<center>Tutti vogliono avere un amico, nessuno si occupa d'essere un amico.
A. Karr</center>
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http://www.youtube.com/watch?v=L3jN2N6t3uw</center>
<center>«La mia paura più grande non è la malattia, ma restare sola»
La sfida della bocconiana malata di Aids
«Mia madre non sa, mi curo in segreto» Il caso che scuote Milano.
«Attenti, potrei essere la figlia di chiunque di voi»
MILANO - «Ho 21 anni e sono sieropositiva».
Lo sguardo è fisso su una tazzina di caffè che rigira tra le mani in un bar di via San Marco, nel centro di Milano: piange,
ma non vuole stare più zitta lei, coraggiosa studentessa milanese al secondo anno dell’Università Bocconi,
una storia d’amore (e di fedeltà) durata quattro anni con un uomo di dieci in più,
la scoperta di essere ammalata di Hiv dopo aver fatto il test a 18 anni spinta dal desiderio di donare il sangue.
I genitori non immaginano nulla e probabilmente mai sapranno, all’ultimo fidanzato l’ha confessato una settimana dopo il primo bacio:
«Lui è rimasto, al contrario di altri che comprensibilmente sono scappati».
Sofia (il nome è di fantasia per rispetto della privacy) lo scorso 4 gennaio ha scritto al Corriere un’email che ha scosso Milano,
una città con 22 mila sieropositivi in cura
(sui 60 mila a livello italiano) e due nuovi contagi al giorno da Hiv (la stessa incidenza di New York).
«Io non sono una drogata, né una dai facili costumi, né una persona sessualmente ambigua; io sono una ragazza
normale che è stata per quattro anni con lo stesso ragazzo, che non lo ha mai tradito, al suo contrario (...).
Vorrei tanto che la gente acquisisse consapevolezza e che comprendesse che l’Aids non è poi tanto lontano da ognuno di noi. (...)
Il prossimo caso di Hiv potrebbe essere vostro figlio, vostro marito o anche vostra moglie. Ognuno può fare la differenza!».
In poche ore la sua lettera ha scatenato centinaia di risposte al forum del Corriere.
Parole di solidarietà, in bocca al lupo, ringraziamenti per il suo coraggio che spinge tutti a riflettere, inviti a mangiare la pizza, esortazioni — anche da chi è costretto a vivere la stessa esperienza— a non rinunciare né ai figli, né alla carriera.
La decisione di rompere il muro di silenzio intorno all’Aids, Sofia l’ha presa dopo uno scontro con la sua migliore amica che, conosciuto da poco un giovane, ha avuto rapporti sessuali non protetti:
«Ma come, neppure tu che sei al corrente della mia storia usi il preservativo?».
La replica della coetanea: «Ma lui non ha la faccia di uno con l’Hiv». Maledetta stupidità!
E, allora, al diavolo la paura di parlare dell’argomento. In jeans, scarpe da tennis, camicia azzurra e pullover sotto un piumino all’ultima moda, Sofia racconta: «Ogni giorno per me è difficile trovare una ragione di vita.
Se ci fosse stata più informazione io, forse, oggi non sarei in questa situazione».
Quella mattina del maggio 2007, da poco 18enne, Sofia non se la dimenticherà mai.
«Ero andata a ritirare il test dell’Hiv insieme con la mia compagna di banco del liceo - dice.
Lei era vergine, io avevo una storia ormai collaudata: entrambe c’eravamo sottoposte all’esame quasi per gioco dopo che i medici dell’ospedale Sacco erano venuti a scuola per una lezione di prevenzione».
Il primo brivido le ha percorso la schiena quando, al contrario della sua amica, per consegnarle la busta con i risultati dell’esame l’hanno chiamata da parte.
Le ore, i giorni, i mesi che seguono sono scanditi da notti insonni con la faccia sprofondata nel cuscino per soffocare il pianto, le visite al Sacco, le due pastiglie da prendere ogni giorno nascoste nel cassetto del comodino e lo spazzolino da denti che improvvisamente viene custodito con scrupolo, il tira-e-molla per un anno con il fidanzato storico