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cerchio di fuoco

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Lo chiamano il “cerchio di fuoco”, e l’Italia è vicina: ecco di cosa si tratta


Il sisma in Turchia e Siria di febbraio 2023 potrebbe essere uno dei più mortali del decennio. La scossa iniziale ha avuto una magnitudo di 7,8 seguita da più scosse di assestamento. Sebbene paesi come il Giappone e la California siano famosi per i terremoti, la Turchia e la Siria si trovano all’interno di un’area sismicamente attiva dove convergono tre placche tettoniche. Sebbene non sia possibile prevedere esattamente dove e quando i terremoti si verificheranno, si sa che gli eventi peggiori si presenteranno lungo i confini della placca terrestre. Queste aree vengono chiamate “il cerchio di fuoco”, ovvero sono i territori dove si verificano forti sismi che provocano numerose vittime.

L’Italia vicina al “cerchio di fuoco”

Dopo aver visto i Paesi dove si vive più a lungo, ora vediamo quelli con il più alto rischio sismico. Vicino al cosiddetto “cerchio di fuoco” c’è anche l’Italia che confina con l’area. Quasi tutta la penisola, ma soprattutto la parte meridionale, si trova vicino alla linea tra la placca eurasiatica e quella africana che si sfregano l’una contro l’altra. L’Appennino, noto come la spina dorsale geologica d’Italia, corre da nord a sud del paese e contiene diverse linee di faglia, dove si uniscono due placche tettoniche. Queste zone sono identificate come altamente sismiche, basti ricordare i più recenti episodi come il terremoto de L’Aquila, quello di Amatrice o quello di Modena.
(Guarda anche: Esiste una casa che sembra galleggiare nel nulla)

Terremoti: i Paesi più a rischio

Tra gli altri Paesi a forte rischio sismico c’è la Turchia, che si trova su importanti faglie che delimitano tre diverse placche tettoniche: anatolica, araba e africana. Nel vero e proprio cerchio di fuoco, che si trova all’incirca intorno al bordo dell’Oceano Pacifico, ci sono Stati Uniti, in particolare la California, il Messico occidentale e l’America centrale, il Sud America occidentale tra cui Perù, la Nuova Zelanda e il Giappone: tutte nazioni colpite da devastanti eventi sismici. Per esempio, la California è soggetta a terremoti perché si trova sulla faglia di Sant’Andrea, dove due placche tettoniche si uniscono. Sul lato opposto dell’anello c’è il Giappone con l’isola Honshu che si trova all’intersezione tra tre placche tettoniche: eurasiatica, filippina e nordamericana. La Nuova Zelanda è al confine tra due placche tettoniche, la placca australiana e la placca pacifica. La Cina non fa proprio parte dell’Anello di Fuoco, ma si trova in un’area in cui si incontrano la placca del Pacifico, la placca indiana e la placca filippina. Un territorio all’interno del cerchio di fuoco è l’Indonesia dove si ricorda il fortissimo terremoto di magnitudo 9.1 del 2004.



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Due scatole di pasta da 2 dollari hanno portato a una possibile class action che, secondo gli esperti legali, potrebbe costare a Barilla milioni di dollari. Una coppia di acquirenti di pasta, Matthew Sinatro e Jessica Prost, ha citato in giudizio l’azienda dicendosi convinta che la sua pasta fosse prodotta in Italia. Le scatole riportano lo slogan «Il marchio di pasta n. 1 in Italia» e dei loghi con i colori della bandiera italiana. Ma la pasta è fatta negli stati di Iowa e New York.

Sinatro e Prost sostengono che non l’avrebbero acquistata se avessero saputo che non era prodotta in Italia, origine apprezzata non solo per la creazione della pasta ma anche per la disponibilità di grano duro ad alto contenuto proteico necessario per la realizzazione di un prodotto di qualità.


La giudice federale Donna Ryu ha stabilito lunedì che ci siano le basi per portare avanti la causa: «Le accuse sono sufficienti a stabilire la sostenibilità costituzionale di un danno economico».

Barilla ha la sua sede statunitense in Illinois ma nasce come rivenditore di pane e pasta a Parma, in Italia. Le strutture in Iowa e New York utilizzerebbero ingredienti provenienti da paesi diversi dall’Italia, secondo quanto dichiarato nei documenti depositati in tribunale. Lo studio legale californiano che ha intentato la causa non ha risposto immediatamente alle richieste di commento del Washington Post.
 

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