Novità

SINISTRA.

Alien.

Advanced Premium Member
SINISTRA
Paolo Mieli, basta balle sui partigiani. "Operazione verità", il lato oscuro e nascosto della Resistenza
26 Novembre 2019
Paolo Mieli, basta balle sui partigiani. Operazione verità, il lato oscuro e nascosto della Resistenza





La Resistenza "senza tabù". Paolo Mieli sul Corriere della Sera invita a guardare in faccia ai protagonisti della Liberazione, riconoscendone i meriti storici senza rimuovere e nasconderne le colpe né le imprese più sanguinose. Giampaolo Pansa, qualche anno fa, si prese gli insulti dal "popolo della sinistra" proprio per la sua operazione-verità sul 1944-46. Oggi, forse, toccherà lo stesso ad altri due storici, Marcello Flores e Mimmo Franzinelli, autori della Storia della Resistenza. "Un grande moto di popolo suggerisce l'ex direttore del Corsera - contro l'oppressione che presenta però aspetti oscuri su cui non si può tacere".
Leggi anche: "Tra Marx e Churchill contro i nazisti". Repubblica e le sardine vs Salvini


Mieli sottolinea come prima dell'aprile 1945, la Resistenza era stata caratterizzata da "conflitti interni generati da tentativi scissionisti per ribaltare gli assetti direttivi di un gruppo partigiano. Ma anche da passaggi contrastati dall'una all'altra formazione, oltreché rivalità tra bande operanti nella stessa zona". Aspetti, questi, "ignorati o sottovalutati" dalla storiografia ufficiale, spesso trasformatasi in agiografia. Storie di regolamenti di conti e "realpolitik" rimaste nell'ombra, scrive Mieli citando i due autori, "per il timore di prestare il fianco ai denigratori della Resistenza". "Ma è stato un grande errore - sottolinea l'ex direttore -. Gli italiani sarebbero stati in grado di capire".

Da qui la necessità si svelare i passaggi cruciali del "biennio della guerra civile", un periodo reso "monco e poco credibile agli occhi dei posteri" dagli storiografi che ne hanno cantato solo le gesta eroiche. E così spazio a tradimenti, processi sommari, accuse di spionaggio, fango puro nei confronti di questo o quel partigiano "scomodo", come nel caso di Dante Facio Castellucci. Pagine truci, come scontri a fuoco scatenati dai comunisti "che intendevano mantenere una supremazia numerica e politica su ogni altra forza", come spiega un militare di rango britannico.
Vicende molto comuni in Emilia e in Romagna, cuore dei partigiani rossi, che non esitarono a venire a patti strategici con i nazisti per eliminare i partigiani "rivali".



BELLA GENTE I PARTIGIANI SI ELIMINAVANO COME BANDE RIVALI SONO PROPRIO PARTI............TI DI CERVELLO.
 
Esecuzioni, torture, stupri Le crudeltà dei partigiani

La Resistenza mirava alla dittatura comunista.
Le atrocità in nome di Stalin non sono diverse dalle efferatezze fasciste. Anche se qualcuno ancora lo nega

Giampaolo Pansa - Dom, 07/10/2012 - 12:05





commenta

C’è da scommettere che il nuovo libro di Giampaolo Pansa, La guerra sporca dei partigiani e dei fascisti (Rizzoli, pagg. 446, euro 19,50; in libreria dal 10 ottobre), farà infuriare le vestali della Resistenza. Mai in maniera così netta come nell’introduzione al volume (di cui per gentile concessione pubblichiamo un estratto) i crimini partigiani sono equiparati a quelli dei fascisti.
att_856100


Giampaolo Pansa imbastisce un romanzo che, sull’esempio delle sue opere più note,racconta la guerra civile in chiave revisionista, sottolineando le storie dei vinti e i soprusi dei presunti liberatori, i partigiani comunisti in realtà desiderosi di sostituire una dittatura con un’altra, la loro.

Tanto i partigiani comunisti che i miliziani fascisti combattevano per la bandiera di due dittature, una rossa e l'altra nera. Le loro ideologie erano entrambe autoritarie. E li spingevano a fanatismi opposti, uguali pur essendo contrari. Ma prima ancora delle loro fedeltà politiche venivano i comportamenti tenuti giorno per giorno nel grande incendio della guerra civile. Era un tipo di conflitto che escludeva la pietà e rendeva fatale qualunque violenza, anche la più atroce. Pure i partigiani avevano ucciso persone innocenti e inermi sulla base di semplici sospetti, spesso infondati, o sotto la spinta di un cieco odio ideologico. Avevano provocato le rappresaglie dei tedeschi, sparando e poi fuggendo. Avevano torturato i fascisti catturati prima di sopprimerli. E quando si trattava di donne, si erano concessi il lusso di tutte le soldataglie: lo stupro, spesso di gruppo.
A conti fatti, anche la Resistenza si era macchiata di orrori. Quelli che il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ricorderà nel suo primo messaggio al Parlamento, il 16 maggio 2006, con tre parole senza scampo: «Zone d'ombra, eccessi, aberrazioni». Un'eredità pesante, tenuta nascosta per decenni da un insieme di complicità. L'opportunismo politico che imponeva di esaltare sempre e comunque la lotta partigiana. Il predominio culturale e organizzativo del Pci, regista di un'operazione al tempo stesso retorica e bugiarda. La passività degli altri partiti antifascisti, timorosi di scontrarsi con la poderosa macchina comunista, la sua propaganda, la sua energia nel replicare colpo su colpo.
Soltanto una piccola frazione della classe dirigente italiana si è posta il problema di capire che cosa si nascondeva dietro il sipario di una storia contraffatta della nostra guerra civile. E ha iniziato a farsi delle domande a proposito del protagonista assoluto della Resistenza: i comunisti. Ancora oggi, nel 2012, qualcuno si affanna a dimostrare che a scendere in campo contro tedeschi e fascisti e stato un complesso di forze che comprendeva pure soggetti moderati: militari, cattolici, liberali, persino figure anticomuniste come Edgardo Sogno. È vero: c'erano anche loro nel blocco del Corpo volontari della liberta. Ma si e trattato sempre di minoranze, a volte di piccole schegge. Impotenti a contrastare la voglia di egemonia del Pci e i comportamenti che ne derivavano. Del resto, i comunisti perseguivano un disegno preciso e potente che si è manifestato subito, quando ancora la Resistenza muoveva i primi passi. Volevano essere la forza numero uno della guerra di liberazione. Un conflitto che per loro rappresentava soltanto il primo tempo di un passaggio storico: fare dell'Italia uscita dalla guerra una democrazia popolare schierata con l'Unione Sovietica.
Dopo il 25 aprile 1945 le domande sulle vere intenzioni dei comunisti italiani si sono moltiplicate, diventando sempre più allarmate. Mi riferisco ad aree ristrette dell'opinione pubblica antifascista. La grande maggioranza della popolazione si preoccupava soltanto di sopravvivere. Con l'obiettivo di ritornare a un'esistenza normale, trovare un lavoro e conquistare un minimo di benessere. Piccoli tesori perduti nei cinque anni di guerra. Ma le élite si chiedevano anche dell'altro. Sospinte dal timore che il dopoguerra italiano avesse un regista e un attore senza concorrenti, si interrogavano sul futuro dell'Italia appena liberata. Sarebbe divenuta una democrazia parlamentare oppure il suo destino era di subire una seconda guerra civile scatenata dai comunisti, per poi cadere nelle grinfie di un regime staliniano?
Era una paura fondata su quel che si sapeva della guerra civile spagnola. Nel 1945 non era molto, ma quanto si conosceva bastava a far emergere prospettive inquietanti. Anche in Spagna era esistita una coalizione di forze politiche a sostegno della repubblica aggredita dal nazionalismo fascista del generale Francisco Franco. Ma i comunisti iberici, affiancati, sostenuti e incoraggiati dai consiglieri sovietici inviati da Stalin in quell'area di guerra, avevano subito cercato di prevalere sull'insieme dei partiti repubblicani, raccolti nel Fronte popolare. A poco a poco era emerso un inferno di illegalità spaventose. Arresti arbitrari. Tribunali segreti. Delitti politici brutali. Carceri clandestine dove i detenuti venivano torturati e poi fatti sparire. Assassinii destinati ad annientare alleati considerati nemici. Il più clamoroso fu il sequestro e la scomparsa di Andreu Nin, il leader del Poum, il Partito operaio di unificazione marxista. Il Poum era un piccolo partito nel quale militava anche George Orwell, lo scrittore inglese poi diventato famoso per Omaggio alla Catalogna, La fattoria degli animali e 1984. Orwell aveva 34 anni, era molto alto, magrissimo, sgraziato, con una faccia da cavallo. Era arrivato a Barcellona da Londra alla fine del 1936. Una fotografia lo ritrae al fondo di una piccola colonna di miliziani del Poum. Una cinquantina di uomini, preceduti da un bandierone rosso con la falce e martello, la sigla del partito e la scritta «Caserma Lenin», la base dell'addestramento.
Orwell stava sul fronte di Huesca quando i comunisti e i servizi segreti sovietici decisero la fine del Poum. Lo consideravano legato a Lev Davidovic Trotsky, il capo bolscevico diventato nemico di Stalin. In realta era soltanto un gruppuscolo antistaliniano con 10 mila iscritti. L'operazione per distruggerlo venne ordita e condotta da Aleksandr Orlov, il nuovo console generale dell'Urss a Barcellona, ma di fatto il capo della filiale spagnola del Nkvd, la polizia segreta sovietica. Nel giugno 1937, un decreto del governo repubblicano guidato dal socialista di destra Juan Negrin, succube dei comunisti, dichiaro fuori legge il Poum, sospettato a torto di cospirare con i nazionalisti di Franco. Tutti i dirigenti furono imprigionati. Se qualcuno non veniva rintracciato, toccava alla moglie finire in carcere. Gli arrestati si trovarono nelle mani del Nkvd che li rinchiuse in una prigione segreta, una chiesa sconsacrata di Madrid. Interrogato e torturato per quattro giorni, Nin rifiuto di firmare l'accusa assurda che gli veniva rivolta: l'aver comunicato via radio al nemico nazionalista gli obiettivi da colpire con l'artiglieria. Gli sgherri di Orlov lo trasportarono in una villa fuori città. Qui misero in scena una finzione grottesca: la liberazione di Nin per opera di un commando di agenti della Gestapo nazista, incaricati da Hitler di salvare il leader del Poum. Ma si trattava soltanto di miliziani tedeschi di una Brigata internazionale, al servizio di Orlov. Nin scomparve, ucciso di nascosto e sepolto in un luogo rimasto segreto per sempre. E come lui, tutti i suoi seguaci svanirono nel nulla. Quanto accadeva in Spagna fu determinante per la svolta ideologica di uno scrittore americano di sinistra, John Dos Passos. Scrisse: «Ciò che vidi mi provoco una totale disillusione rispetto al comunismo e all'Unione Sovietica. Il governo di Mosca dirigeva in Spagna delle bande di assassini che ammazzavano senza pietà chiunque ostacolasse il cammino dei comunisti. Poi infangavano la reputazione delle loro vittime con una serie di calunnie». Le stesse infamie, sia pure su scala ridotta, vennero commesse in Italia da bande armate del Pci, durante e dopo la guerra civile.
C'è da scommettere che il nuovo libro di Giampaolo Pansa, La guerra sporca dei partigiani e dei fascisti (Rizzoli, pagg. 446, euro 19,50; in libreria dal 10 ottobre), farà infuriare le vestali della Resistenza. Mai in maniera così netta come nell'introduzione al volume (di cui per gentile concessione pubblichiamo un estratto) i crimini partigiani sono equiparati a quelli dei fascisti. Giampaolo Pansa imbastisce un romanzo che, sull'esempio delle sue opere più note, racconta la guerra civile in chiave revisionista, sottolineando le storie dei vinti e i soprusi dei presunti liberatori, i partigiani comunisti in realtà desiderosi di sostituire una dittatura con un'altra, la loro.
 

Ultima estrazione Lotto

  • Estrazione del lotto
    martedì 12 agosto 2025
    Bari
    24
    68
    73
    16
    76
    Cagliari
    78
    24
    82
    32
    90
    Firenze
    39
    46
    21
    45
    28
    Genova
    50
    03
    21
    64
    09
    Milano
    85
    44
    38
    43
    34
    Napoli
    12
    16
    56
    61
    03
    Palermo
    75
    64
    34
    25
    28
    Roma
    55
    29
    43
    06
    64
    Torino
    38
    60
    90
    53
    82
    Venezia
    12
    75
    34
    67
    77
    Nazionale
    70
    17
    25
    41
    57
    Estrazione Simbolotto
    Nazionale
    25
    28
    19
    34
    36

Ultimi Messaggi

Indietro
Alto