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Il sex toy della consigliera del Pd? Rimborsato come "cena di lavoro"
Grande imbarazzo tra i democratici per il vibratore acquistato dalla piddì Rita Moriconi
. Che si difende: "Non l'ho comprato io"



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Giovanni Masini - Mer, 12/11/2014 - 18:10
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Il rimborso per il vibratore incluso tra le richieste della consigliera regionale dell'Emilia-Romagna Rita Moriconi sarebbe stato giustificato alla voce "per pranzo o cene di lavoro e hotel con amministratori locali su politiche regionali".


La notizia, riportata anche da fonti d'agenzia, è emersa dalla relazione della Guardia di Finanza di Bologna nell'ambito dell'inchiesta sui rimborsi regionali. Stando a quanto rivelato dal documento del nucleo felsineo delle Fiamme Gialle, il "sex toy" sarebbe stato acquistato il 29 novembre di quattro anni fa presso Bis Srl di Reggio Emilia. Il vibratore sarebbe inoltre stato rimborsato per due volte, prima con la ricevuta del pagamento bancomat in allegato e poi solamente con il documento fiscale. Entrambe le volte la spesa per cui è stato richiesto il rimborso era di 83,5 euro, per un totale di 167 euro.

Nei giorni scorsi la consigliera regionale del Pd si era difesa dicendosi certa di non aver mai fatto quell'acquisto, ma aggiugendo anche di "non poter escludere" che il vibratore fosse stato comprato da un collaboratore.

La Moriconi non ha però negato l'esistenza della contestazione, dichiarando che aveva "avuto modo di leggere un elenco di spese e c'è effettivamente una voce che non mi risulta, che non conosco e che non so cosa sia, è abbastanza confusa". Contestualmente, però, aveva ribadito di non essere "mai stata" in un sexy shop, aggiungendo di aver intenzione di "chiarire appena possibile questa cosa molto brutta perché sui giornali ci sto andando con la mia faccia e non è divertente".
 
CHI COMANDA IN ITALIA


Consulente Usa accusato di concorso in omicidio nel sequestro di Aldo Moro
La procura di Roma accusa lo 007 americano Steve Pieczenik: "Deve essere processato, ci sono gravi indizi circa il suo concorso al delitto di Via Fani"


Ivan Francese - Mer, 12/11/2014 - 17:25
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Ci sono importanti novità giudiziarie sul rapimento e sulla morte di Aldo Moro, sequestrato e ucciso dalle Brigate Rosse nel 1978. ll procuratore generale di Roma Luigi Ciampoli ha chiesto alla procura di procedere nei confronti dello 007 americano Steve Pieczenik, ex funzionario del Dipartimento di Stato Usa e superconsulente del Governo italiano, verso cui vi sarebbero "gravi indizi circa un suo concorso nell'omicidio" dello statista.


Il ritrovamento del cadavere di Aldo Moro in via Caetani, il 9 maggio 1978
Il presunto coinvolgimento di Pieczenik è emerso nel corso della richiesta di archiviazione che il pg Ciampoli aveva inoltrato ieri al gip del Tribunale romano per un'altra inchiesta: quella relativa alle rivelazioni dell'ex poliziotto Enrico Rossi, che aveva insinuato la presenza di uomini dei servizi segreti al momento del rapimento di Moro.

Ciampoli ha quindi ordinato la trasmissione della richiesta di archiviazione alla procura romana "perché proceda nei confronti di Steve Pieczenik in ordine al reato di concorso nell'omicidio di Moro". Pieczenik, all'epoca consulente del Viminale guidato da Francesco Cossiga, faceva parte del comitato di crisi istituito dal ministero dell'Interno nel giorno del sequestro dello statista democristiano.

Dalla procura generale di Roma viene evidenziato che a carico di Piezcenik "sono emersi indizi gravi circa un eventuale concorso nell'omicidio, fatto apparire, per atti concludenti, integranti ipotesi di istigazione, lo sbocco necessario e ineludibile, per le Brigate Rosse, dell'operazione militare attuata in via Fani, il 16 marzo 1978, o, comunque, di rafforzamento del proposito criminoso, se già maturato dalle stesse Br".

Pieczenik ha studiato ad Harvard e al Mit, è stato psichiatra ed esperto di terrorismo: nel dibattito storiografico è considerato un personaggio cruciale nella storia dei rapporti tra Italia ed Usa durante gli anni delicatissimi dell'esplosione del terrorismo. Nel 2008 pubblicò un libro-intervista in cui rivelò di aver sviluppato un piano di "manipolazione strategica" che conducesse all'uscita di scena di Moro, considerata ineludibile nel piano di "stabilizzazione" del nostro Paese.

Decisivo sarebbe stato il suo ruolo nell'impedire un'iniziativa vaticana (Papa Paolo VI era amico personale di Moro, ndr) per raccogliere denaro da destinare alla liberazione del presidente Dc: "In quel momento stavamo chiudendo tutti i possibili canali attraverso cui Moro avrebbe potuto essere rilasciato. Non era per Aldo Moro in quanto uomo: la posta in gioco erano le Brigate rosse e il processo di destabilizzazione dell'Italia".
 

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