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MARIO DRAGI SECONDO TEMPO STATE COMODI

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Giorgia Meloni sulla Corte dei Conti ospite di Nicola Porro: l'annuncio della premier che "copia" Mario Draghi

La premier ha rigettato l'accusa di deriva autoritaria, offrendo diverse battute durante l'intervista di Nicola Porro. "Noi fatto come Draghi"

Pubblicato il: 06-06-2023 10:18 - Ultimo aggiornamento: 06-06-2023 10:28
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Gabriele Silvestri​

GIORNALISTA PUBBLICISTA​




Il Governo sta smontando il racconto della destra autoritaria e così la sinistra ha poche cartucce da sparare, con Elly Schlein che confonde il dissenso con la censura. A dirlo è la premier Giorgia Meloni intervistata da Nicola Porro durante la trasmissione Quarta Repubblica, in onda su Retequattro nella serata del 5 giugno. Un’intervista a tutto tondo, dove la leader ha parlato anche di politica internazionale e ha toccato anche temi della sfera personale.

  • La frecciata all'opposizione
  • Nessuna deriva autoritaria, afferma Meloni
  • La vita da premier di Giorgia Meloni
  • Meloni sul Reddito di Cittadinanza

La frecciata all’opposizione

Della trasmissione, che precede l’incontro di Meloni del 6 giugno in Tunisia con il primo ministro locale, la parte più interessante riguarda il rapporto con la sinistra. Tema che viene ripreso varie volte nel corso dell’intervista di Nicola Porro.

“Si diceva che con la Meloni sarebbero arrivate le cavallette, la Borsa sarebbe crollata” ha sottolineato Meloni. “La Borsa sta andando molto bene, lo spread è più basso, gli hedge fund hanno smesso di scommettere contro il debito pubblico italiano, il Btp valore è andato strabene».




Nessuna deriva autoritaria, afferma Meloni

Per Meloni, la sinistra non fa altro che bollare come autoritario ogni evento che tocca l’operato di Governo. E per corroborare la sua tesi, cita la decisione di Fabio Fazio di lasciare la Rai “per andare a lavorare dove lo pagano di più”, così come i militari che alla parata del 2 Giugno hanno salutato la tribuna con la mano alzata, “come è sempre accaduto”.

Poi arriva la stoccata finale: “La sinistra dice che c’è una deriva autoritaria se sulla Corte dei conti proroghi le norme del governo Draghi, del quale loro facevano parte”.


La vita da premier di Giorgia Meloni

Diversi gli spunti lasciati da Meloni anche su come è cambiata la sua quotidianità da premier. “Quando sei premier quasi tutto quello che accade nel mondo ti riguarda. L’imprevisto, quando sei a capo del governo, è la previsione più accurata che puoi fare. Per me che lavoro in modo schematico ha avuto un impatto molto forte. Tu rincorri l’emergenza e devi riuscire a tenere la barra dritta».

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Da presidente del Consiglio, Giorgia Meloni
ha ammesso di aver cambiato idea su tanti argomenti, pur conservando la sua coerenza di base. “Studiando i dossier ti rendi conto che non tutto va come pensavi, che devi pensare a soluzioni praticabili.”

“Ma se per privilegiare me stessa devo svendere me stessa o la nazione, non sono disposta a farlo” chiarisce la premier. “Ancora oggi preferisco andare a casa che diventare diversa dalla persona che considero di essere”.


Meloni sul Reddito di Cittadinanza

Durante la lunga intervista, il Presidente del Consiglio ha sottolineato ancora una volta la posizione del Governo in merito al Reddito di Cittadinanza, definito uno strumento capace solo di prolungare la povertà.

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ITALIANI STATE "SERENI"
MELONI DICE:
Meloni
. “La Borsa sta andando molto bene, lo spread è più basso, gli hedge fund hanno smesso di scommettere contro il debito pubblico italiano, il Btp valore è andato strabene».

Ma la "borsa"degli ITALIANI COME VA ?
 
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“Auto elettrica, pericolo di incendio spontaneo”. L’allarme dell’azienda e la clamorosa decisione: “Ritiratele

di Tommaso Croco212Views

Pubblicato il 05/06/2023 11:58 - Aggiornato il 05/06/2023 12:13
Non è la prima volta che le auto elettriche, benedette dall’Unione Europea che preme da tempo per una radicale trasformazione del mercato delle quattro ruote, finiscono al centro di polemiche relative alla sicurezza. Proprio in queste ore, però, è arrivata dagli Stati Uniti una clamorosa conferma dei timori avanzati in passato da alcuni automobilisti: Jaguar Land Rover (JLR) ha infatti confermato di aver richiamato quasi 6.400 veicoli I-PACE negli Stati Uniti a causa del rischio di incendio dovuto al surriscaldamento della batteria del veicolo elettrico ad alta tensione. Alcuni episodi erano stati segnalati dai giornali e sui social nelle scorse settimane, a conferma di un reale pericolo. (Continua a leggere dopo la foto)
>>> “Basta auto elettriche!”. L’incredibile annuncio del gigante dei trasporti auto: “Troppo pericolose”
>>> “Non bisogna lavarsi”. Il nuovo diktat degli ecologisti diventa una gara. Ecco LE FOTO dell’orrore



auto elettrica incendio spontaneo

JLR, di proprietà dell’indiana Tata Motors (TAMO.NS), ha dichiarato che il software del modulo di controllo dell’energia della batteria verrà aggiornato e i moduli della batteria verranno sostituiti secondo necessità in alcuni veicoli dell’anno modello 2019-2024. A confermare la notizia è stata l’agenzia di stampa Reuters. (Continua a leggere dopo la foto)

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L’azienda americana ha spiegato come, al momento, gli ingegneri non sia ancora riusciti a stabilire se se il gruppo batteria sia difettoso o se dietro il problema ci siano delle condizioni di sovraccarico generate da altri difetti, ma per cautela ha deciso di richiamare i veicoli. La stessa casa automobilistica ha ammesso di aver ricevuto segnalazioni di otto incendi di veicoli negli Stati Uniti, ma nessun incidente o ferito. (Continua a leggere dopo la foto)
auto elettrica incendio spontaneo


JLR ha lanciato la sua I-PACE elettrica nel 2018, ma da allora non ha lanciato nessun altro modello a emissioni zero. Il mese scorso, la società ha dichiarato che avrebbe investito 15 miliardi di sterline ($ 18,5 miliardi) nei prossimi cinque anni in veicoli elettrici (EV) e ha promesso di consegnare una nuova Jaguar elettrica nel 2025.

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Nasce il Green pass “mondiale”. Accordo fra Europa e Oms. Ecco cos’è e come funzionerà

di Antonio Oliverio329Views

Pubblicato il 05/06/2023 18:56 - Aggiornato il 07/06/2023 11:10
Un Green pass è per sempre. Pensavamo fosse un lontano e bruttissimo ricordo, l’emblema perfetto di un biennio di panico indotto e terrore dispensato a piene mani, e invece il Green pass è uscito dalla porta per, come si dice, rientrare dalla finestra. Al netto dei dubbi sulla sua costituzionalità. Ci spieghiamo meglio: il Green pass sta per diventare mondiale e costituirà il primo passo per la schedatura di massa e il controllo sociale, anche se ufficialmente, come sempre, è ammantato di buoni propositi dalla Commissione europea e dall’Oms, che hanno siglato un partenariato per la “salute digitale”. D’altronde, come abbiamo già scritto, un Green pass permanente, ovvero un passaporto sanitario mondiale è solo l’ultima follia che i signori dell’universo hanno proposto nel più recente incontro del World economic forum a Davos. l’iniziativa fa seguito all’accordo del 30 novembre 2022 tra il commissario alla Salute dell’Unione europea, Stella Kyriakides, e Tedros Ghebreyesus, direttore generale dell’Oms. (Continua a leggere dopo la foto)
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nasce green pass mondiale



La partnership tra Ue e Oms

Proprio oggi la Commissione europea e l’Organizzazione mondiale della sanità, dunque, hanno annunciato il lancio di una partnership per rafforzare la sicurezza sanitaria globale. La partnership tra Bruxelles e l’Organizzazione mondiale della sanità punta a “istituire un sistema che contribuirà a facilitare la mobilità globale”, come leggiamo sul Corriere della sera e, se lo traduciamo, vuol dire che per viaggiare, in qualsiasi parte del mondo, dovremo essere in possesso di tale mega Green pass. Qualcosa di già visto, una sorta di ricatto, come quando non si poteva neppure prendere un autobus senza la tessera verde, ma stavolta su scala planetaria. Ce lo chiede l’Europa, e anche l’Oms. (Continua a leggere dopo la foto)
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L’obiettivo (quello dichiarato) e la/le pandemie

La cosa inquieta non poco, anche se il Corriere prosegue così, con toni entusiastici: lo scopo è “proteggere i cittadini di tutto il mondo dalle minacce sanitarie attuali e future, comprese le pandemie”. Si tratta del primo elemento costitutivo della Rete globale di certificazione sanitaria digitale dell’Oms (GDHCN) che, secondo Sanità24 – Il Sole 24 Ore, “svilupperà un’ampia gamma di prodotti digitali per garantire a tutti una migliore salute”, con l’obiettivo dichiarato di “rafforzare la preparazione sanitaria globale di fronte alle crescenti minacce per la salute”. L’Oms, dunque, sta istituendo una rete internazionale di certificazione sanitaria digitale che si basa sul quadro e le tecnologie aperte dell’Ue con il certificato verde. E riecheggia sinistra l’eco della previsione di un pool di 26 scienziati che al Global Health Summit del 2021, il cui report parlava della nostra come dell’era delle pandemie. Con 80 paesi e territori collegati al certificato Covid-19 digitale dell’Ue, l’Unione europea ha dunque fissato uno standard che è divenuto globale. (Continua a leggere dopo la foto)
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Da quando sarà in vigore

Il primo elemento costitutivo del sistema globale dell’Oms diventa operativo in questo mese di giugno, ma dovrebbe essere sviluppato progressivamente e definitivamente nei prossimi mesi. Come leggiamo sul Quotidiano nazionale la sinergia tra l’Unione europea e l’Oms, infatti, appronterà la misura con un approccio graduale. Lo strumento, come si ricorderà, era stato introdotto nell’Unione per via del mancato e reciproco riconoscimento transfrontaliero dei test, che rendeva i viaggi all’interno dell’Unione molto difficoltosi in tempo di pandemia. Occorre precisare che la stessa Oms ha nelle scorse settimane decretato ufficialmente la fine della pandemia da Covid-19, ma, lo dicevamo, nu Green pass è per sempre. (Continua a leggere dopo la foto)
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Il problema della privacy

Ancora a livello puramente teorico, è detto che l’Oms non avrà accesso ad alcun dato personale sottostante: questi continueranno a essere dominio esclusivo dei governi. Altresì l’approccio “graduale” di cui abbiamo già scritto potrebbe interessare ulteriori casi d’uso, che possono includere, per esempio, la digitalizzazione del certificato internazionale di vaccinazione o profilassi.

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Immaginate che questa sia una pietra su 2 milioni e 300mila pietre tagliate, trascinate e sollevate per costruire la Grande Piramide più di 3000 anni fa.
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CHE STORIA CI HANNO RACCONTATO ?
 

D'Alema e Profumo indagati a Napoli per corruzione internazionale. Rischiano 10 anni

7 Giugno 2023 - 06:00
Corruzione internazionale, reato punito con pene da sei a dieci anni di carcere. È questo lo spettro che incombe su Massimo D'Alema e Alessandro Profumo da ieri mattina

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D'Alema e Profumo indagati a Napoli per corruzione internazionale. Rischiano 10 anni

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Corruzione internazionale, reato punito con pene da sei a dieci anni di carcere. È questo lo spettro che incombe su Massimo D'Alema e Alessandro Profumo da ieri mattina, quando una lunga sequenza di bugie dette nei mesi scorsi va a schiantarsi contro l'avviso di garanzia che viene notificato all'ex presidente del Consiglio e all'ex amministratore delegato di Leonardo dalla procura di Napoli. I computer di entrambi vengono perquisiti alla ricerca di nuovi elementi sull'affare su cui da oltre un anno scavavano gli inquirenti: la trattativa con la Colombia per la fornitura di aerei e navi militari per cinque miliardi di euro. Un affare colossale su cui l'ex leader dei Ds e il suo entourage, secondo le intercettazioni dello stesso D'Alema, puntavano a incassare una provvigione da ottanta milioni di euro.
Ora si scopre che la metà della cifra era destinata a tornare in Colombia, nelle mani dell'ex ministro degli esteri Marta Ramirez. È questo il tassello decisivo, acquisito dagli inquirenti napoletani durante quattordici mesi di lavoro sottotraccia. Perché quando nel marzo 2022 la strana - e quasi incredibile - storia dei traffici di D'Alema e Profumo era venuta alla luce, la puzza di bruciato era tanta, e tanti erano i dettagli inspiegabili: il più ingombrante di tutti, il motivo per cui Leonardo aveva deciso di chiedere l'aiuto di «Baffino» per piazzare i suoi prodotti nonostante una trattativa ufficiale fosse già aperta tra i due Stati, seguita in prima persona dall'allora viceministro Giorgio Mulè.
Leonardo, contro ogni evidenza, aveva negato di avere ingaggiato come intermediario D'Alema. L'odore di bruciato aumentava. Ma non era chiaro se fossero stati commessi dei reati. Tanto che l'unica Procura a muoversi era stata quella di Napoli sulla base dell'esposto dell'Associazione parlamentare per il Mediterraneo, presieduta da Gennaro Migliore, la cui sigla era stata scippata da uno dei collaboratori di D'Alema e usata come schermo per le trattative. Quell'indagine, all'apparenza marginale e piuttosto innocua, è diventata il grimaldello per andare a scavare in profondità nella vicenda. Fino a individuare qual era il valore aggiunto della «cordata» di D'Alema, il canale non ufficiale utilizzato per oliare gli affari di Leonardo: ed ecco il nome, un nome eccellente. Perché Marta Ramirez, del partito conservatore, è stata ministro anche della Difesa e del Commercio estero del governo di Bogotà, e fino all'anno scorso vicepresidente della Repubblica. È a lei, dice l'avviso di garanzia notificato ieri a D'Alema e Profumo, che dovevano andare quaranta milioni di euro se l'affare fosse andato in porto.
Insieme a D'Alema, a Profumo e alla Ramirez finiscono nel registro degli indagati altri cinque interpreti del pasticcio. Tra questi Giancarlo Mazzotta, ex sindaco di un paese pugliese sciolto per mafia, a sua volta indagato per diversi reati, che tra il gennaio e il febbraio del 2022 - i mesi caldi della trattativa - si muove come una sorta di plenipotenziario della cordata. A fare compagnia a Profumo nell'elenco degli indagati c'è un altro nome importante dell'industria di Stato, Giuseppe Giordo, direttore della divisione Navi militari di Fincantieri: che sembrava inizialmente defilata rispetto al nocciolo dell'inchiesta, e invece si ritrova anch'essa sotto tiro.
Massimo D'Alema reagisce all'avviso di garanzia ostentando sicurezza, il suo legale dice che l'ex premier «ha fornito la massima collaborazione all'autorità giudiziaria, siamo certi che sarà dimostrata la più assoluta infondatezza dell'ipotesi di reato a suo carico». Ma è sotto gli occhi di tutti che l'offensiva della procura di Napoli trasforma in caso giudiziario un problema finora solo politico e istituzionale: il ruolo di Leonardo, quello che all'esplosione dello scandalo portò il senatore Maurizio Gasparri a chiedersi «se siamo davanti ad una azienda strategica di Stato o a una sezione staccata del Pds o, come si chiama adesso, del Pd».
 

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