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Preti pedofili in Italia: abusi e coperture nella Chiesa toscana

Ecco l'inchiesta di Panorama. La prima puntata. Con una serie di documenti inediti ricostruiamo omissioni ed omertà sulle violenze compiute da alcuni prelati a Firenze. A partire dal caso di Don Lelio Cantini


Foto: Il panorama dalla Torre della Zecca. Firenze, 20 gennaio 2016 – Credits: ANSA/MAURIZIO DEGL INNOCENTI Antonio Rossitto

- 26 novembre 2018
Quell’unica lancetta della Torre di Arnolfo, che svetta su Firenze, segna impietosa il passare del tempo. Giorni, mesi, anni... Inesorabili, sono passati sulla testa delle vittime dei religiosi. La curia della città ha chiuso gli occhi davanti ai crimini dei suoi pastori. È sta
Preti pedofili in Italia: abusi e coperture nella Chiesa toscana

Ecco l'inchiesta di Panorama. La prima puntata. Con una serie di documenti inediti ricostruiamo omissioni ed omertà sulle violenze compiute da alcuni prelati a Firenze. A partire dal caso di Don Lelio Cantini


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Foto: Il panorama dalla Torre della Zecca. Firenze, 20 gennaio 2016 – Credits: ANSA/MAURIZIO DEGL INNOCENTI Antonio Rossitto

- 26 novembre 2018
Quell’unica lancetta della Torre di Arnolfo, che svetta su Firenze, segna impietosa il passare del tempo. Giorni, mesi, anni... Inesorabili, sono passati sulla testa delle vittime dei religiosi. La curia della città ha chiuso gli occhi davanti ai crimini dei suoi pastori. È stata un silenzioso avamposto dei mali che hanno sconquassato la Chiesa: la pedofilia e le violenze sessuali.

Panorama ha raccolto prove e documenti inediti. Ha disseppellito faldoni giudiziari. Ha parlato con le vittime. Ha incrociato date e nomi. E la diocesi di Firenze è soltanto l’inizio: nelle prossime settimane, racconteremo altre storie di colpevoli omissioni. Omertàe inerzie che hanno sterilizzato la giustizia penale, garantendo impunità ai rei. Grazie anche a un paradosso secolare: i vescovi italiani non hanno l’obbligo di denuncia penale. Un paravento dietro il quale troppe curie continuano a nascondere reati e oscenità.

Com’è successo nella parrocchia Regina della Pace, periferia di Firenze, fino al 2004 scabroso regno di don Lelio Cantini. Qui si è consumato uno dei più gravi casi di abusi, fisici e morali, nella storia della Chiesa. Decenni di violenze e segreti. E solo nel 2007 la Procura di Firenze aprirà un’indagine: accerterà i fatti, ma il processo contro don Cantini si estinguerà per prescrizione. Quelle donne, al tempo ragazzine, si chiamano M.V. oppure L.P.. Sono decine. E le loro storie sono tutte, tragicamente, identiche. Conoscono don Cantini mentre si preparano alla prima comunione. C’è anche chi ha appena dieci anni: è una bambina. Il prete chiama tutte nella sua stanza, dopo il catechismo o la messa. Le tocca, le bacia. Poi si spoglia e le costringe a rapporti orali o completi. «Dovete sentirvi delle privilegiate, scelte dal Signore». Su quegli incontri, si raccomanda, nemmeno un fiato.

Un giogo atroce. E, per alcune, interminabile. È stato così per M.A., abusata dall’adolescenza fino alla sera del suo matrimonio, celebrato proprio da don Cantini. Mentre la curia voltava la testa dall’altra parte. «Le autorità ecclesiastiche», scriverà anni più tardi il pm fiorentino Paolo Canessa, «erano state avvisate all’epoca, o comunque per tempo, delle accuse rivolte al sacerdote Cantini. Ma nessuno, apparentemente, si era mosso per impedire che le violenze continuassero. E tantomeno per accertare la verità e la punizione dei fatti». Il magistrato annoterà: «Solo con la notorietà degli episodi segnalati s’erano determinate a prendere in considerazione la questione».
Orrori in sacrestia e omissioni eccellenti


Già nel 1992, emerge dalle carte dell’inchiesta, viene denunciato un abuso al cardinale Silvano Piovanelli, allora arcivescovo di Firenze. Poi, di nuovo, nel 1995. Passano gli anni. Una vittima parla con un’altra. Qualcuno si libera dell’orrore. Chi l’ha seppellito per vergogna ritrova la forza. Nella primavera del 2005, dieci donne cominciano a stendere i loro memoriali. Li consegnano a Piovanelli. Gli chiedono di far da tramite con il suo successore: il cardinale Ennio Antonelli, oggi presidente emerito del Pontificio consiglio per la famiglia. Don Cantini, intanto, viene spostato nella canonica di Mucciano, a 30 chilometri da Firenze. Le vittime però aumentano. Continuano a cercare risposte. Fino a quando, il 20 marzo 2006, non decidono di inviare una lettera con 19 firme a Papa Benedetto XVI. Alla missiva sono allegate quelle atroci testimonianze. Le vittime scrivono di essere state ascoltate il 28 febbraio 2006 da Antonelli, dopo «numerose richieste di intervento».

Nella lettera viene chiamato in causa Claudio Maniago, in quel momento vescovo ausiliare a Firenze. È uno degli allievi di don Cantini, «cresciuto con tanti di noi nella parrocchia Regina della Pace». Maniago, sostengono i 19 firmatari, avrebbe saputo delle violenze del suo maestro già nel 2004. E nulla avrebbe fatto. Adesso Antonelli ha promesso che don Cantini, entro la fine di marzo 2006, lascerà la canonica di Mucciano:
«Dove però, in piena tranquillità, ha continuato l’opera mistificatrice e diabolica con famiglie intere, giovani, ragazzi e bambini». La lettera aggiunge: «Chiediamo che vengano sospese a questo sacerdote le potestà derivanti dal suo stato». E conclude: «Qualora però la nostra richiesta non trovasse accoglimento, e questi fatti venissero ignorati od occultati, non potremmo che rivolgerci alla giustizia. Con conseguenze che tutti noi possiamo immaginare».

La risposta di Camillo Ruini, allora presidente della Conferenza episcopale italiana, è dell’1 aprile 2006. Panorama ne rivela il contenuto: «Alla luce della documentazione allegata, ho provveduto a prendere contatti con l’arcivescovo di Firenze (cioè Ennio Antonelli, ndr), il quale mi ha assicurato che la vicenda è all’esame dei competenti organi della Santa Sede. Nel contempo, mi ha assicurato che il sacerdote ha lasciato la diocesi, non celebra pubblicamente l’eucarestia e si astiene dall’amministrare il sacramento della penitenza. Auspico che quanto disposto dall’autorità ecclesiastica rafforzi la comunione e infonda serenità nei fedeli coinvolti a vario titolo».

Nonostante la gravità dei fatti, il Vaticano non denuncia don Cantini. Tutto rimane chiuso tra le solida cinta della Santa Sede. E i passi successivi non infondono certo la «serenità» auspicata da Ruini. A maggio 2006 la Congregazione per la dottrina della fede autorizza «il processo penale amministrativo» contro il sacerdote. Indaga la curia di Firenze. Il verdetto arriva otto mesi dopo: il 12 gennaio 2007.

L’arcivescovo Antonelli scrive: «Devo constatare, sia pure con intima sofferenza, che le accuse di falso misticismo, dominio delle coscienze, abusi sessuali dal 1973 al 1987, suffragate da abbondante documentazione, risultano oggettivamente credibili, almeno nella loro sostanza». Poi esplicita le pene: per cinque anni don Cantini non potrà confessare, dire messa e assumere incarichi ecclesiastici. A dispetto dell’enormità delle accuse, rimarrà quindi prete. Le successive sanzioni sono ancora più sbalorditive: il parroco è obbligato a versare un’offerta. E a recitare, per un anno, una volta al dì, «con umiltà e fiducia, compatibilmente con le condizioni di salute», il Salmo 51: «Pietà di me, o Dio, secondo la tua misericordia».
"Lo stile evangelico": silenzio e mitezza


Per le vittime è l’ennesimo sfregio. I fatti cominciano a trapelare. I memoriali girano. La notizia finisce sui giornali. E il 10 aprile 2007, finalmente, la procura di Firenze apre un’inchiesta. Quattro giorni dopo, il 14 aprile 2007, il cardinale Antonelli interviene pubblicamente: «Nell’estate del 2005 mi è pervenuto un dossier di lettere firmate, con accuse di gravi delitti nei confronti di don Lelio. Nel clamore mediatico finora ho taciuto, non perché volessi nascondere qualcosa, ma perché, prima di parlare, volevo confrontarmi e consigliarmi con alcuni autorevoli sacerdoti, i vicari foranei». Prosegue: «Comprendo che le vittime ritengano la punizione troppo leggera (...). Ma la Chiesa deve mirare soprattutto al ravvedimento del peccatore e a cercare di vincere il male con la forza della mitezza».

Il cardinale si duole anche dell’eco avuto dal caso: «Ho letto recriminazioni perché la vicenda non è stata trattata apertamente, in pubblico, fin dall’inizio. Non mi pare che sia questo lo stile evangelico di trattare le persone, per quanto gravi siano i peccati di cui si siano rese responsabili. La procedura seguita risponde in tutto alla prassi stabilita dalla Santa Sede». «Lo stile evangelico» impone, dunque, che i panni sporchi della Chiesa si lavino nelle case del Signore: la curia e il Vaticano.
"Decenni di inerzia". Oggi è tutto prescritto


La decisione, e i successivi commenti di Antonelli, si trasformano in boomerang. Tanto che la diocesi è costretta a un’istruttoria supplementare, avviata il 30 giugno 2007. L’indagine dura un altro lunghissimo anno. Alla fine, il 12 ottobre 2008, Papa Benedetto XVI decide la riduzione allo stato laicale di don Cantini. Dalla denuncia dei primi abusi sono passati 16 anni. «Oltre un decennio di inerzia e assordante silenzio da parte delle autorità ecclesiastiche» scrive il giudice Paola Belsito, che il 27 aprile 2011 chiede «l’archiviazione per intervenuta prescrizione di tutti i reati ipotizzabili a carico di don Lelio Cantini».

«Inerzia e assordante silenzio». A cui si sono aggiunte, continua il giudice, «le più o meno velate minacce, pure in tempi recenti, da parte di alcuni alti prelati, tra cui viene segnalato il vescovo ausiliario Maniago, anch’egli allievo di don Cantini». Minacce. Cioè «conseguenze negative per le loro attività professionali legate alla diocesi a quelle vittime che manifestavano la volontà di ottenere giustizia» dettaglia il pm Canessa nella richiesta d’archiviazione del 7 febbraio 2011, accolta dal Tribunale. Il monsignore però è salvo: «Si tratta di condotte perseguibili solo a querela di parte, che non è stata mai presentata» annota Belsito.

Ma è tutta la curia fiorentina a finire sotto accusa. «Gli abusi, di natura tanto sessuale che morale, vennero denunciati da alcune parti offese già molti anni fa» chiarisce il giudice. «Da G.M., che era una vedova con quattro figli che lavorava in parrocchia, già nel 1975 al cardinale Piovanelli. Da F.A., ex sacerdote che s’era recato dal cardinale Piovanelli una prima volta nel 1992, poi nel 1995. Dalle mole delle parti offese, ancora nel 2005, allorché si erano rivolti anche, tra gli altri, a monsignor Maniago». Che, scrive Belsito, sarebbe stato protagonista nell’agosto 1996 di un «festino», rivelato da P.C.: «Abuso perpetrato in una parrocchia livornese da alcuni sacerdoti, tra i quali avrebbe riconosciuto Maniago». Gli investigatori avrebbero trovato «precisi riscontri»: «Un bonifico bancario di 4 milioni di lire a favore di P.C. da un conto intestato “parrocchia per contributo”». Denaro che sarebbe servito, sostiene P.C., a fargli tenere la bocca chiusa. Ma l’uomo non ha mai presentato querela: quindi «anche i reati ipotizzabili in questo caso non sono perseguibili».
Sesso con una minorenne e poi tre aborti


Negli stessi giorni in cui si prescrivono le pene di don Cantini, il 21 marzo 2011 il tribunale di Firenze, nel silenzio generale, condanna a 4 anni e sei mesi per violenza sessuale un altro prete: John Moniz, 51 anni, parroco in una chiesa di Montelupo Fiorentino. Un altro caso di violenze su una minorenne coperto dalla curia.

L’inchiesta, scrive il giudice Linda Vannucci, nasce nel 2006. C.B., una ragazza di 22 anni, si presenta ai carabinieri. È angosciata. Continua a ricevere telefonate anonime. Di fronte alle domande del maresciallo scoppia a piangere. Ripercorre i suoi rapporti con un prete: fin da quando aveva 15 anni, poco dopo la sua cresima. S’invaghisce del sacerdote. Resta incinta per la prima volta due anni più tardi, ancora minorenne, ma lui le chiede di abortire. C.B. scivola nell’anoressia. Cerca di troncare la relazione. Il parroco, riferisce, comincia a tempestarla di telefonate: le promette che lascerà la tonaca. A vent’anni la ragazza rimane di nuovo incinta, ma ha un aborto spontaneo. Una terza interruzione di gravidanza«naturale» avviene a marzo 2006. Poi C.B. si decide a troncare quel rapporto malato. Due mesi dopo comincia a ricevere chiamate nel cuore della notte. Ansimi. Minacce. Ha paura. Va dai carabinieri. E, sotto pressione, racconta tutto.

Le indagini non rivelano però solo la relazione tra i due. Ma, ancora una volta, i silenzi degli alti prelati. La ragazza, accompagnata dal legale Antonio Voce, che la assiste nel processo, viene sentita il 28 giugno 2010. Riferisce di aver già confessato la sua storia, nel dicembre 2005, a Paolo Brogi, parroco di una chiesa vicina. Il prete, dopo il colloquio, ne parla con il cardinale Antonelli. E ad aprile 2006 C.B. viene ricevuta proprio dall’arcivescovo, che le promette l’allontanamento del sacerdote: «Mi disse che lo mandava in questa struttura di riabilitazione dei preti a Collevalenza. Aveva assicurato che sarebbe rimasto lì, in attesa di partire per una missione».
La curia cancella gli sms e invita: "Non denunciate"


C.B. fornisce altri dettagli: «Il cardinale Antonelli aveva preso il mio cellulare dell’epoca». Nella memoria ci sono i messaggi di Moniz. «Lasciai il telefono al suo segretario, don Alessandro, in modo che lo desse a monsignor Antonelli, perché me lo chiesero loro... Ma quando me l’hanno reso, i messaggi erano cancellati». Insomma le prove della relazione, memorizzate su quel vecchio Nokia, spariscono. All’incontro con il cardinale partecipano pure i genitori della ragazza: «Questo cellulare lo diede al vescovo» conferma la madre di C.B.. «So che lo volevano per vedere questi messaggi. Al pm, Giulio Monferini, dettaglia: «Glielo chiesero per accertarsi di queste cose». Il magistrato insiste: «Vi fu chiesto di non fare denuncia?». «Sì» risponde la donna. «Chi?» sollecita il magistrato. «Anche il cardinale. Ci disse che avrebbe mandato via il prete». La sentenza riassume: «Il cardinale chiese loro espressamente di non denunciare in sede penale il parroco, promettendo di allontanare don Moniz dalla parrocchia».

Nel processo, il 12 gennaio 2011, viene ascoltato pure don Brogi, il confessore della ragazza, diventato intanto segretario di Giuseppe Betori, nuovo arcivescovo di Firenze dal 2008. Gli chiedono se sul sacerdote di Montelupo girassero storie. Una, in particolare: tentava approcci sessuali con le parrocchiane, durante le confessioni. «Qualcuno l’aveva riferito» risponde don Brogi. «Voci di paese, così... Però sinceramente alle voci di paese non ho mai dato credito». In realtà c’era di più, ammette il prete. Una suora di Signa, tempo prima, gli aveva raccontato che don Moniz s’era presentato a casa sua con un preservativo in mano. E le aveva chiesto un rapporto. Eppure, nessuno aveva approfondito. Sarà così fino a quando, per caso, non emergono i reati su C.B.. Anche questi, però, non reggeranno al peso del tempo. Nel 2016, in appello, tutto viene prescritto.
L'agguato dei misteri e il prete "amichevole"


In questa storia di pensieri, parole, opere e omissioni, l’ultimo tassello si incastra a qualche mese dalla deposizione di don Brogi. E nasce da una scampata tragedia. Il 4 novembre 2011 il segretario dell’arcivescovo viene ferito da un colpo di pistola all’addome, nell’androne della curia. Assieme a lui c’è proprio Betori. Dopo lo sparo, il misterioso assalitore scompare. Un mistero. È stato un avvertimento? Qual è il movente? L’unico indizio sono le parole minacciose rivolte dall’uomo all’arcivescovo, rimasto illeso: «Tu non devi dire...». E poi, prima di sparire nel buio: «Tu non devi fare...».

Anche gli investigatori brancolano nel buio. Si indaga in ogni direzione. Panorama pubblica i documenti e le intercettazioni inedite dell’inchiesta sull’agguato. Chi ha sparato? Tra le piste seguite, c’è pure la vendetta per gli scandali di pedofilia nel clero fiorentino: a partire da don Cantini. Una circostanza incuriosisce gli investigatori. L’arcivescovo, due giorni dopo l’aggressione, avrebbe dovuto visitare una parrocchia di Empoli. Anche lì c’è un prete già «segnalato» per le sue eccessive attenzioni verso i giovani: Daniele Rialti. Betori viene sentito come persona informata dei fatti il 29 novembre 2011. Dopo aver ripercorso le fasi dell’agguato, i magistrati gli chiedono di don Rialti. L’arcivescovo conferma di aver condotto un’«indagine previa» e spiega come ci si comporta quando vengono denunciate le molestie di un sacerdote: «L’arcivescovo apre un’indagine, svolta personalmente o tramite persone di fiducia» spiega. «Solo nel caso in cui emergano fatti concreti sottopone la domanda di apertura della fase istruttoria alla Santa Sede. Che, se ritiene presente il fumus delicti, invita ad avviare l’istruttoria del processo, affidandola a un giudice nominato dall’arcivescovo. L’esito viene poi sottoposto alla Santa Sede, che indica all’arcivescovo i contenuti della sentenza che deve emettere». Per la prima volta, insomma, viene messa nero su bianco la lunga e arcigarantista prassi che la giustizia ecclesiastica applica ai casi di presunte violenze sessuali. E svela ciò che s’è sempre sospettato: ogni caso viene segnalato, seguito e ratificato dal Vaticano. Anche quello accaduto nella più remota canonica. Ovvero: non può, e non poteva, non sapere.

Concluso il preambolo, Betori riferisce al pm, Giuseppina Mione, della sua «indagine previa»: «Due anni fa, a Empoli, l’allora parroco, don Paolo Cioni mi riferì che correvano voci di attenzioni di don Rialti verso minorenni». L’arcivescovo interpella l’interessato: «Mi disse che un ragazzo avrebbe lamentato attenzioni nei suoi riguardi per un gesto che lo stesso Rialti riferì essere stata solo una “pacca sul sedere”, data amichevolmente». Del caso viene investito pure Maniago, già coinvolto nell’inchiesta su don Cantini: «Interrogò il direttore del consiglio parrocchiale» dice Betori. «Ma anche da questa verifica non emersero fatti concreti».
La curia intercettata: "Il papa risolve la cosa"


Il dettaglio della deposizione viene rivelato dall’arcivescovo allo stesso Maniago, in una telefonata del 6 dicembre 2011: «Sulla questione di Empoli, avevo fatto il tuo nome...». Maniago, annotano gli inquirenti, in quei giorni è stato convocato in Procura per l’inchiesta sull’agguato, anche lui come semplice persona informata dei fatti. Betori gli consiglia anche di contattare l’avvocato di fiducia della curia: «Senti lui per capire come impostare le cose». E aggiunge: «Credo che lui ti possa istruire bene».

Anche don Cioni è intercettato. È stato il primo a denunciare i supposti atteggiamenti equivoci di don Rialti: «Nella comunità l’han parato tutti, capito?» rivela a un altro prete. «Hanno fatto l’arcano». E lo stesso Don Rialti, nonostante tema le intercettazioni, parla con un ragazzo di una «seratina», di un «hotel fuori dal mondo» e di un «regalino». La Procura apre un fascicolo. Il sacerdote di Empoli viene iscritto nel registro degli indagati. Il fascicolo però sarà archiviato il 7 maggio 2013 perché i giovani coinvolti sono tutti maggiorenni.

Nell’inchiesta sul ferimento di Don Brogi sono diverse le utenze della curia intercettate dalla procura. A partire da quelle di Maniago e Betori, che sanno di avere il telefono controllato. Lo stesso Betori, in una chiamata del 23 novembre 2011, ne parla con Enrico Viviano, in quel momento addetto stampa dell’arcivescovato: «Adesso l’unico problema che io vedo è questo. È che io son monitorato dai poliziotti eh... Sappilo». Aggiunge: «E sanno tutto ovviamente. Dove sto...». Così i dialoghi telefonici sono spesso ermetici, con rimandi e rinvii: «Ne parliamo a tu per tu». Oppure: «De visu è sufficiente».

La curia è in ambasce. «'Un ce ne facciamo mancare una, via!» scherza al telefono l’arcivescovo con Maniago. Don Brogi, fortunatamente, non è in pericolo di vita. Ma le ferite non sono sono quelle fisiche. E arrivano fino al Vaticano. Betori e Brogi vengono ricevuti da Papa Benedetto XVI. Lo racconta lo stesso arcivescovo in una telefonata intercettata il 4 dicembre 2011, alle 14,42, con un certo «Carlo». L’uomo gli domanda: «Finalmente hai ricevuto l’udienza?». Betori conferma, e aggiunge: «M’ha promesso che risolve la cosa». A cosa si riferisce l’arcivescovo? E come sarebbe dovuto intervenire il Papa?
La "pista giusta" e gli altri orchi


Pochi giorni dopo, il 7 dicembre 2011, un informatore mette gli inquirenti fiorentini sulla traccia giusta. L’attentatore di don Brogi, rivela, è un signore di 73 anni con precedenti penali: Elso Baschini. L’uomo si professa innocente. Non c’è movente. Non c’è arma. Ma ci sono tanti indizi. Che condurranno Baschini alla condanna in primo grado: 12 anni e sei mesi. Nella sentenza, si parla anche della sfumata pista su don Rialti: «Le informazioni raccolte e gli esiti dell’attività di intercettazione davano contezza che costui si era reso protagonista di atti di pedofilia in danno di giovani, che però in un secondo momento si accertava essere tutti maggiorenni».

Anche questo fascicolo viene archiviato. La pena per Baschini, difeso dall’avvocato Cristiano Iuliano, in appello scende a 9 anni e un mese. Ma la sentenza viene poi annullata in Cassazione. Tutto da rifare. Il 20 dicembre 2016 l’uomo viene ri-condannato a 8 anni e 10 mesi. Pena che la suprema corte conferma il 28 settembre 2018. Caso chiuso. La piaga della pedofilia, invece, non si rimargina. A Firenze, l’ultimo scandalo scoppia il 23 luglio 2018. Don Paolo Glaentzer, amministratore parrocchiale di una chiesa di Calenzano, viene arrestato mentre molesta in auto una bambina di dieci anni. Davanti ai magistrati, si giustifica: «Pensavo ne avesse 14». È stato «cautelativamente sospeso dall’esercizio del ministero pastorale».

«Le vicende legate alla pedofilia hanno segnato i momenti più brutti del mio mandato» ha spiegato l’arcivescovo Betori sul Corriere fiorentino del 17 ottobre 2018. «Bisogna riconoscere come il male aggredisce anche la Chiesa con i suoi uomini, e prendere atto della nostra fragilità». Nell’intervista aggiunge: «Il danno, innanzitutto, è quello provocato sulle vittime. Anche fosse successo una sola volta, in una sola parte del mondo, sarebbe un trauma per la nostra fedeltà al Signore».
Amaro epilogo (con promozioni)


La curia fiorentina adesso prova a seguire la retta via. Betori è uno stimato cardinale: Papa Francesco l’ha nominato membro del Pontificio consiglio per i laici, della Congregazione per il clero e della Congregazione per le cause dei santi. Il suo predecessore, il cardinale Antonelli, è presidente emerito del Pontificio consiglio per la famiglia. Il cardinale Piovanelli è morto due anni fa. Maniago, divenuto vescovo di Castellaneta, è anche presidente della Commissione episcopale per la liturgia della Cei e membro della Congregazione per il culto e la disciplina dei sacramenti. Lelio Cantini è morto nel 2012, a 89 anni. John Moniz ha fatto perdere le sue tracce. Don Rialti indossa ancora la tonaca ed è giudice ecclesiastico.

Anche le vittime provano ad andare avanti. Ricacciano dentro il dolore. Le loro storie giacciono in polverosi fascicoli, negli archivi del Tribunale di Firenze. La giustizia penale ha tentato di fare il suo corso. Quella divina, molto meno.

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Per segnalare casi di abusi scrivere all'indirizzo email: redazione@panorama.it
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(Articolo pubblicato nel n° 49 di Panorama in edicola dal 21 novembre 2018 con il titolo "Santo Silenzio. Gli abusi e le coperture nella Chiesa")
 
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PAPA BERGOGLIO: “GESU’ FA UN PO’ LO SCEMO…”. QUESTA E ALTRE INAUDITE E GRAVISSIME “ESPRESSIONI” PRONUNCIATE GIOVEDI’ SCORSO…
  • SCRITTO IL 19 GIU, 2016
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E’ clamoroso – per un papa – confondere il diavolo (dalla dopppia faccia) con Gesù. E’ successo giovedì quando Bergoglio ha evocato erroneamente un capitello della cattedrale di Vézelay: uno “scambio di persone” emblematico di questo pontificato, anche se dovuto probabilmente a qualche ghostwriter superficiale.

E’ invece farina del suo sacco il confonderli (Gesù e il diavolo) addirittura per prospettare che Giuda si sia salvato (senza essersi pentito) dando ad intendere così che nemmeno lui è finito all’inferno…

Non si sa se questo papa creda all’inferno, ma – a sentire lui – se c’è sembra che ci vadano solo quelli che sono contrari all’immigrazione di massa, quelli che usano condizionatori o bicchieri di plastica e i cristiani che seguono il Vangelo alla lettera.

In ogni caso in quello stesso discorso di giovedì sera al Convegno ecclesiale di Roma, Bergoglio non si è limitato a tali enormità sul capitello di Vezélay.

Lui – di suo – ha pure inanellato una serie incredibile di altre “perle” al limite della blasfemia: Gesù che nell’episodio dell’adultera “fa un po’ lo scemo” (espressione inaudita che il sito vaticano ha cambiato in “fa un po’ il finto tonto”, ma c’è la registrazione…) e poi Gesù che – nello stesso episodio in cui la donna è stata salvata dalla lapidazione – “ha mancato verso la morale” (testuale anche questo). Poi addirittura Gesù che non era uno “pulito” (ha usato proprio questa espressione) dando a intendere non si sa cosa (meglio non chiederselo nemmeno).

Alla fine Bergoglio ha addirittura affermato che una grande maggioranza dei nostri matrimoni sacramentali sono nulli” (costringendo padre Lombardi a spiegare poi che, sul sito vaticano, è stato corretto il testo: “una parte dei nostri matrimoni”).

E sempre lo stesso vescovo di Roma – per completare la performance – ha aggiunto a questa spericolata e devastante affermazione che invece tante “convivenze” sono “matrimoni veri” (legittimando così, di fatto, le convivenze, dopo aver delegittimato matrimoni sacramentali solidi e veri).

Naturalmente ciò che per l’opinione pubblica laica è solo curioso e perfino divertente come uno spettacolo da sfasciacarrozze, dal punto di vista cattolico è devastante, è una specie di flagello che si è abbattuto sulla Chiesa e rischia di demolirla.

OLTRE IL LIMITE

Tanto che Robert Spaemann, uno dei maggiori filosofi e teologi cattolici, amico personale di Benedetto XVI, è tornato a tuonare venerdì su “Die Tagespost” con un articolo dal titolo eloquente: “Anche nella Chiesa c’è un limite di sopportabilità”.

Riporto una sua frase:

alcune affermazioni del Santo Padre si trovano in una chiara contraddizione con le parole di Gesù, con le parole degli apostoli e con la dottrina tradizionale della Chiesa… Se nel frattempo il prefetto della congregazione per la dottrina della fede (Card. Mueller) si è visto costretto ad accusare apertamente di eresia il più stretto consigliere e ghostwriter del papa, vuol dire che la situazione è davvero andata sin troppo oltre. Anche nella Chiesa cattolica romana c’è un limite di sopportabilità”.

Spaemann ha anche criticato l’abituale ambiguità di Bergoglio specie su certi temi, toccati nell’Amoris laetitia, dove – per non farsi cogliere in eresia manifesta – dice e non dice, allude, ma non si espone, tira il sasso e nasconde la mano.

Ecco dunque le parole di Spaemann:

Papa Francesco non ama la chiarezza univoca. Quando, poco tempo or sono, ha dichiarato che il cristianesimo non conosce alcun ‘aut aut’, evidentemente non lo disturba affatto che Cristo dica: ‘Il vostro parlare sia sì, sì, no, no. Il di più viene dal maligno’ (Mt 5, 37). Le lettere dell’apostolo Paolo sono piene di ‘aut aut’. E, infine: ‘Chi non è per me, è contro di me!’ (Mt 12, 30)”.

Spaeman era già intervenuto il 28 aprile scorso contro l’ “Amoris laetitia” di Bergoglio, spiegando che vi sono “frasi decisive, che cambiano in maniera sostanziale l’insegnamento della Chiesa”, “che si tratti di una rottura è qualcosa che risulta evidente a qualunque persona capace di pensare che legga i testi in questione…. Se il papa non è disposto a introdurre delle correzioni, toccherà al pontificato successivo rimettere le cose a posto ufficialmente”.

Un altro importante filosofo cattolico, Josef Seifert, collaboratore di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI, è recentemente intervenuto con critiche durissime, che ha motivato così:

il Papa non è infallibile se non parla ex cathedra. Vari Papi (come Formoso e Onorio I) furono condannati per eresia. Ed è nostro santo dovere – per amore e per misericordia verso tante anime – criticare i nostri vescovi e persino il nostro caro Papa, se essi deviano dalla verità e se i loro errori danneggiano la Chiesa e le anime”.

Oltretutto alle enormità del magistero bergogliano si aggiungono le sue decisioni di governo della Chiesa ormai di sapore sudamericano.

DITTATURA

Ad esempio, Bergoglio ha varato una serie di provvedimenti che sottraggono prerogative ai vescovi e li sottopongono a una sorta di spada di Damocle discrezionale, col rischio di rimozione nel caso non si adeguino al verbo bergogliano.

Infatti dopo i due Sinodi, in cui l’opposizione di vescovi e cardinali alla “rivoluzione” bergogliana è stata vasta e decisa, ora nel mondo ecclesiastico tutti tacciono impauriti.

Tanto che Mons. Athanasius Schneider, vescovo in Kazakhstan (dove ricordano bene cosa sia una tirannia), ha dichiarato:

“quando, in una Chiesa, arriviamo al punto in cui fedeli, preti e vescovi hanno paura di dire alcunché, come in una dittatura, questa non è la Chiesa”.

Tuttavia fra i cattolici laici sono sempre di più le voci di sconcerto che si alzano. Soprattutto negli Stati Uniti.

Ieri per esempio Phil Lawler, su “Catholic Culture”, commentando il discorso papale di giovedì, ha pubblicato un duro commento intitolato: “Il danno (ancora una volta) delle dichiarazioni del papa sul matrimonio”. Dove mette in luce anche altre “perle” di quell’intervento.

PERSECUZIONE

Colpisce, per quanto riguarda le questioni pastorali, l’insensibilità di questo papato verso la tragedia dei cristiani perseguitati e invece la sua accondiscendenza verso regimi discutibili e perfino verso dittature disumane, che continuano a perseguitare e incarcerare i cristiani.

Il caso più eclatante – insieme a quello dei regimi islamici – è quello della Cina.

Già aveva fatto scandalo l’intervista di Bergoglio del 2 febbraio scorso ad “Asia Times”, in cui aveva taciuto completamente sugli enormi problemi di diritti umani e libertà religiosa che ha la Cina (dove ci sono ancora nei lager vescovi come mons. Su Zhimin), ma in quell’intervista, rivolto ai tiranni comunisti di Pechino, Bergoglio aveva pronunciato “parole sfrenatamente assolutrici di passato, presente e future della Cina” dimenticando “quei milioni e milioni di vittime che il papa mai nomina, neppure velatamente” (Magister).

“Ciò che sconcerta molti cattolici cinesi” scrive Sandro Magister “è il silenzio che le autorità vaticane mantengono sui vescovi private della libertà”.

Negli ultimi giorni poi ha fatto clamore il caso del vescovo di Shangai Ma Daqin, che – dopo quattro anni di domicilio coatto – ha firmato una autoaccusa, di quelle tipiche dei tempi staliniani o della rivoluzione culturale maoista, nei quali sostiene di aver sbagliato e fa l’apologia dell’Associazione patriottica che è la Chiesa di regime della Cina comunista. La pratica dell’autoaccusa è tornata di gran moda in Cina.

Ma c’è di più. Padre Bernardo Cervellera, uno dei più informati conoscitori della Chiesa in Cina, nel suo sito “Asia news” (pur essendo bergogliano) per amore di verità ha dovuto riferire: Un vescovo cinese teme che qualcuno in Vaticano abbia pilotato la ‘confessione’ di Ma Daqin per far piacere al governo cinese”.

Di certo c’è che milioni di cristiani cinesi, che eroicamente vivono la loro fede sotto la persecuzione, sono rimasti delusi, confusi e addolorati per quel voltafaccia. Ma anche per quello che è diventata Roma negli ultimi tre anni

Una Roma dove si sentono risuonare parole inaudite verso il Figlio di Dio come quelle pronunciate giovedì scorso nella Basilica di San Giovanni in Laterano da Giorgio Mario Bergoglio.

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Antonio Socci



QUESTO COMMENTO E’ PUBBLICATO IN QUESTO MIO BLOG E CHI LO RIPRENDE E LO RILANCIA DEVE CITARE LA FONTE CHE E’: www.antoniosocci.com

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PERCASO è SPORCO E FA LO SCEMO ?




Terremoto in Vaticano [h=1]Papa Francesco, la bomba del cardinale Kasper: "L'accusa per farlo fuori e arrivare al nuovo conclave"[/h]
18 Gennaio 2019

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Ombre nerissime su Papa Francesco. Ombre nere condensate in questa frase del cardinale Walter Kasper: "Ci sono persone che semplicemente non amano questo pontificato. Vogliono che finisca il prima possibile per avere quindi, per così dire, un nuovo conclave. Vogliono anche che vada in loro favore, che abbia un risultato che si adatti alle loro idee". Kasper, in Vaticano, è un nome pesantissimo: ex responsabile dei rapporti ecumenici, è stato uno dei grandi elettori di Francesco nel conclave del 2013. Le sue parole, dunque, hanno grandissimo peso specifico.

Leggi anche: Papa Francesco, l'ultimo siluro su immigrati e Salvini

Da sempre vicino a una Chiesa tedesca che postula la necessità di demitizzare il centralismo romano, Kasper è uno stimato teologo, oltre che profondo conoscitore di quelle che sono le dinamiche interne del Vaticano. Insomma, il fatto che dica che nella Santa Sede ci siano forti pressioni per un nuovo conclave e far fuori Francesco va preso con la massima attenzione. La sua denuncia è pesantissima: i nemici del Pontefice brigano per la convocazione del collegio cardinalizio per far terminare la parabola di Francesco.



Per Kasper il piano è già delineato: gli oppositori di Bergoglio mirano ad arrivare a un cambio di leadership - non è infatti un caso che l'ex nunzio a Washington, Carlo Maria Viganò,
abbia chiesto espressamente "le dimissioni" del Pontefice - facendo leva in primis sulla crisi innescata dagli abusi sessuali dei preti: vogliono che la colpa degli insabbiamenti ricada su Francesco, per costringerlo ad 'abdicare'

Le dichiarazioni di Kasper sono state rilasciate a Report München, programma trasmesso dall'emittente statale tedesca ARD, dove è stata trasmessa anche un'intervista al cardinale americano Raymond Burke e alla vittima di pedofilia irlandese Marie Collins. E ancora, ad ARD, Kasper sostiene che gli oppositori di Francesco stiano utilizzando una strategia "inappropriata", cercando di mutare la discussioni sugli abusi in una "discussione su Papa Francesca". Per Kasper, si tratta di "un abuso di abuso. Questo distoglie l'attenzione dal vero problema, e questa è la parte peggiore", ha concluso.
 
Papa Francesco: "Le migrazioni arricchiscono le nostre comunità. Anche Gesù fu profugo"

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Le parole di Bergoglio nella prefazione del volume che raccoglie i suoi insegnamenti magisteriali su migranti, rifugiati e tratta
di PAOLO RODARIABBONATI A
17 gennaio 2019Articoli Correlati

La Chiesa ha cambiato rotta: basta neutralità con il governo


[IMG2=JSON]{"alt":"Migranti fermati alla frontiera del Monte Bianco, in 26 stipati nel vano di un furgone","data-align":"none","data-size":"full","height":"60","width":"60","src":"https:\/\/www.repstatic.it\/content\/localirep\/img\/rep-torino\/2019\/01\/17\/101958786--th-9b440fc7-0411-426b-8337-6f335fdf55bc.jpg"}[/IMG2]Migranti fermati alla frontiera del Monte Bianco, in 26 stipati nel vano di un furgone

"Spostarsi e stabilirsi altrove con la speranza di trovare una vita migliore per sé stessi e le loro famiglie : è questo il desiderio profondo che ha mosso milioni di migranti nel corso dei secoli". E ancora: "Gli esglieodi drammatici dei rifugiati" sono "un'esperienza che Gesù Cristo stesso provò, assieme a i suoi genitori, all'inizio della propria vita terrena, quando dovettero fuggire in Egitto per salvarsi dalla furia omicida di Erode".

Papa Francesco scrive una prefazione al volume Luci sulle strade della speranza, raccolta dei suoi insegnamenti magisteriali su migranti, rifugiati e tratta, pubblicata dalla sezione migranti e rifugiati del Dicastero vaticano per lo Sviluppo umano integrale, ed entra così nel cuore di un problema che ha toccato da vicino anche la sua famiglia: i nonni paterni di Jorge Mario Bergoglio raggiunsero l'Argentina dall'Italia nel gennaio 1929. La raccolta è un documento di 38 pagine che illustra realtà e risposte sulla piaga della tratta, indicandone le cause, sollecitandone il riconoscimento, illustrandone le dinamiche e le possibili modalità per sconfiggere il fenomeno.
rep

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di CLAUDIO TITO
Francesco si tiene lontano dalle vicende della politica italiana. Ma ancora una volta, chiamato a parlare di migrazioni, entra comunque nel vivo di un problema che divide e tocca nel profondo il Paese e nei confronti del quale egli ha chiesto un intervento decisivo della comunità europea.

"Il viaggio dei migranti - ricorda - non è sempre un'esperienza felice. Basti pensare ai terribili viaggi delle vittime della tratta. Anche in questo caso, però, non mancano le possibilità di riscatto, come accadde per il piccolo Giuseppe, figlio di Giacobbe, venduto come schiavo dai fratelli gelosi, il quale in Egitto divenne un fiduciario del faraone". "Come la storia umana, la storia della salvezza è stata segnata da itineranze di diverso genere - migrazioni, esili, fughe, esodi, tutte comunque motivate dalla speranza di un futuro migliore altrove. E anche quando l'itineranza è stata indotta con intenzioni criminali, come nel caso della tratta, non bisogna lasciarsi rubare la speranza di liberazione e di riscatto".


La tratta è un problema molto sentito dal Papa. Già quando era arcivescovo a Buenos Aires, infatti, dedicava una giornata di sensibilizzazione nella Piazza Constitución
spesso nell'indifferenza dei più.


"Spostarsi e stabilirsi altrove con la speranza di trovare una vita migliore per sé stessi e le loro famiglie. E PER LE FAMIGLIE ITALIANE DEVONO SPOSTARSI E DOVE VANNO ?

Anche Gesù fu profugo" si ma non andava a spacciare o a fare a pezzi le ragazze ecc...
 
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TREMA LA SANTA SEDE [h=1]Vaticano, Papa Francesco e il complotto per farlo dimettere. Bechis: "C'è già la data, quando lo processano"[/h]
19 Gennaio 2019

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Un complotto per costringere Papa Francesco alle dimissioni, proprio come capitato al suo predecessore Benedetto XVI. A far tremare il Vaticano stavolta non è un "corvo", ma il prestigioso cardinale tedesco Walter Kasper, grande sostenitore della candidatura di Bergoglio nel drammatico conclave del 2013.



Leggi anche: "L'accusa per farlo fuori e arrivare al Conclave". Il cardinale Kasper, bomba sul Papa





Le sue parole, spiega il direttore del Tempo Franco Bechis, evocano la possibilità di una sorta di "nuovo golpe" che spalanchi le porte a un nuovo pontefice vicino a una linea più conservatrice. Bechis ha però captato delle voci Oltretevere nelle ultime settimane: "Ci sarebbe pure già un luogo e un tempo fissato per la congiura". Fra il
21 e il 24 febbraio si svolgerà in Vaticano una sorta di "sinodo straordinario dei capi delle presidenze episcopali di tutto il mondo con a tema la pedofilia e le regole che la Chiesa dovrebbe darsi e rispettare". L'incontro è stato proposto da Bergoglio stesso, ma ora potrebbe trasformarsi in un clamoroso processo ai suoi danni "e l'attacco potrebbe essere anche di una consistente durezza".
 
SANTA SEDE E MISTERI [h=1]Papa Francesco, la strana promozione del vescovo accusato di abusi: un terremoto in Vaticano[/h]
22 Gennaio 2019
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Il caso del cardinale argentino Gustavo Zanchetta, sospeso il mese scorso perché indagato dalla Congregazione della Fede per una storia di abusi, rischia di lambire anche Papa Francesco. Zanchetta era stato scelto dal Pontefice due anni fa come componente dei vertici dell'Apsa, cioè l'Amministrazione del patrimonio della Sede Apostolica, ma solo il mese scorso è stato costretto a dimettersi. Come riporta il Messaggero, il nuovo portavoce vaticano, Alessandro Gisotti, aveva da poco chiarito che nel 2017 il Papa non fosse a conoscenza dei fatti che sarebbero accaduti nella diocesi argentina di Oran nel 2015.

Leggi anche: Papa Francesco fa fuori padre Georg dal coro della Cappella Sistina

Peccato però che l'agenzia americana Ap ha scoperto che la Santa sede tre anni era già a conoscenza delle accuse imputate al cardinale argentino: "Dalla diocesi di Oran erano state inviate segnalazioni già nel 2015". A inviare un dossier al Papa sarebbe stato monsignor Juan José Manzano, già vicario generale di Oran, che anzi ribadisce come quel fascicolo fosse stato spedito a Roma per ben due volte. E pensare che Zanchetta già all'epoca delle dimissioni da Oram non godesse di grande fama. Le voci su di lui erano gravissime, dall'autoritarismo verso i parroci, fino a comportamenti inappropriati. Indiscrezioni che già circolavano prima delle accuse di molestie sui seminaristi.

Mentre la Congregazione della Fede sta indagando sul caso del cardinale, resta un mistero perché nessuno abbia informato nel dettaglio il Papa su Zanchetta prima che lo promuovesse in Vaticano. Un caso non nuovo tra le mura vaticane, che alimenta la convinzione di una fronda sempre più corposa che lavora a danno del Pontefice.
 

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