook per il New Yorker il dubbio viene. L'articolo, intitolato “The Age of Robot Farmers” (L'era dei robot-contadini), è il racconto di come l'automazione stia arrivando nei campi, tra tecnologia, investimenti, migranti, paghe magre e cattive abitudini.
[h=3]Quanto è difficile sostituire le mani[/h]
L'automazione non è certo una novità in agricoltura, ma fino a ora ha riguardato soprattutto alcune colture come mais, frumento, soia, riso, cotone. Altre, invece – come fragole o mele - sono rimaste attività manuali. La ragione è semplice: il raccolto richiede delicatezza, capacità di distinguere il giusto grado di maturazione e tecnologie specifiche. Quello che va bene per l'uva non è adatto alle arance. Adesso però c'è un set di innovazioni che potrebbe cambiare le cose: intelligenza artificiale, robotica, big data, Gps, visione artificiale, droni.
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AfpAllevamenti, automazione

Wish Farms è una dei più grandi produttori statunitensi di fragole. Nei suoi campi in Florida, Gary Wishnatzki (il proprietario) ci lavora dagli anni '70, come prima di lui avevano fatto il padre e il nonno. Nel 2013, ha fondato con Bob Pitzer (uno che con la terra non c'entrava molto, visto che lavorava in Intel) Harvest Croo, una società che sta creando un robot-contadino: lo hanno chiamato Berry. Il suo sviluppo è costato, fino a ora, più di 10 milioni di dollari: investimenti propri, ma anche degli altri produttori. Perché se ci sarà un robot capace di raccogliere fragole, non sarebbe un vantaggio solo per Wish Farms.
[h=3]Berry, un contadino di 11 tonnellate [/h]
Si fa presto a dire robot. In una ambiente irregolare come un campo, automatizzare vuol dire ridisegnare le coltivazioni: renderle i filari di piante più precisi, la loro distribuzione omogenea. Nella prospettiva di ospitare Berry, ogni pianta di Wish Farms ha un suo corrispettivo “virtuale”, che può essere monitorato con un tablet, passando dal cloud di Microsoft.
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AfpRobot in agricoltura

Wishnatzki e Pitzer sperano di produrre un prototipo di Berry, molto simile a quello che verrà commercializzato, entro la fine dell'anno. Per mostrare i passi avanti hanno riunito gli altri coltivatori per una dimostrazione, alla quale era presente anche il giornalista del New Yorker. Il robot è enorme: pesa 11 tonnellate e ha 16 tentacoli meccanici per fare il lavoro di trenta persone. Servirebbero 25 Berry per coprire tutti campi di Wish Farms.

Il robot si muove con la tecnologia Lidar, la stessa utilizzata per le auto che si guidano da sole. La sua forza non è tentare di emulare il lavoro umano: un contadino esperto riconosce facilmente le fragole mature. Gran parte del suo tempo è quindi occupato dalla raccolta fisica, che avviene in contemporanea alla selezione. Il robot è un raccoglitore rapidissimo, ma può scegliere le fragole giuste solo dopo un'attenta analisi.
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AfpRobot in agricoltura

Berry passa in media otto secondi su ogni pianta. Sette e mezzo servono per osservarla: scruta la pianta dall'alto, ne fa una scansione e ne ricava una mappa virtuale. Un algoritmo suggerisce, in base a colore, dimensione e altri parametri quale bacca staccare (con delicatezza). Solo adesso Berry passa all'azione. Tra i suoi compiti c'è anche quello di fare ombra a videocamere e tentacoli meccanici: le condizioni di luce variabile sono infatti un'interferenza che potrebbe confondere l'intelligenza artificiale. Ecco perché il robot non è solo in grado di coltivare 24 ore su 24: preferisce farlo di notte. Stando alle parole del New Yorker, vedendo Berry, i coltivatori sono rimasti “senza fiato”.
[h=3]Cosa c'entrano gli immigrati con la robotica[/h]
Tutto il raccolto di Wish Farms oggi è ancora fatto a mano, con 650 braccianti nei picchi stagionali. Ma perché Wishnatzki, a un certo punto, ha pensato che fosse necessario un robot? La scintilla è stata l'assenza di personale a basso costo. “In ogni Paese sviluppato nel mondo – ha detto Wishnatzki al New Yorker – sono gli immigrati che fanno il lavoro duro”. Negli Stati Uniti erano i messicani a raccogliere le fragole. Oggi sono molti meno, un po' per le politiche più restrittive sull'immigrazione e un po' perché le paghe nei campi sono talmente basse che chi vuole rimanere negli Stati Uniti (con i tassi di disoccupazione contenuti di oggi) preferisce fare altro.
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AfpAllevamenti, automazione

È una dinamica precedente a Trump: l'immigrazione ha accelerato negli anni '90 e raggiunto il picco nel 2000. Secondo il Pew Research Center, tra il 2009 e il 2014 sono stati più i messicani che hanno lasciato gli Stati Uniti che quelli arrivati da oltreconfine: un saldo negativo 140mila persone. L'aumento dei flussi provenienti dall'America centrale non è stato sufficiente per bilanciare la perdita di forza lavoro. Non hanno funzionato neppure strade alternative: la Georgia ha promosso un programma che permetteva ai detenuti per crimini non violenti di lavorare nei campi negli ultimi anni di pena. Un flop.

Per trovare braccianti, quindi, i coltivatori vanno a prenderli all'estero. Letteralmente. Il visto H-2A permette alle imprese di portare negli Stati Uniti i lavoratori agricoli stagionali, rispettando l'obbligo di dare loro le stesse paghe minime garantite ai contadini statunitensi. Nell'ultima stagione, il 60% dei contadini di Wish Farms hanno avuto un H-2A. Il visto è però più costoso, non tanto per le paghe (che restano comunque basse), quanto per gli oneri burocratici. Ma, spiega Wishnatzki, oggi è l'unico modo per assicurare un raccolto. Almeno fino a quando non arriverà Berry.
[h=3]Gli effetti delle fragole a febbraio[/h]
Avere meno lavoratori, spesso immigrati, non vuol dire solo che ci sono meno contadini. Vuol dire anche che quelli rimasti sono più anziani e, quindi, meno produttivi. Passare ai robot, però, non è per nulla semplice, come dimostrano i tempi di sviluppo e gli investimenti di Harvest Croo. Oltre ai problemi tecnici, poi, c'è una questione finanziaria. Ogni coltura specializzata richiederebbe uno sviluppo a sé. Serve quindi un mercato sufficientemente grande per ripagare l'investimento: potrebbe avvenire per quello di fragole, agrumi, mele, uva, alcune verdure.
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AfpRobot in agricoltura

Per altri, più piccoli, il rischio non vale la resa. Anche il modello che ha in mente Harvest racconta quanto sottile sia l'equilibrio: il piano non è vendere i Berry prodotti ma affittarli a un prezzo vicino al costo della forza lavoro attuale. Almeno all'inizio, quindi, l'obiettivo, più che risparmiare, sarebbe ammortizzare la penuria (attuale e futura) dei contadini disponibili. Certo, per incoraggiare un ritorno nei campi, paghe più generose farebbero comodo. Ma tutti i produttori dovrebbero evitare di correre al ribasso, i rivenditori di importare da mercati più economici. E, visti i margini ridotti tipici dell'agricoltura, i consumatori dovrebbero accettare il rincaro dei prezzi, specie fuori stagione.

Wishnatzki ricorda che, a metà degli anni '70, una confezione di fragole nei banchi dei supermercati a febbraio costava quattro volte più di oggi. Se si desiderano prezzi bassi su tutti i frutti tutto l'anno, ci sono due alternative:
pagare poco i contadini o affidarsi a Berry. [h=3]Non solo contadini-robot[/h]
Tra i filari, le mani restano, ancora oggi, uno strumento insostituibile. Come Harvest Croo, però, ci sono molti altri tentativi di sviluppare contadini-robot. Anche la spagnola Agrobot e la britannica Dogtooth puntano sulle fragole. La startup inglese sintetizza nella descrizione sul suo sito web quello che ha raccontato il New Yorker: “Le persone sono fondamentali e sono una grande risorsa. Il problema è che le aziende non riescono a reclutare abbastanza lavoratori”.

L'israeliana FFRobotics ha sviluppato robot per la raccolta delle mele, così come la statunitense Abundant Robotics (capace di ottenere 12 milioni di dollari d'investimento). Sono solo alcuni esempi di un segmento che fa parte di un settore molto più ampio. Agritech e Foodtech sposano tecnologia e agroalimentare per migliorare ristoranti, vendita, colture, cucina. Tra sensori, big data, droni, fattorie verticali, cibi innovativi, intelligenza artificiale. Secondo lo Europe AgriFood Tech Funding Report, nel 2018 le startup europee del settore hanno raccolto 1,6 miliardi di dollari. Per dire quanto ci sia oltre Berry: solo il 4% è stato destinato a “robotica e automazione”. Le nuove tecnologie non coprono solo la forza lavoro: monitorano, analizzano, migliorano. Vuol dire che, se ben usate, sprecano meno. E questo sì, è necessario. Altro che le fragole a febbraio.



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GLI IMMIGRATI E NON ,NON SERVIRANNO PIU'
 
[h=1]Mele, T&G Global lancia il primo robot per la raccolta commerciale[/h] 29 Marzo 2019
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[h=5]T&G Global, i più grande esportatore di mele della Nuova Zelanda, annuncia un primato mondiale: per prima l’azienda si è lanciata nella robotica per la raccolta in frutteti commerciali. La tecnologia, messa a punto dalla società americana Abundant Robotics, riconosce le mele che sono pronte da raccogliere e le “aspira” dentro un bocchettone di gomma morbida, in grado di ridurre i rischi della manipolazione[/h]


Dalla Redazione




T&G Global, il colosso neozelandese delle mele che detiene i diritti delle mele club Jazz ed envy, coltivate anche nel nostro Paese, si lancia nella robotica e per prima nel mondo introduce un raccoglitore automatizzato per la raccolta dei frutti. Il progetto, come riporta Fresh Fruit Portal, è il culmine di quattro anni di collaborazione con Abundant Robotics, partner tecnologico con sede negli Stati Uniti che due anni fa, tramite la società madre BayWa AG, ha messo a punto questa tecnologia che riconosce le mele che sono pronte da raccogliere e distingue i frutti danneggiati da quelli sani, quindi “aspira” i frutti dentro un bocchettone di gomma morbida. Il robot è in grado di raccogliere migliaia di mele all’ora, in modo delicato, riducendo i rischi della manipolazione (leggi qui la notizia che avevamo dedicato a questa innovazione).



Il Ceo di T & G Global, Peter Landon-Lane, afferma che la società è orgogliosa di aver raggiunto questo importante traguardo nell’evoluzione dell’industria mondiale delle mele e che le operazioni di T & G in Nuova Zelanda fanno da apripista per una nuova era della raccolta automatizzata dei frutti. “L’automazione – dichiara – ci consente di andare sempre di più incontro alla crescente domanda globale di cibo, di fronte alle sfide attuali e future del mercato del lavoro. Negli ultimi anni abbiamo guidato attivamente questo aspetto, inclusa la preparazione dei nostri frutteti all’introduzione del robot, attraverso metodi di potatura specifici e altri accorgimenti tecnici nei meleti ad alta densità”.



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“Con T & G Global siamo in grado di gestire un programma di sviluppo per tutto l’anno, sfruttando il lavoro con i produttori di mele statunitensi e i frutteti neozelandesi durante le stagioni di raccolta complementari dell’emisfero settentrionale e meridionale”, aggiunge Dan Steere, Ceo di Abundant Robotics Dan Steere. “Lo sviluppo di un raccoglitore automatico di mele – continua – richiede la risoluzione di una serie di complessi problemi tecnici in parallelo, dall’individuazione visiva dei frutti raccolti alla manipolazione fisica per raccoglierli senza lasciare segni sulle mele, fino alla messa in sicurezza del frutteto stesso durante la raccolta”.



La tecnologia Abundant Robotics viene utilizzata per raccogliere una gamma di varietà di mele tra cui anche le club Jazz e Envy di proprietà di T & G, che sono destinate agli scaffali dei supermercati in Nuova Zelanda e all’estero, anche in Italia. Landon-Lane dice che ci vorranno alcuni anni prima che tutti i frutteti T & G siano idonei alla raccolta robotizzata, ma intanto questo primo raccolto con Abundant Robotics è “un entusiasmante passo in avanti”.



“La raccolta delle mele è un duro lavoro fisico ed è stagionale. – conclude Peter Landon-Lane – La tecnologia robotica integra il lavoro svolto dalla nostra gente con la sua capacità di prelevare una grande percentuale del frutto, specie sui rami più alti degli alberi, riducendo lo sforzo fisico dei braccianti e aumentando la produttività. Questo ci consentirà di continuare la crescita entusiasmante che si sta realizzando nel settore delle mele, senza essere ostacolati dalle attuali carenze di manodopera”.

 

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