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IL PAPA RINGRAZIA PER LE TUE DONAZIONI

Alien.

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[h=1]Oltre 90mila euro per vestire i 17 nuovi cardinali [/h] Il nuovo volto della Chiesa di papa Francesco: chi più spende più guadagna .. I credenti hanno già dimenticato quando il papa rifiutò la croce d’oro.. ora avete anche voi la prova che era solo la facciata .


Papa Francesco al Concistoro
La beneficenza è una illusione palese .. come pensare che abbiano bisogno di altri soldi per risolvere la fame nel mondo?Con i vostri soldi ci si fanno il guardaroba

(di FA Grana) Quanto costa diventare cardinale? Tanto, anzi tantissimo, nonostante lo stile pauperista incarnato da Papa Francesco che quando ricevette la berretta rossa da san Giovanni Paolo II, nel concistoro del 2001, riciclò la porpora del suo precedessore a Buenos Aires, Antonio Quarracino. Ma quella scelta del futuro Papa è più unica che rara. E i prezzi delle vesti cardinalizie non sono certamente economici. FarodiRoma ha fatto una media tra i sarti ecclesiastici che hanno realizzato gli abiti per i nuovi 17 porporati del terzo concistoro di Francesco per stimare il costo del loro guardaroba.

Si parte dalla talare filettata che costa 650 euro, mentre quella rossa ammonta a 800 euro; un rocchetto medio si paga 500 euro, ma ce ne sono anche di 2mila euro per i porporati più sfarzosi che amano i ricami rigorosamente fatti a mano. Il cordone medio al quale appendere la croce pettorale costa 100 euro. Lo zucchetto, invece, 50 euro e la berretta 150 euro. La fascia rossa viene 250 euro; la mozzetta sui 300 euro; i calzini rossi 20 euro al paio; una camicia bianca con i polsini per i gemelli si aggira sui 50 euro. Il costo totale del guardaroba cardinalizio, quindi, è di 2.870 euro che moltiplicato per 17, quanti sono i nuovi porporati, ammonta a 48.790 euro.

A esso si devono sommare il costo per gli anelli, donati dal Papa, e realizzati dai rinomati gioiellieri Savi di Borgo Pio, al prezzo di 1.500 euro per esemplare (totale 25.500 euro), e quello delle mitrie bianche damascate, donate dall’Ufficio delle Celebrazioni Liturgiche del Sommo Pontefice, e realizzate dalla sartoria Laus, al costo di mille euro (totale 17mila euro). Sommando tutti i prezzi per vestire i nuovi 17 cardinali di Bergoglio
il costo totale è di ben 91.290 euro.
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COSE CHE NESSUNO DICE
  • MONDO
  • MERCOLEDÌ 6 FEBBRAIO 2019
Il Papa ha ammesso gli abusi sessuali sulle suore commessi da preti e vescovi

Che sono noti e denunciati già dagli anni Novanta, ma fino ad ora poco considerati dal Vaticano

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(GABRIEL BOUYS/AFP/Getty Images)
Sull’aereo di ritorno dal suo viaggio negli Emirati Arabi Uniti, Papa Francesco ha risposto ad alcune domande dei giornalisti e per la prima volta ha ammesso che ci sono stati sacerdoti e vescovi che hanno abusato sessualmente delle suore (una questione nota fin dagli anni Novanta). Degli abusi sulle religiose all’interno dell’istituzione ecclesiastica aveva parlato proprio la scorsa settimana la rivista mensile Donne Chiesa Mondo dell’Osservatore Romano spiegando che ci sono suore che, dopo una violenza subita da missionari, preti o vescovi, sono rimaste incinte e hanno abortito o partorito figli non riconosciuti. Come i suoi predecessori, fino ad ora Papa Francesco non aveva mai detto niente di significativo a riguardo.

Donne Chiesa Mondo (arrivata all’edizione numero 76) è una rivista diretta da Lucetta Scaraffia, femminista e docente di Storia contemporanea alla Sapienza di Roma che si è occupata soprattutto di storia delle donne e di storia religiosa. L’articolo in cui si parla degli abusi sulle suore è stato scritto proprio da lei. Scaraffia ha spiegato che la violenza sulle donne nei contesti ecclesiastici va considerata come un «abuso di potere, abuso che nasce da una interpretazione perversa del ruolo sacerdotale» e dalla evidente mancanza di riconoscimento delle donne all’interno della Chiesa. E mentre per i minori «l’ammissione e la condanna conseguente sono obbligate, dal momento che partono da una trasgressione riconosciuta dal codice penale, per le donne il discorso è più complesso».
«(…) all’interno dell’istituzione ecclesiastica secoli di cultura incentrata sulla donna pericolosa e tentatrice spingono a classificare queste violenze, anche se denunciate, come trasgressioni sessuali liberamente commesse da ambo le parti. (…) La differenza di potere, la difficoltà di denunciare per il timore — seriamente motivato — di ritorsioni non solo su di sé, ma anche sull’ordine di appartenenza, spiegano il silenzio che per anni ha avvolto questa prepotenza».

Nel suo articolo, Scaraffia fa un esempio: alla fine degli anni Novanta due religiose, suor Maura O’Donohue e suor Marie McDonald, avevano avuto il coraggio di presentare denunce molto precise e inchieste approfondite su alcune gravi situazioni di abuso di genere. Avevano testimoniato violenze sulle suore da parte di preti e missionari in 23 diversi paesi del mondo, soprattutto in Africa. Avevano raccontato ad esempio che gli ecclesiastici ricercavano più le suore che le prostitute «per paura di contrarre l’AIDS»; avevano presentato casi specifici come quello di una ragazza convertita dall’Islam che prima di ottenere le carte per prendere i voti era stata violentata dal prete poi “punito” dal vescovo con due settimane di ritiro; avevano spiegato come per una suora fosse impossibile opporsi a un prete che chiede prestazioni sessuali proprio a causa di una relazione di potere squilibrata e di complicità delle gerarchie. «Il silenzio è calato sulle loro denunce, e si sa bene come il silenzio di fatto contribuisca a dare sicurezza ai violentatori, sempre più sicuri della loro impunità», dice Scaraffia.

Negli anni del #MeToo, della presa di parola collettiva delle donne sulle violenze subite, anche molte religiose hanno ricominciato a denunciare, con maggiore forza e sostegno. L’anno scorso, una suora in India aveva presentato una denuncia formale alla polizia accusando un vescovo (poi arrestato e rilasciato su cauzione) di averla violentata ripetutamente tra il 2014 e il 2016:
«Sanno che hanno il diritto di venire rispettate, sanno che la condizione delle donne, anche nella Chiesa, deve cambiare. E sanno che per realizzare questo cambiamento non basta nominare qualche donna nelle commissioni. Se si continua a chiudere gli occhi davanti a questo scandalo — reso ancora più grave dal fatto che l’abuso sulle donne comporta la procreazione, e quindi è all’origine dello scandalo degli aborti imposti e dei figli non riconosciuti dai sacerdoti — la condizione di oppressione delle donne nella Chiesa non cambierà mai».

Martedì 5 febbraio, durante la conferenza stampa sull’aereo che lo stava riportando a Roma dagli Emirati Arabi Uniti, il Papa ha detto: «È vero. Ci sono sacerdoti e vescovi» che hanno abusato delle religiose. Ha aggiunto che è stato un problema persistente e che il Vaticano sta lavorando sulla questione. Ha detto che alcuni sacerdoti sono stati sospesi e quando gli è stato chiesto se non sia necessario fare di più, lui ha risposto di sì.

Lo scorso anno un’inchiesta di Associated Press aveva rilevato diversi nuovi casi di suore abusate in Europa, Africa, Sud America e Asia: e si raccontava anche come il Vaticano non avesse punito adeguatamente i colpevoli. Durante una recente conferenza in Pakistan su come prevenire gli abusi, suor Rose Pacatte ha consigliato ai leader dei diversi ordini religiosi di non andare a riferire i vari casi al vescovo o al prete, come prima cosa: «Potrebbero essere i violentatori o potrebbero proteggerli», ha scritto in una diapositiva della sua presentazione.

L’anno scorso, Mary Dispenza, una ex suora che lavora con l’associazione The Survivors of Abused by Priests (SNAP) che offre assistenza alle vittime di abusi sessuali da parte di membri del clero, aveva contribuito a diffondere l’hashtag #nunstoo su Twitter per raccogliere le storie delle persone maltrattate dalle suore: lei stessa ha dichiarato di essere stata vittima di atteggiamenti inappropriati da parte della superiore. Ma erano invece iniziate ad arrivare storie di suore abusate dai preti. Intervistata dal New York Times dopo le dichiarazioni di Papa Francesco, Mary Dispenza ha detto: «Sono molto arrabbiata che le parole del Papa arrivino ora. Sono irritata dal fatto che il Papa non si sia alzato in piedi e non abbia davvero parlato della tragedia e delle azioni che intraprenderà».

Lo scorso novembre, l’Unione Internazionale Superiore Generali (UISG, l’organizzazione mondiale di Superiore generali di Istituti di Religiose cattoliche, approvata canonicamente) aveva denunciato pubblicamente la «cultura del silenzio e della segretezza» della Chiesa intorno alle storie di molestie e di abusi di genere. Qualche settimana fa, Hermann Geissler, Capo Ufficio della Congregazione per la Dottrina della Fede, si è dimesso dopo le accuse di molestie sessuali denunciate da un’ex suora. Geissler era a capo dell’organo che cura i casi di molestie sessuali all’interno della Santa Sede.


TAG: ABUSI CHIESA, ABUSI SESSUALI SUORE, PAPA FRANCESCO, STUPRO SUORE, VATICANO
 
Ultima modifica:
È imminente la seconda venuta di Cristo sulla terra...Per questi vermi nn ci sarà scampo...Hanno cambiato la versione del terzo Segreto di Fatima dove chiaramente profetizzava non solo che Francesco sarebbe stato l ultimo Papà ma anche che il Carino sarebbe stato il primo luogo dove la scure do fuoco si sarebbe abbattuta,in diversi scritti si legge"...l'ultimo papà straniero salì al Colle e fuoco e fumo lo avvolgeva.."...Siamo vicini alla fine e nuovo inizio dell umanità...
 
[h=2]UNA SORPRENDENTE SCOPERTA SULL’ANTICA “PROFEZIA DI MALACHIA” RELATIVA AI PAPI: PARLA DEI NOSTRI ANNI. FACENDO I NOMI…[/h]
  • SCRITTO IL 5 APR, 2018
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A margine di questo articolo segnalo l’importantissima intervista del card. Raymond Leo Burke alla Nuova Bussola (QUI), molto preziosa per capire il momento che viviamo.

* * * *

Uno studioso romano, Alfredo Barbagallo, ha fatto sorprendenti scoperte sull’antica “profezia di Malachia”, spesso citata sui media, ma ben poco conosciuta. Sono scoperte che proiettano quell’antico testo proprio ai giorni nostri e addirittura a persone viventi oggi.

Il documento “Prophetia Sancti Malachiae Archiepiscopi, de Summis Pontificibus” consiste in una serie di 111 motti in latino – alquanto enigmatici – su ciascun pontefice che avrebbe regnato nella Chiesa a partire da Celestino II (papa dal 1143) fino alla fine dei tempi.

La misteriosa profezia, attribuita a S. Malachia di Armagh, amico di S. Bernardo di Chiaravalle, fu pubblicata nel 1595 dal monaco benedettino Arnold de Wyon in un’apocalittica storia della Chiesa – con al centro il suo ordine – intitolata “Lignum vitae”.

L’elenco dei papi futuri si conclude proprio ai giorni nostri: l’ultimo papa, “Gloria olivae”, coincide con Benedetto XVI.

Dopo il motto relativo a lui si legge questa inquietante conclusione: “Durante l’ultima persecuzione della Santa Romana Chiesa, risiederà Pietro Romano, che farà pascolare le sue pecore fra molte tribolazioni. Passate queste, la città dai sette colli sarà distrutta e il tremendo Giudice giudicherà il suo popolo. Fine”.

Non proprio tranquillizzante. Secondo gli interpreti non è detto che la profezia di Malachia prospetti la fine del mondo per la nostra epoca.

Di sicuro però paventa – dopo “Gloria olivae” (Benedetto XVI) – una sorta di “fine” della Chiesa, ovvero una sua crisi mai vista prima, un suo oscuramento apocalittico al punto che il suo successore non è definito papa, come i precedenti, ma con la strana formula: “Petrus Romanus”.

Perché? Non è un papa autentico? E si riferisce a Giorgio Mario Bergoglio? Di fatto la serie dei pontefici si interrompe al 111°, con Benedetto XVI. Cosa accade dopo?

Il motto “Petrus Romanus” calzerebbe a Bergoglio per la ripetuta autodefinizione bergogliana come “vescovo di Roma”, fin dalla sera della sua elezione.

E per il fatto che Benedetto XVI resta tuttora papa, sia pure in sospeso, e lui sembra un facente funzioni. Inoltre il suo tempo – nella “profezia di Malachia” – è connotato dalle “molte tribolazioni” del gregge. Come in effetti accade.

E’ stato dimostrato che molte delle formule di quel misterioso testo medievale risultano profetiche dei diversi pontefici.

Ma lo è anche il finale sull’epoca attuale? Ne ha scritto Vittorio Messori e pure Sergio Quinzio nel 1995 in “Mysterium iniquitatis”.

Di sicuro i nostri giorni presentano una situazione mai vista prima, nella storia della Chiesa: la compresenza di due papi. Un fatto enorme e inspiegabile che – in effetti – sembra coincidere con quelle due figure finali della profezia.

Ma ci sono indizi che inducono a identificare quei due personaggi con Benedetto XVI e Giorgio Mario Bergoglio?

Li suggerisce lo studio di Barbagallo intitolato “La Profezia di san Malachia sui Papi”, che è parte di una ricerca sulle reliquie cristiane intitolata “I tesori di san Lorenzo” (un volume di 800 pagine appena uscito in versione ridotta).

Barbagallo ricorda anzitutto che l’identificazione di Benedetto XVI con l’ultimo motto “Gloria olivae” rimanda all’ulivo come simbolo dei benedettini olivetani (dove si legano il nome Benedetto e l’ulivo).

Ma soprattutto è un benedettino quell’Arnold de Wyon che custodiva l’antico testo di san Malachia e che lo pubblicò a Venezia nel 1595, in quella sua storia apocalittica della Chiesa.

Wyon non si limitò alla pubblicazione, infatti – spiega l’autore – “egli commissiona personalmente delle raffigurazioni pittoriche ed artistiche sul soggetto ecclesiastico della Gloria benedettina”.

Una nel convento benedettino della Scolca, nell’area di Rimini. Poi fa eseguire la stessa figurazione dal Vassilacchi (nel 1592) nella basilica benedettina di San Pietro, a Perugia: è una delle tele più grandi che esistano e l’insieme delle figure lì rappresentate (papi, cardinali, vescovi e fondatori di ordini che attorniano San Benedetto) fa trasparire, nel suo insieme, un volto mostruoso: il demonio o l’Anticristo.

“Evidente qui la volontà di Wyon” scrive Barbagallo “di lanciare un messaggio particolare di salvaguardia della Chiesa future nella lotta contro il Male”.

Infine Wyon fa realizzare la stessa rappresentazione in Piemonte (oggi è conservata ad Alessandria), “all’abbazia benedettina ora non più esistente di San Pietro in Bergoglio, non distante da Boscomarengo”.

Torna il riferimento a san Pietro in ambedue le chiese, ma soprattutto qua colpisce il nome “Bergoglio”.

Non si sa perché Wyon scelse proprio quella fondazione benedettina, ma sorprende l’emergere di quel nome che rimanda oggi al successore di Benedetto XVI e che nella serie dei papi dovrebbe essere “Petrus romanus”. Un’indicazione diretta di Wyon?

In tutte queste opere Wyon ha volute lasciare riferimenti apocalittici ai libri dell’Antico e del Nuovo Testamento.

Ma le coincidenze non sono finite. Barbagallo riprende un introvabile libro scritto da un padre gesuita francese, mons. René Thibaut e pubblicato nel 1951 (con imprimatur ecclesiastico): “La mystériuese prophétie des Papes”.

Padre Thibaut, attraverso una serie di complicati calcoli, afferma che la fine cronologica della profezia di san Malachia, come ciclo pontificale, sarà nell’anno 2012.

Barbagallo nota che in effetti – secondo le notizie ufficiali – la data in cui Benedetto XVIcomunica al suo Segretario di Stato la sua volontà di ritiro è il 30 aprile 2012 (l’annuncio pubblico sarà fatto l’11 febbraio 2013).

In base a cosa padre Thibaut era giunto a indicare proprio il 2012 come anno finale del ciclo profetico dei pontefici?

Assumendo come asse centrale della “Profezia di Malachia” il pontificato di san Pio V(1504-1572) che era stato fondamentale nella formazione del Wyon. Ed ecco un’altra serie di coincidenze: san Pio V è originario proprio di Boscomarengo nella cui area sorgeva l’abbazia di San Pietro in Bergoglio (da qui ha origine anche il nucleo familiare di Bergoglio).

Pio V muore il 1° Maggio 1572, esattamente 440 anni prima della decisione di ritiro di Benedetto XVI (30 aprile 2012). Ma 440 anni prima della morte di san Pio V, nel 1132, si ha l’ordinazione di san Malachia di Armagh (il titolare della profezia dei papi) come arcivescovo e primate d’Irlanda. Due fasi di 440 anni ciascuna ed ecco che il ciclo è compiuto.

Ricordo che san Pio V è il papa della vittoria di Lepanto e colui che promulgò la messa tridentina a cui Benedetto XVI ha ridato cittadinanza nella Chiesa (è uno dei connotati del suo pontificato) mentre Bergoglio sembra puntare proprio sull’attacco all’eucaristia e sullo stravolgimento ecumenico della messa.

Il richiamo finale della profezia alla persecuzione dei cristiani e a una sorta di scomparsa del papato inducono Barbagallo a dare anche una lettura simbolico-teologica del motto dell’ultimo papa “Gloria olivae”.

Infatti nel suo excursus storico l’autore ritrova san Malachia e il papa del suo tempo in relazione a importantissime reliquie della Passione di Cristo e al luogo del suo inizio: l’Orto degli ulivi a Gerusalemme.

Secondo una tradizione mistica e scritturistica la Chiesa nella storia dovrà rivivere la stessa Passione del suo Signore. A cominciare dalla notte dell’Orto degli ulivi (Gloria olivae) che potrebbe ripetersi proprio al tempo del papa “Gloria olivae” (Benedetto XVI).

In quella notte di Gesù, con il tradimento di Giuda, la fuga degli apostoli e il rinnegamento di Pietro, tutto sembrò perduto e finito. Anche per i cattolici oggi sembra una notte dolorosa in cui tutto pare perduto. Ma dopo il buio del Getsemani viene la luminosa mattina di pasqua.

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Antonio Socci

(nella foto: Trionfo dell’ordine benedettino di Antonio Vassilacchi, Basilica di San Pietro, Perugia)


Un papa che accoglie i rifugiati e non difende i suoi fedeli (pecorelle) è destinato alla distruzione.

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