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16 maggio 2019 [h=1]I residui radioattivi dei test nucleari sono arrivati in fondo all'oceano[/h]
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Il ritrovamento in ambienti remoti come la Fossa delle Marianne del carbonio radioattivo usato nei test con gli ordigni nucleari dimostra la portata dell'impatto delle attività umane sul pianetadi Adam Levy/Scientific American
ambientearmamentinucleare
Nel suo punto più profondo la Fossa delle Marianne, situata nell'oceano Pacifico occidentale, tra il Giappone e Papua Nuova Guinea, si inabissa fino a circa 11.000 metri al di sotto della superficie. È uno degli ambienti più inaccessibili della Terra, ma non è sfuggito all'impatto della violenza dell'umanità.

Un gruppo di scienziati ha ritrovato nei tessuti di crostacei che vivono nella trincea del carbonio 14, radioattivo, a livelli abbastanza elevati da indicarne l’origine: la detonazione di bombe nucleari. "Di solito pensiamo che le fosse oceaniche siano abbastanza remote e profonde da essere incontaminate. Ma in realtà, non è così", dice Jiasong Fang, geo-microbiologo alla Hawaii Pacific University, che ha partecipato al nuovo studio. "Nelle fosse oceaniche può finire di tutto".

Gli scienziati possono tracciare gli effetti delle detonazioni nucleari in superficie (la prima delle quali risale al 1945) misurando i livelli di carbonio 14, un isotopo radioattivo del carbonio che viene prodotto quando i neutroni delle reazioni nucleari collidono nell'atmosfera con atomi di azoto. (È anche prodotto naturalmente, a livelli più bassi, dai raggi cosmici che bombardano l'atmosfera.)

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Esemplare di Hirondellea gigas, un crostaceo che vive nelle profondità oceaniche (Daiju Azuma/Wikimedia, CC BY-SA 2.5)Negli anni cinquanta e sessanta, quando furono testate decine di bombe all'idrogeno, i livelli atmosferici di carbonio 14 sono raddoppiati. Una piccolissima quantità del "carbonio da bomba" di queste terrificanti esplosioni è decaduta, ma il resto si è diffuso in tutto il mondo e attraverso l'anidride carbonica è stato assorbito dalle piante, che vengono poi mangiate dagli animali, compresi gli esseri umani.

Finora, non era chiaro se il carbonio usato negli ordigni nucleari fosse riuscito a diffondersi negli anfratti più remoti del mondo, soprattutto nei mari più profondi. Perché la circolazione oceanica naturale riesca a trasportarlo nelle profondità della Fossa delle Marianne ci vorrebbero circa mille anni, e infatti, i primi test del nuovo studio hanno dimostrato che nelle acque di quell’abisso i livelli di carbonio 14 sono bassi, come si aspettavano i ricercatori in base ai lunghi tempi necessari perché passi dall'atmosfera alle profondità dell'oceano.

Ma quando hanno usato delle trappole per catturare e analizzare i crostacei che vivono a quelle profondità, Fang e colleghi hanno rilevato nei loro tessuti e nel contenuto intestinale dei livelli di isotopi molto più elevati che nelle acque circostanti. Il carbonio radioattivo doveva essere arrivato lì in un altro modo, più veloce: secondo i ricercatori, stava prendendo una scorciatoia attraverso la catena alimentare.

La materia organica, compresi gli escrementi e le carcasse degli organismi di superficie, sprofonda lungo la colonna d'acqua in poche settimane o mesi. Quando i crostacei che vivono sul fondale sgranocchiano quei bocconi, assorbono nel loro corpo la “firma” dei test nucleari, dicono i ricercatori nello studio, pubblicato online ad aprile su “Geophysical Research Letters”.

Di recente, altri studi condotti in tutto il mondo hanno identificato i residui dei test sulle armi nucleari della metà del XX secolo – ma anche dei disastri nucleari di Chernobyl e Fukushima - nei ghiacciai di montagna, un altro paesaggio spesso considerato incontaminato e remoto. Insieme ai risultati relativi alla Fossa delle Marianne, queste scoperte "dimostrano che la circolazione atmosferica e oceanica distribuisce la radioattività originata dalle bombe a livello globale, anche ai siti più remoti", dice Edyta Lokas dell'Institute of Nuclear Physics PAS di Cracovia, in Polonia, che ha lavorato alla ricerca sui ghiacciai, presentata lo scorso aprile a un convegno della European Geoscience Union (EGU).

Peggio ancora, il fallout intrappolato nei ghiacciai include elementi radioattivi più preoccupanti (come l'americio-241, un prodotto del decadimento del plutonio), che potrebbero essere rilasciati a causa del riscaldamento globale e dello scioglimento dei ghiacci. "L'eredità della contaminazione radioattiva sarà avvertita da molte generazioni a venire", dice Lokas.

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Il fungo causato dall'esplosione del test della prima bomba a idrogeno, il 1° novembre 1952, nelle isole Marshall (Science Photo Library/AGF)Queste impronte evidenti e durature dei test nucleari sono uno dei segni proposti dagli scienziati che ritengono che gli esseri umani abbiano cambiato il pianeta a tal punto che ora vivremmo in un'epoca geologica distinta, spesso chiamata "Antropocene". Secondo i sostenitori di questa idea, il fatto che i resti di queti test stiano raggiungendo i ghiacciai e le profondità oceaniche indica che l'uomo ha iniziato ad alterare radicalmente la geologia dell'intero pianeta. "Questo mostra che i segni della nostra specie stanno raggiungendo anche luoghi ritenuti remoti o lontani dall'influenza umana", dice Jan Zalasiewicz, paleobiologo all'Università di Leicester, nel Regno Unito, che studia l'Antropocene.

Ma non sono solo impatti relativamente rari, come i test nucleari, ad aver raggiunto quegli ambienti remoti; vi si può trovare anche una contaminazione umana più “banale”. I ricercatori hanno riferito di recente di aver ritrovato delle microplastiche – frammenti di plastica più grandi, microsfere e fibre sintetiche – in tutti i crostacei testati della Fossa delle Marianne. "E’ un fatto scoraggiante, ma non inaspettato," dice William Reid, un ecologo della Newcastle University che ha partecipato allo studio, pubblicato in febbraio su “Royal Society Open Science”. "Probabilmente è il tipo di ricerca più triste in cui sia mai stato coinvolto." E stando ai risultati presentati alla riunione dell'EGU di aprile, le microplastiche sono state trovate anche nei ghiacciai.

Di fatto, le azioni dell'umanità hanno una portata così vasta che uno studio pubblicato su “Current Biology” nel 2018 ha ipotizzato che solo il 13 per cento degli oceani della
Terra possa ancora essere ritenuto allo stato selvatico. "Dubito fortemente - dice Reid – che sulla superficie o sui fondali marini di questo pianeta siano rimasti molti luoghi che non abbiamo influenzato."

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L'originale di questo articolo è stato pubblicato su "Scientific American" il 15 maggio 2019. Traduzione ed editing a cura di Le Scienze. Riproduzione autorizzata, tutti i diritti riservati.)
 
[h=1]Le isole Marshall sono più radioattive di Chernobyl e Fukushima[/h] [h=2]Quattro atolli delle isole Marshall hanno livelli di radiazioni molto più alti rispetto a Chernobyl e Fukushima. E la colpa è dei 67 test nucleari condotti dagli Usa tra il 1946 e il 1958[/h]
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(Foto: DigitalGlobe/Getty Images)
I livelli di radiazione in alcune aree delle splendide isole Marshallnell’Oceano Pacifico sono superiori a quelli di Chernobyl e Fukushima. A lanciare l’allarme sono stati i ricercatori della Columbia University di New York, secondo cui in 4 atolli delle Isole Marshall, dove gli Stati Uniti avevano condotto tra il 1946 e il 1958 ben 67 test nucleari per sperimentare la potenza delle loro bombe atomiche, le quantità di radiazioni rimangono ancora oggi a livelli allarmanti. Da dieci a mille volte superiori delle aree radioattive vicino alla centrale di Chernobyl (1986) e Fukushima (2011). Lo studio è stato appena pubblicato su Pnas.

Analizzando 38 campioni prelevati su 11 isole differenti, i ricercatori hanno scoperto la presenza di grandi quantità di elementi radioattivi, tra cui l’americio-241, il cesio-137, il plutonio-239 e 240, gli stessi rilevati nelle aree vicine alla centrale di Chernobyl e Fukushima. Le isole con più concentrazioni di radiazioni, secondo lo studio, sono risultate essere quelle settentrionali, ossia Naen, nell’atollo di Rongelap; Runit ed Enjebi, nell’atollo di Enewetak, e Bikini, nell’atollo di Bikini.

Ma il più alto livello di radiazioni, spiegano i ricercatori, è stato individuato sull’isola di Bikini, usata come una sorta di ground zero, dove gli Stati Uniti condussero nel 1954 il più grande test sulla bomba all’idrogeno (Castle Bravo), mille volte più potente di quella lanciata su Hiroshima, alla fine della Seconda guerra mondiale. Dagli ultimi testi, infatti, è emerso che questa isola contiene una quantità di plutonio fino a mille volte superiore rispetto a quella rilevata dopo il disastro di Chernobyl.
Inoltre, durante altri test, i ricercatori hanno scoperto che alcuni frutti su diverse aree delle Isole Marshall contenevano più cesio-137 rispetto a quanto consentito dagli standard di sicurezza internazionali, e alcune isole contenevano anche più cesio-137 rispetto a quello rilevato a Chernobyl a 10 anni dal disastro.

Tutte e quattro le isole sono oggi disabitate: Bikini, Enjebi e Runit sono negli atolli dove si sono svolti i test nucleari. Ma la minuscola Naen, in cui sono stati rilevate alte concentrazioni di plutonio-238, si trova nell’atollo di Rongelap, a circa 160 chilometri dalle altre 3 isole. “Questa scoperta aumenta la possibilità che l’isola fosse utilizzata come una discarica di scorie nucleari non dichiarata”, commenta Ivana
Nikolic Hughes, co-autrice della ricerca, sottolineando che l’unico altro posto dove è stato scoperto questo elemento radioattivo è Runit, dove gli Stati Uniti costruirono un’enorme cupola di cemento ( e che oggi si sta crepando) per conservare al suo interno le scorie nucleari. “Le persone non dovrebbero vivere sull’atollo di Rongelap fino a quando questo mistero non verrà risolto”.

Infine, come concludono gli autori dello studio c’è un’enorme differenza tra le Isole Marshall e Chernobyl o Fukushima: per questi due ultimi disastri nucleari, infatti, ci sono notevoli sforzi per tenere lontane le persone dai reattori contaminati,
mentre oggi le isole come Bikini e Naen sono facilmente accessibili dalla popolazione locale, che tradizionalmente si sposta da un’isola all’altra per raccogliere frutta e altri alimenti.

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[h=1]Rifiuti radioattivi: Shell vuole abbandonarli nell’oceano[/h] Redazione GreenStyle
11 Marzo 2019


Fonte immagine:iStock


Shell ha intenzione di lasciare nel Mare del Nord calcestruzzi contenenti materiali radioattivi, protestano le associazioni ambientaliste.

Parliamo di:
Inquinamento Ambientale
Shell ha intenzione di abbandonare sul fondale marino del Mare del Nord una grossa quantità di rifiuti radioattivi. La richiesta da parte del noto colosso del petrolio è stata avanzata alle Istituzioni europee, che adesso devono valutare se concedere o meno una deroga alla legislazione vigente.

Si tratta di 64 celle di calcestruzzo che facevano parte delle piattaforme di perforazione offshore (in mare), ognuna con una dimensione pari a 7 piscine olimpioniche. In molte di queste sono presenti ancora sostanze oliose e sedimenti contaminati dalle attività estrattive. Robert Armor, dell’Autorità per il petrolio e il gas, ha dichiarato:
Parte del problema è che alcuni materiali sono radioattivi. Sono stati prelevati dalle profondità sotterranee e il cemento dove questi materiali sono racchiusi è fragile.
Petroliera perde greggio nel Pacifico, a rischio sito Unesco
I materiali di scarto che generalmente si formano durante le attività di perforazione sono altamente radioattivi, parliamo di particelle di uranio, torio e radio. Questo genere di rifiuti sono collegati a tutta una serie di rischi per la salute: ad esempio se inalati o ingeriti possono generare gravi malattie come il tumore alle ossa.

Shell pensa che lasciare queste sostanze al loro posto sia la cosa più sicura da fare, una convenzioni però attaccata duramente dagli ambientalisti che non si fidano delle informazioni rilasciate dall’azienda, definite “insufficienti”. Lyndsey Dodds, a capo della politica marittima del WWF, ha dichiarato:
La proposta di non ritirare i calcestruzzi nel tempo provocherà un nuovo danno da parte delle trivelle. Il rischio di contaminazione da idrocarburi e altri contenuti del calcestruzzo, inclusi eventuali materiali radioattivi, nell’ambiente marino è alto


UNICA SOLUZIONE:


2Q==

 
[h=1]Il Mediterraneo è pieno di scorie radioattive: la lista di navi sospette mai arrivata a destinazione[/h]


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L'intelligence militare (ex Sismi, oggi Aise) già 12 anni fa era a conoscenza di 90 navi, affondate nel Mediterraneo tra il 1989 e il 1995, per "presunti traffici di rifiuti tossici o radioattivi" tanto da stillarne un elenco. La lista, dettagliata, fu inviata alla Procura di Reggio Calabria e indicava almeno 49 cargo inabissati in mare aperto e mai recuperati. Ma questo prezioso elenco (completo di nazionalità, carico, profondità del fondale, nome dell'armatore,date, luoghi e cause dell'affondamento), capace di portare ad una svolta le indagini sui mercantili che, secondo alcune fonti, sarebbero stati affondati nei nostri mari per nascondere un carico di rifiuti industriali o radioattivi, non è mai arrivato nelle giuste sedi. Non l'ha infatti mai ricevuto il Corpo forestale dello Stato che seguiva all'epoca le indagini per conto del ministero della Difesa e della Procura Calabrese. Tra le navi indicate nella lista c'erano anche quelle su cui si concentrava il capitano di corvetta, Natale De Grazia, che si occupava a quei tempi degli affondamenti sospetti.

L'investigatore di punta del pool segnalava in un'informativa del 28 settembre 1995 alcuni "affondamenti dubbiosi", tra cui, come cita il Fatto Quotidiano, quello della motonave Rigel, affondata il 21 settembre 1987 a largo di Capo Spartivento e "il cui sinistro non risulta dai registri delle autorità marittime", la Aso, "affondata il 16 maggio del '79 al largo di Locri con 900 tonnellate di solfato ammonico", della Anni, inabissata "il 1° agosto 1989 in alto Adriatico", della Euroriver, "affondata anch' essa in Adriatico il 12 novembre '91". Oltre a quello della nave Rosso, "arenatasi a Capo Suvero di Vibo Valentia il 14 dicembre 1990 durante il viaggio da Malta a La Spezia". Tutte con un carico, secondo l'investigatore, sospetto "sulla base della bandiera delle navi, quasi sempre di comodo, e del fatto che non si è a conoscenza degli sviluppi del sinistro".

Peccato che, secondo il magistrato che si occupava delle indagini in quel momento, l' ex pm di Reggio Calabria Francesco Neri, il capitano De Grazia non sia mai venuto a conoscenza di quella lista dei Servizi segreti militari che avrebbe aiutato e confermato la sua indagine. L'investigatore De Grazia, nonostante fosse sottoposto a severi controlli medici, morì nella notte tra il 12 e il 13 dicembre del '95 per una "morte improvvisa dell' adulto", secondo quanto affermato dall'autopsia di cui i familiari non accettarono mai l'esito. Nel 2012 la Commissione d' inchiesta sui rifiuti ribaltò gli esiti della perizia sulla sua morte, ipotizzando invece un decesso dovuto a "causa tossica". In seguito alla morte del capitano le indagini si arenarono, e il nucleo investigativo venne smantellato. Su quell'elenco di navi non risulta che siano mai state fatte indagine dettagliate.[/h]

QUINDI MANGIATE PESCE.
 
[h=1]Il Mediterraneo è pieno di scorie radioattive: la lista di navi sospette mai arrivata a destinazione[/h]


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L'intelligence militare (ex Sismi, oggi Aise) già 12 anni fa era a conoscenza di 90 navi, affondate nel Mediterraneo tra il 1989 e il 1995, per "presunti traffici di rifiuti tossici o radioattivi" tanto da stillarne un elenco. La lista, dettagliata, fu inviata alla Procura di Reggio Calabria e indicava almeno 49 cargo inabissati in mare aperto e mai recuperati. Ma questo prezioso elenco (completo di nazionalità, carico, profondità del fondale, nome dell'armatore,date, luoghi e cause dell'affondamento), capace di portare ad una svolta le indagini sui mercantili che, secondo alcune fonti, sarebbero stati affondati nei nostri mari per nascondere un carico di rifiuti industriali o radioattivi, non è mai arrivato nelle giuste sedi. Non l'ha infatti mai ricevuto il Corpo forestale dello Stato che seguiva all'epoca le indagini per conto del ministero della Difesa e della Procura Calabrese. Tra le navi indicate nella lista c'erano anche quelle su cui si concentrava il capitano di corvetta, Natale De Grazia, che si occupava a quei tempi degli affondamenti sospetti.

L'investigatore di punta del pool segnalava in un'informativa del 28 settembre 1995 alcuni "affondamenti dubbiosi", tra cui, come cita il Fatto Quotidiano, quello della motonave Rigel, affondata il 21 settembre 1987 a largo di Capo Spartivento e "il cui sinistro non risulta dai registri delle autorità marittime", la Aso, "affondata il 16 maggio del '79 al largo di Locri con 900 tonnellate di solfato ammonico", della Anni, inabissata "il 1° agosto 1989 in alto Adriatico", della Euroriver, "affondata anch' essa in Adriatico il 12 novembre '91". Oltre a quello della nave Rosso, "arenatasi a Capo Suvero di Vibo Valentia il 14 dicembre 1990 durante il viaggio da Malta a La Spezia". Tutte con un carico, secondo l'investigatore, sospetto "sulla base della bandiera delle navi, quasi sempre di comodo, e del fatto che non si è a conoscenza degli sviluppi del sinistro".

Peccato che, secondo il magistrato che si occupava delle indagini in quel momento, l' ex pm di Reggio Calabria Francesco Neri, il capitano De Grazia non sia mai venuto a conoscenza di quella lista dei Servizi segreti militari che avrebbe aiutato e confermato la sua indagine. L'investigatore De Grazia, nonostante fosse sottoposto a severi controlli medici, morì nella notte tra il 12 e il 13 dicembre del '95 per una "morte improvvisa dell' adulto", secondo quanto affermato dall'autopsia di cui i familiari non accettarono mai l'esito. Nel 2012 la Commissione d' inchiesta sui rifiuti ribaltò gli esiti della perizia sulla sua morte, ipotizzando invece un decesso dovuto a "causa tossica". In seguito alla morte del capitano le indagini si arenarono, e il nucleo investigativo venne smantellato. Su quell'elenco di navi non risulta che siano mai state fatte indagine dettagliate
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QUINDI MANGIATE PESCE.
 
[h=1]Una classifica inquietante[/h] [h=1]I 10 luoghi più radioattivi del pianeta[/h] [h=1]Non solo luoghi ormai considerati apocalittici, ma anche posti apparentemente incontaminati figurano in questa inquietante classifica dei dieci luoghi più radioattivi del pianeta. Tra essi anche il Mar Mediterraneo.
5 ottobre 2011
Antonella Recchia
Traduzione a cura di PeaceLink
Fonte: brainz.org

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Nonostante il terremoto del 2011 e le preoccupazioni per Fukushima abbiano riportato la minaccia della radioattività di nuovo nella coscienza pubblica, molte persone non si rendono ancora conto che la contaminazione è un pericolo che riguarda tutto il mondo. I radionuclidi figurano tra le prime sei minacce tossiche, come indicato da un rapporto del 2010 del Blacksmith Institute, una organizzazione non governativa che si occupa di inquinamento. Potreste restare sorpresi dalla posizione di alcuni dei luoghi più radioattivi al mondo – e quindi dal numero delle persone che vivono nel terrore per gli effetti che le radiazioni possono avere su di loro e sui loro figli.

10. Hanford, USA
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Il sito di Hanford, a Washington, era parte integrante del progetto di bomba atomica degli USA, avendo prodotto plutonio per la prima bomba nucleare e per la bomba “Fat Man”, usata a Nagasaki. Durante la Guerra Fredda, il sito intensificò la produzione, fornendo plutonio per la maggior parte delle 60.000 armi nucleari americane. Anche se dismesso, contiene ancora due terzi del volume delle scorie altamente radioattive del paese – circa 53 milioni di litri di scorie liquide, 25 milioni di metri cubi di rifiuti solidi e 200 chilometri quadrati di acque contaminate al di sotto dell’area, che lo rendono il sito più contaminato degli Stati Uniti. La devastazione ambientale di quest’area dimostra che la minaccia della radioattività non è semplicemente qualcosa che può arrivare con un attacco missilistico, ma può nascondersi nel cuore del proprio stesso paese.

9. Il Mediterraneo

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Da anni, la ‘Ndrangheta è accusata di aver usato il mare come un luogo comodo per sversare rifiuti pericolosi – scorie radioattive comprese – tariffando il sevizio e intascando i profitti. Legambiente sospetta che circa 40 navi cariche di rifiuti tossici e radioattivi siano scomparse nelle acque del Mediterraneo dal 1994. Se queste accuse fossero vere, dipingerebbero il quadro preoccupante di un quantitativo sconosciuto di scorie nucleari nel Mediterraneo il cui vero pericolo sarà davvero compreso quando le centinaia di barili si deterioreranno o se in qualche modo dovessero aprirsi. La bellezza del Mar Mediterraneo potrebbe davvero nascondere una catastrofe ambientale in corso.


8. La costa somala
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L'organizzazione mafiosa italiana appena citata non ha condotto i suoi loschi affari solo nei propri confini. Vi sono anche accuse che le acque e il suolo somalo, non protetti dal governo, siano stati usati per l’affondamento o l’interramento di scorie nucleari e metalli tossici – tra i quali 600 barili di rifiuti tossici e nucleari, e rifiuti ospedalieri radioattivi. Infatti, secondo il Programma Ambiente delle Nazioni Unite, i barili arrugginiti contenenti scorie trascinati sulle coste somale durante lo Tsunami del 2004 sarebbero stati scaricati in mare già negli anni ’90. La Somalia è un'anarchica terra desolata, e gli effetti di queste scorie sulla popolazione impoverita potrebbero essere addirittura peggiori di ciò che questa gente ha già sperimentato.

7. Mayak, Russia
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Il complesso industriale di Mayak, nel nord-est della Russia, ha un impianto nucleare da decenni, e nel 1957 è stato teatro di uno dei peggiori incidenti nucleari del mondo. Fino a 100 tonnellate di scorie radioattive furono rilasciate in seguito ad una esplosione che contaminò un’area enorme. L’esplosione è stata tenuta segreta fino agli anni ’80. A partire dagli anni ’50, le scorie della centrale venivano scaricate nell’area circostante e nel Lago Karachay. Ciò ha portato alla contaminazione della riserva d’acqua sulla quale migliaia di persone fanno affidamento ogni giorno. Gli esperti ritengono che Karachay è forse il luogo più radioattivo del mondo, e oltre 400.000 persone sono state esposte alle radiazioni provenienti dall’impianto in seguito a diverse serie di incidenti accaduti – tra i quali incendi e micidiali tempeste di sabbia. La bellezza naturale del Lago Karachay nasconde i suoi inquinanti mortali, e i livelli di radiazione nei punti in cui le scorie radioattive scorrono nelle sue acque sono sufficienti ad uccidere un uomo nell’arco di un’ora.

6. Sellafield, UK
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Situata sulla costa occidentale dell’Inghilterra, Sellafield era originariamente una struttura che produceva plutonio per le bombe nucleari, ma in seguito si è indirizzata verso l’ambito commerciale. Sin da quando è diventata operativa, centinaia di incidenti si sono verificati nell’impianto, e circa due terzi degli edifici stessi sono ora classificati come rifiuti nucleari. L’impianto rilascia giornalmente qualcosa come 8 milioni di litri di scorie contaminate nel mare, rendendo il Mare d’Irlanda il mare più radioattivo del mondo. L’Inghilterra è famosa per le sue distese verdi e per i suoi paesaggi ondulati, ma, annidata nel cuore di questa nazione industrializzata c’è una struttura tossica, soggetta ad incidenti, che vomita scorie pericolose negli oceani del mondo.

5. Complesso Chimico Siberiano, Russia
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Mayak non è l’unico sito contaminato in Russia; la Siberia ospita un complesso chimico che contiene scorie nucleari accumulatesi per oltre quattro decadi. I rifiuti liquidi sono accantonati in piscine non coperte e container mal tenuti conservano oltre 125.000 tonnellate di rifiuti solidi, mentre lo stoccaggio sotterraneo è potenzialmente a rischio di perdita nelle acque sotterranee. Pioggia e vento hanno diffuso la contaminazione nella natura e nella zona circostante. Vari incidenti minori hanno portato alla perdita di plutonio e ad esplosioni che hanno diffuso radiazioni. Sebbene il paesaggio innevato abbia un aspetto puro ed immacolato, i fatti parlano chiaro sui veri livelli di inquinamento riscontrati nell’area.

4. Il Poligono, Kazakistan
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Un tempo, luogo dove l’Unione Sovietica effettuava i suoi test atomici, oggi quest’area fa parte del nuovo Kazakistan. Il sito fu destinato al progetto per la bomba atomica sovietica a causa del suo status di area “disabitata” – a dispetto del fatto che vivessero nell’area 70.000 persone. In questa struttura l’URSS fece detonare la sua prima bomba atomica; il luogo detiene il record di maggior concentrazione di esplosioni nucleari al mondo: 456 test nell’arco di 40 anni dal 1949 al 1989. Mentre gli esperimenti condotti nella struttura – e il loro impatto in termini di esposizione alle radiazioni – furono tenuti segreti dai sovietici fino alla chiusura della struttura nel 1991, gli scienziati calcolano che la salute di 200.000 persone sia stata direttamente danneggiata dalle radiazioni. Il desiderio di distruggere paesi stranieri ha portato allo spettro della contaminazione nucleare che incombe sulla testa di coloro che una volta erano cittadini dell’URSS.

3. Mailuu-Suu, Kirghizistan
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E’ considerato uno dei dieci siti più inquinati della Terra dal rapporto del Blacksmith Institute del 2006. Le radizioni a Mailuu-Suu non derivano da bombe nucleari o da centrali, ma dall’estrazione dei materiali necessari ai processi che queste comportano. L’area ospitava una struttura di estrazione e lavorazione dell’uranio; oggi restano 36 discariche di scorie di uranio – oltre 1, 96 milioni di metri cubi. La regione è anche a rischio sismico, ed una qualsiasi rottura del contenimento potrebbe scoperchiare il materiale o causare la caduta delle scorie nei fiumi, contaminando l’acqua utilizzata da centinaia di migliaia di persone. Questa gente potrebbe non dover mai vivere il pericolo di un attacco nucleare, ciononostante, hanno buone ragioni di temere una pioggia radioattiva ogni volta che la terra trema.

2. Chernobyl, Ucraina
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Teatro di uno dei più gravi e nefandi incidenti nucleari del mondo, Chernobyl è ancora fortemente contaminata, nonostante il fatto che ora ad un piccolo numero di persone sia consentito stare nell’area per un periodo limitato di tempo. Il famoso incidente provocò l’esposizione alle radiazioni per oltre 6 milioni di persone, mentre le stime riguardo al numero dei morti causati dal disastro di Chernobyl vanno dai 4.000 a addirittura 93.000. L’incidente rilasciò 100 volte più radiazioni delle bombe di Hiroshima e Nagasaki. La Bielorussia ha assorbito il 70 per cento delle radiazioni, e da allora i suoi abitanti devono confrontarsi con un aumento dell’incidenza dei tumori. Ancora oggi, la parola Chernobyl evoca immagini orribili di sofferenza umana.

1. Fukushima, Giappone
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Le tragedie del terremoto e dello tsunami del 2011 hanno distrutto case e vite umane, ma gli effetti della centrale nucleare di Fukushima rappresentano forse il pericolo più duraturo. Il peggior incidente nucleare dopo Chernobyl ha causato la fusione del nocciolo di tre dei sei reattori, perdita di materiale radioattivo nell’area circostante e nel mare, rilevato fino a 200 chilometri dall’impianto. Siccome l’incidente e le sue conseguenze sono ancora in corso, non si conosce ancora la reale portata dell’impatto ambientale. Il mondo sentirà ancora gli effetti di questo disastro nelle generazioni a venire.

Tradotto da Antonella Recchia per PeaceLink . Il testo è liberamente utilizzabile a scopi non commerciali citando la fonte (PeaceLink) e l'autore della traduzione.
N.d.T.: http://brainz.org/ten-most-radioactive-places-earth/
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