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LEGGE AD PERSONAM SE FA COMODO

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[h=1]"Relazioni gay lecite se fedeli". ​Così la Chiesa vuole sdoganare l'omosessualità[/h] [h=2][/h]
La diocesi di Torino "riscrive" il Catechismo aprendo all'amore fra le persone dello stesso sesso

Riccardo Cascioli - Dom, 05/05/2019 - 08:41
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«Arrivano i piemontesi»: a quasi 150 anni dalla conquista militare di Roma, un altro assalto parte simbolicamente da Torino alla conquista del cuore della cattolicità.
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Si tratta della piena legittimazione nella Chiesa delle relazioni omosessuali, un cambiamento del Catechismo che estende i suoi effetti ben oltre la sfera sessuale.

Alla fine di aprile la diocesi di Torino ha organizzato un ritiro in convento per persone omosessuali. L'obiettivo? Dare lezioni di fedeltà. Potrebbe sembrare una cosa positiva dal punto di vista della morale cattolica, in realtà è esplosiva. «L'esperienza dell'amore fedele di Dio è un modo per mettere ordine nelle relazioni disordinate, omosessuali o eterosessuali che siano», ha spiegato il gesuita padre Pino Piva, uno dei relatori del ritiro. È la negazione di quanto affermato dal catechismo della Chiesa per cui sono proprio «gli atti omosessuali» ad essere «intrinsecamente disordinati». La fedeltà non può far diventare buono uno stile di vita intrinsecamente disordinato. In gioco non c'è il giudizio morale su certi comportamenti, ma la dottrina della Creazione e l'esistenza di un ordine naturale stabilito da Dio. Uno dei pilastri della fede.

La diocesi di Torino ha in pratica riscritto il Catechismo, dando corpo a un movimento internazionale che sta intensificando la sua pressione, come del resto l'allora cardinale Joseph Ratzinger, da prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, aveva già previsto nel 1986: «Oggi si legge nella Lettera sulla cura pastorale delle persone omosessuali - un numero sempre più vasto di persone, anche all'interno della Chiesa, esercitano una fortissima pressione per portarla ad accettare la condizione omosessuale, come se non fosse disordinata, e a legittimare gli atti omosessuali». Ratzinger invitava tutti i vescovi della Chiesa cattolica a «far in modo che le persone omosessuali affidate alle loro cure non siano fuorviate da queste opinioni, così profondamente opposte all'insegnamento della Chiesa». Torino ha deciso altrimenti. Il ritiro in convento è stato organizzato alla chetichella e se ne è saputo solo a cose fatte, per evitare quanto accaduto l'anno scorso, quando l'arcivescovo Cesare Nosiglia bloccò l'iniziativa parlando di un equivoco sulle intenzioni; allo stesso tempo però esprimeva pieno apprezzamento per il promotore dell'iniziativa, don Gianluca Carrega, il cui pensiero «omosessualista» è molto chiaro. E infatti, non solo don Carrega è rimasto al suo posto, ma ha alla fine organizzato il suo ritiro in convento. Stavolta l'arcivescovo Nosiglia non ha sentito neanche il bisogno di giustificare quanto accaduto.

In effetti in un solo anno molte cose sono maturate e la diocesi di Torino sa di poter contare su un ampio sostegno in Italia e all'estero. Diversi vescovi in Germania ed Austria, ad esempio, stanno prendendo posizione a favore della benedizione in chiesa delle coppie dello stesso sesso. In febbraio abbiamo assistito alla grande operazione Sodoma, dal titolo del libro scritto dal sociologo francese Frédéric Martel: interviste a decine di cardinali e vescovi per concludere che una grande fetta di sacerdoti cattolici sono omosessuali, e che quindi sarebbe giusto un coming out generale. Inutile dire che Martel ha potuto trovare porte spalancate in Vaticano, e non fa mistero di incontri ripetuti con padre Antonio Spadaro, direttore della Civiltà Cattolica e «una delle eminenze grigie» di questo pontificato. Non è dunque un caso che più tardi sia stato proprio Martel ad anticipare con un tweet che all'inizio di aprile il Papa avrebbe incontrato una delegazione internazionale Lgbt con previsto un discorso «storico». All'ultimo momento discorso e incontro sono stati annullati, ma la delegazione Lgbt ha potuto incontrare almeno il segretario di Stato, cardinale Pietro Parolin. Del resto poche settimane prima, papa Francesco aveva incontrato, con tanto di foto ricordo, il Consiglio pastorale dei cattolici Lgbt+ della diocesi di Westminster, direttamente inviati dal primate inglese cardinale Vincent Nichols.

Fatti e gesti eloquenti, accompagnati anche da una martellante insistenza del quotidiano dei vescovi italiani, Avvenire, che della legittimazione delle unioni gay ha ormai fatto una bandiera e non passa settimana che non la proponga. Si dà spazio alle esperienze positive di amore omosessuale, si sprecano interviste a teologi che riscrivono la Bibbia, si insiste sulla presunta emarginazione patita da sempre nella Chiesa e sull'omofobia che accomuna molti cattolici; si valorizzano le iniziative pastorali come quelle di Torino e si oscurano quelle nel solco dell'insegnamento della Chiesa, come quella di Luca di Tolve, autore del libro-testimonianza Ero gay.

E ora, in maggio, le iniziative cattoliche pro-gay esploderanno intorno alla Giornata mondiale per la lotta all'omo-transfobia. In Italia c'è già tutto un fiorire di veglie di preghiere per le vittime dell'omofobia e della transfobia: da Roma a Firenze, da Genova a Vicenza, da Bologna a Ragusa è già partita la macchina della propaganda, perché come già accaduto negli anni passati si tratta di occasioni importanti per cambiare l'atteggiamento dei cattolici nei confronti dell'omosessualità. E di anno in anno aumentano diocesi e parrocchie che aderiscono o che comunque danno ospitalità. I «piemontesi» marciano sicuri della vittoria.
 
[h=1]Il Papa sfida il sovranismo: e diventa alleato dell’Unione europea[/h]
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Il Papa arriva in Bulgaria e manda un segnale non tanto a Sofia, quanto a tutte le capitali d’Europa. La Chiesa c’è ed è in campo per queste elezioni europee con un’unica certezza: l’Ue non deve finire nelle mani dei sovranisti.

Il viaggio in Bulgaria di Francesco è un viaggio che profuma di ecumenismo: ed è il Papa il primo a sostenerlo. Per il pontefice, il Paese è “luogo d’incontro tra molteplici culture e civiltà, ponte tra l’Europa dell’est e quella del sud, porta aperta sul Vicino Oriente”. E nelle parole rivolte alle autorità di Sofia, il tema delle migrazioni torna prepotentemente al centro della sfida: “La Bulgaria si trova a confrontarsi con il fenomeno di coloro che cercano di fare ingresso all’interno dei suoi confini, per sfuggire a guerre e conflitti e alla miseria e tentano di raggiungere in ogni modo le aree più ricche del continente europeo, per trovare nuove opportunità di esistenza, o semplicemente un rifugio sicuro”.

E Francesco rivolge un appello che si rivela in realtà una presa di posizione netta nei confronti di tutti i movimenti sovranisti: “A voi, che conoscete il dramma dell’emigrazione, mi permetto di suggerire di non chiudere gli occhi, il cuore e la mano – come è nella vostra tradizione – a chi bussa alle vostre porte“.

La visita del Papa si dimostra perfettamente in linea con l’agenda politica della Santa Sede, che da molto tempo sta manifestando una linea di netta ostilità nei confronti del vento sovranista che soffia da più partiti in tutto il continente. Francesco tuona nei confronti delle politiche di chiusura dei confini. Lo ha fatto durante la Via Crucis, in cui il tema delle migrazioni ha caratterizzato tutti i passi del rito pasquale. Lo ribadisce spesso nei suoi discorsi solenni. E lo fa costantemente in tutte le visite che compie nei vari angoli del mondo e in Europa, negli incontri istituzionali come in quelli meno formali.

In queste ultime settimane, con le elezioni europee alle porte, è chiaro che il messaggio del Papa non può assumere caratteristiche politiche. Pochi giorni fa, in udienza all’Assemblea Plenaria della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali, Francesco ha detto chiaramente che la Chiesa “osserva con preoccupazione il riemergere, un po’ dovunque nel mondo, di correnti aggressive verso gli stranieri, specie gli immigrati, come pure quel crescente nazionalismo che tralascia il bene comune”. E ha attaccato anche sul tema della sovranità nazionale, ribadendo, come riportato da Il Giornale.it, che “lo Stato nazionale non è più in grado di procurare da solo il bene comune alle sue popolazioni. Il bene comune è diventato mondiale e le nazioni devono associarsi per il proprio beneficio”.

La visita in Bulgaria e nei Balcani rientra in questa logica. Una logica che però contrasta col sentimento di una larga parte di cattolicesimo europeo che da tempo ribolle nei confronti dei moniti del Vaticano sul tema dell’immigrazione. I vertici della Chiesa sono da tempo scesi in campo per contrastare il fenomeno sovranista. Ma l’attacco frontale nei confronti dell’immigrazione rischia di rivelarsi un clamoroso boomerang. Specie in un momento in cui la polarizzazione dello scontro in Europa in vista delle elezioni agita il tema dello scontro politico. E la Santa Sede, più che partner super partes dell’Europa, appare pienamente inserito nel conflitto interno all’Unione europea.

L’idea è che fra gli alleati dell’Unione europea, o meglio, fra gli alleati di Bruxelles, oggi ci sia anche il Papa. Ed è interessante il contrasto fra le “due Rome” che si rivolgono all’Europa. Una, quella più propriamente di governo, che contraddice l’Ue e la logica moderata contrastando ogni apertura nei confronti dei flussi migratori. La stessa rappresentata dall’incontro fra Matteo Salvini e Viktor Orban davanti al muro dell’Ungheria. L’altra, quella di Oltretevere, che rappresenta sempre più un alleato di quell’Unione europea che appare ormai distante anni luce dai desiderata dei cittadini europei. E in un progressivo scollamento del mondo cattolico europeo rispetto all’agenda del pontefice, il pericolo è che Francesco stia commettendo un errore strategico.
 

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