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“Dal Vangelo secondo Matteo: porti chiusi”. E’ quanto scritto su un maxi striscione affisso in bella mostra da una cittadina al balcone di casa sua che si affaccia sul centro di Lecco.
Lo striscione ha scatenato la protesta di monsignor Davide Milani, che ha chiesto di toglierlo poiché offende i fedeli cattolici e strumentalizza il Nuovo Testamento.
[IMG2=JSON]{"data-align":"none","data-size":"full","height":"50","width":"200","src":"https:\/\/voxnews.info\/wp-content\/files\/2017\/04\/vox-DIFFONDI-1.jpg"}[/IMG2]
Addirittura, a differenza di quanto raccontato da alcuni giornali, due agenti della Polizia locale, evidentemente inviati dal sindaco PD, si sono presentati a casa della donna intimandole di rimuoverlo: lei si è rifiutata. E visto che non è illegale esprimere la propria idea politica, non hanno potuto farci niente.
«In verità, in verità vi dico: chi non entra nel recinto delle pecore per la porta, ma vi sale da un’altra parte, è un ladro e un brigante»Vangelo secondo Giovanni
Agli immigrati basta una certificazione del consolato per dimostrare di avere in patria una famiglia numerosa. E fregarsi tutti i sussidi. Che poi si traducono in questo:
Nei regolamenti dell’Agenzia delle entrate, infatti, l’assurdo cavillo che permette agli stranieri di truffare lo Stato: agli extracomunitari basta infatti una certificazione del consolato per dimostrare di avere in patria famiglie numerose. E nessuno può andare a controllare.
È questo l’assurdo cavillo che permette a migliaia di extracomunitari di gonfiare la dichiarazione del numero di famigliari a carico.
[IMG2=JSON]{"data-align":"none","data-size":"full","height":"50","width":"200","src":"https:\/\/voxnews.info\/wp-content\/files\/2017\/04\/vox-DIFFONDI-1.jpg"}[/IMG2] La norma, come quella che ha aperto la pensione sociale agli immigrati che mai hanno lavorato in Italia, è stata varata dal governo Prodi (296/2006). Questa rende possibile ai cittadini extracomunitari una detrazione per carichi di famiglia.
Secondo La Verità, si verifica con una certa frequenza che un extracomunitario dichiari di avere a carico da 10 fino a 20 famigliari nel Paese d’origine. Di conseguenza, il soggetto in questione potrebbe beneficiare di enormi detrazioni e addirittura potrebbe ritrovarsi a credito di fronte all’erario.
Tutto a spese nostre. Ma poi, anche se fossero familiari reali, perché dovrebbero essere detraibili agli immigrati?
Questi provvedimenti nascono per favorire la natalità italiana, invece finiscono per finanziare quella straniera. In caso di immigrati, avere più figli dovrebbe essere uno svantaggio fiscale, non un vantaggio.
Quale popolo sano di mente aiuterebbe l’invasore ad avere più figli?
[h=1]La candidata del M5S corre col velo islamico: è polemica sui social[/h] [h=2][/h] Nasri Assiya, 20 anni, si è candidata come consigliere comunale a Montoro, ma la sua avventura elettorale non è cominciata nel migliore dei modi
La sua candidatura ha diviso gli elettori di un piccolo centro dell'Avellinese, scatenando una bufera sui social network.
La candidata Nasri Assiya, 20 anni, si presenta come consigliere comunale alle prossime elezioni amministrative del 26 maggio a Montoro, in provincia di Avellino, ma la sua avventura elettorale non è cominciata nel migliore dei modi.
Nei confronti dell’esponente del Movimento 5 Stelle, che indossa il velo, come vuole la tradizione del suo Paese d’origine, una serie di messaggi su Facebook e Instagram che la invitato a desistere, quel burqa non va giù a molti elettori. Numerosi i commenti di chi non condivide l'impegno politico della donna di religione musulmana, sotto il post che annuncia la sua candidatura.
“Lei è Nasri Assiya , ha 20 anni è laureanda in Matematica. Iscritta all'Università a soli 17 anni, conosce perfettamente quattro lingue straniere. Nonostante la giovane età, vuole abbracciare la politica attiva. Spigliata, disinvolta ed energica, Assiya vuole partecipare al cambiamento e prendere per mano il suo futuro e quello dei tanti giovani di Montoro, impegnandosi in prima persona affinché Montoro possa correre verso un futuro di sviluppo sociale, economico, culturale e lavorativo”.
Questo il messaggio elettorale della candidata, subissato di commenti. “Una nuova italiana con il burqa. Non ti voterei mai”, scrive qualcuno, mentre un altro utente pubblica una foto con la scritta “Islam, no grazie”. O ancora, c'è chi afferma: “Va benissimo, basta che tolga il velo dalla testa, che non è certo un simbolo di sviluppo culturale e sociale”.
[h=1]Non solo la Ciociara, la verità sugli stupri dei goumier[/h] Le donne del meridione d’Italia subirono la violenza peggiore perché non veniva dal nemico ma dai “liberatori” da coloro in cui nutrivano speranza e fiducia
Un scena de "La Ciociara" "Tutti si aspettavano cose straordinarie da questi alleati, appunto come dei santi; e tutti erano sicuri che col loro arrivo la vita non soltanto sarebbe ritornata normale ma anche molto migliore del normale”. Così Alberto Moravia descrive nella “Ciociara” i sentimenti degli italiani nei giorni precedenti la Liberazione, dopo lo sbarco in Sicilia. Non fu così, e, soprattutto, non fu così per le donne che nei paesi della Ciociaria e del Frosinate, nei piccoli borghi dai nomi strani e sconosciuti, Vallecorsa, Lenola, Patrica, Pofi, Isoletta, Supino e Morolo, Castro dei Volsci, Ceccano, Campodimele, proprio dai liberatori furono picchiate, abusate, violentate, stuprate. Nel suo libro “La colpa dei vincitori” (Piemme) Eliane Patriarca, giornalista francese di origini italiane, racconta la storia di quei terribili giorni di violenza e le testimonianze di chi ha visto e ha scritto. Scrive lo scrittore Frédéric Jacques Temple, allora soldato dell’esercito francese, in “Les Eaux mortes”: “Stesa sui cuscini sventrati, ancora giovane, con la gonna alzata fino al viso, un viso di cenere incorniciato da bei capelli neri. I neri, grandi e grossi, si lavoravano metodicamente quella donna aperta a forza, ora silenziosa e inerte, che aveva da molto tempo smesso di lamentarsi sotto le violente spinte. Nessuna tregua tra un uomo e l’altro. Erano più di cento, con i pantaloni abbassati e la verga in mano, in attesa del loro turno. Un ufficiale se ne stava vicino alla porta”.
Le vittime furono migliaia, anche non è possibile definire la cifra precisa. Di ogni età: giovani che avevano tentato inutilmente la fuga, anziane che erano rimaste nel paese sicure che, grazie alla loro età, non sarebbero state toccate, bambine e bambini che si trovavano per caso sulla strada degli stupratori. In tante patiscono la sorte di Cesira e Rosetta che, nel romanzo di Moravia e nel film di De Sica, subiscono ripetutamente violenza “sotto gli occhi della Madonna”.
A commettere gli stupri sono i terribili goumiers, i soldati marocchini avanguardia delle truppe coloniali francesi, sotto gli occhi indifferenti dei loro comandanti e il disinteresse degli altri eserciti. I goumiers, circa 12.000, vengono dall’Atlante. Il generale Alphonse Juin capo del Cef (Corpo di spedizione francese) li usa per sorprendere i tedeschi dove meno se lo aspettano, sui monti Aurunci, ritenuti sicuri e inviolabili. Non per loro che vengono dalle montagne, sono abituati a condizioni per altri insopportabili e hanno doti ataviche di combattimento. E infatti ce la fanno. Sfondano la difesa nemica, si presentano alla popolazione con la loro djellaba di lana marrone striata di bianco, turbante e sandali e si accaniscono contro le donne.
C’è chi sostiene che siano stati autorizzati. Che il generale Juin abbia promesso loro libertà totale di saccheggio. C’è chi parla addirittura di un suo proclama che recita: “Al di là dei monti, al di là dei nemici che ucciderete stanotte, c’è una terra prospera e ricca di donne, di vino, di case. Se riuscirete a passare questa linea senza lasciar vivo un solo nemico, il vostro generale ve lo promette, ve lo giura, ve lo proclama: quelle donne, quelle case, quel vino, tutto quello che troverete, sarà vostro, a vostro piacimento e secondo il vostro volere”. Chissà se quel foglio scritto in arabo, e mai ritrovato in francese, è vero. Ci sono molti motivi per dubitare della sua autenticità. Ma sappiamo anche che non occorrono proclami per autorizzare le truppe vincitrici alla razzia e alla violenza. Quando l’Armata rossa entrò in Prussia, Stalin emanò un ordine nel quale diffidava i suoi soldati dai saccheggi dalle ruberie e dagli stupri. Eppure ci furono e, in numero tale da lasciare un’impronta indelebile su quella pur straordinaria vittoria sui nazisti.
E’ la guerra, dice qualcuno, e nella guerra e nella storia le donne fanno parte del bottino. Triste, tristissimo e cinico, ma vero. Eppure le donne del meridione d’Italia – se è lecito e giusto fare dei paragoni – subirono una violenza peggiore perché non veniva dal nemico ma dai “liberatori” da coloro in cui nutrivano speranza e fiducia. E poi perché la violenza continuò. Nella condanna delle famiglie, nel tardato riconoscimento e risarcimento del danno subìto da parte del nuovo stato italiano, nell’atteggiamento di chi, sapendo per anni, non ha parlato. Contro quelle donne c’è stata la violenza della chiesa che, attraverso il cardinale Tisserand, ha difeso il Cef con una lettera al Pontefice nella quale afferma: “Se le donne non si esponessero volontariamente non correrebbero alcun pericolo”. E anche quella di chi per molto tempo, temendo di favorire la propaganda fascista (che ha ovviamente tentato di strumentalizzare quei terribili fatti) ha intralciato ogni tentativo di memoria. Infine negli anni del Dopoguerra, e dominante ancora oggi, la cultura del politically correct che rifiuta errori e colpe di chi sta “dalla parte giusta” .
Nel 2006 è uscito in Francia un interessante film di Rachid Bouchareb, “Les Indigenes”. Si narrano le terribili condizioni cui erano sottoposte nell’esercito francese le truppe dei paesi del Magreb. Un film politico e riparatore che denuncia discriminazioni, sacrifici, ingiustizie perpetrate verso di chi veniva dalle colonie. Ma anche quel film tace sulle “marocchinate”, tace sulle violenze del Cef. Così mentre il governo marocchino ha ufficialmente riconosciuto le colpe dei goumiers e se ne è scusato per i francesi quelle violenze rimangono di poca importanza. Ancora oggi insignificanti. Marocchinate.
[h=3]Le vittime delle “marocchinate” denunciano la Francia[/h] Furono 300.000 gli stupri di donne, uomini e bambini italiani compiuti dal 1943 al ‘44 dalle truppe coloniali del Corp Expeditionnaire Français. Quella pagina si storia di riapre
Reparto di goumiers marocchini accampati
Pubblicato il 01/06/2018
Ultima modifica il 01/06/2018 alle ore 23:39
ANDREA CIONCI
Il nostro giornale lo aveva annunciato il 6 marzo scorso e l’Associazione Vittime delle Marocchinate presieduta da Emiliano Ciotti ha depositato, tramite lo studio legale dell’Avv. Luciano Randazzo, formale denuncia contro la Francia per le atrocità compiute dalle truppe coloniali francesi ai danni dei civili italiani durante l’ultima guerra. L’atto è stato presentato presso la Procure di Frosinone e Latina, presso la Procura Militare di Roma, il Comando Generale dei Carabinieri e l’Ambasciata di Francia. (COSA HANNO FATTO ALL'ITALIA I FRANCESI)
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Furono 300.000 gli stupri di donne, uomini e bambini italiani compiuti dal 1943 al ‘44 dalle truppe coloniali del Cef (Corp Expeditionnaire Français) costituito per il 60% da marocchini, algerini e senegalesi e per il restante da francesi europei, per un totale di 111.380 uomini. A tali violenze seguirono spesso torture inimmaginabili e brutali omicidi, sia delle vittime, sia di tutti coloro che tentavano di opporvisi. Furono poi moltissimi i casi di malattie e infezioni veneree tanto da costituire una vera e propria emergenza sanitaria, come risulta dall’interpellanza parlamentare della deputata comunista Maria Maddalena Rossi dell’aprile 1952.
La prime violenze si verificarono dopo lo sbarco in Sicilia, dove i magrebini del 4° tabor stuprarono donne e bambini presso Capizzi. Dopo lo sfondamento della Linea Gustav, in Ciociaria si toccò il culmine dell’aberrazione, ma le violenze proseguirono fino in Toscana. Non si trattò quindi delle “sole” 50 ore di completa impunità concessa ai goumiers, come riportava il proclama del loro generale Juin, ma di un anno intero.
Secondo la denuncia, “appare incontrovertibile come da parte dello Stato italiano nessuna iniziativa sia mai stata adottata al fine di chiedere la punizione dei militari marocchini per i crimini contro l’umanità commessi sul territorio italiano, in particolare nella provincia di Frosinone e Latina”.
La denuncia chiede esplicitamente che si possano rintracciare presso l’Unione Nationale des anciens combatteants marocains eventuali colpevoli tuttora superstiti e che li si possa processare per reati contro l’umanità e crimini di guerra secondo le normative internazionali introdotte dopo i Protocolli di Normberga. Si chiede inoltre che la denuncia venga trasmessa alla Corte internazionale dei diritti dell’uomo per valutare se sussistano reati specifici nei confronti dello stato francese.
A tal proposito, il nostro precedente articolo aveva svelato che lo stesso generale de Gaulle fosse stato presente - insieme al suo Ministro della Guerra Diethelm - nei luoghi dove culminarono le violenze. Varie fotografie dimostrano che egli alloggiava in una frazione del comune di Esperia (dove avvennero le peggiori atrocità) presso il casolare del barone Rosselli. Non poteva non sapere.
Inoltre, vi sarebbe il fatto che i generali di divisione del CEF : Guillaume, Savez, de Monsabert, Brosset e Dody non solo non fecero nulla per impedire le violenze, ma le incentivarono di proposito tenendo le truppe coloniali forzatamente lontane dai propri bordelli, per aumentarne l’aggressività. Da documenti dell’Archivio Centrale dello Stato, risulta che anche i soldati francesi bianchi si macchiarono di violenze: a Pico furono, infatti, violentate 51 donne da 181 franco-africani e da 45 francesi bianchi. Tali crimini furono minimizzati dalla Francia – riporta la denuncia – asserendo che erano state le donne italiane, in gran parte, a provocare i militari marocchini. [IMG2=JSON]{"alt":"Licenza Creative Commons","data-align":"none","data-size":"full","src":"https:\/\/www.lastampa.it\/modulo\/licensing\/img\/CreativeCommons.svg"}[/IMG2]
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