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L'Italia ha ben 90 bombe nucleari: dove si trovano e perché ne abbiamo così tante

Ecco perché ospitiamo 90 bombe atomiche e quali sono le basi coinvolte in questo delicato equilibrio geopolitico

SE SCOPPIA UNA GUERRA ADDIO ITALIA-
Pubblicato: 11 Dicembre 2024

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Stefania Cicirello

Stefania Cicirello​

Content Specialist​


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L’Italia ospita circa 90 bombe nucleari, distribuite in due basi militari: Ghedi, in Lombardia, e Aviano, in Friuli-Venezia Giulia. Ma perché il nostro Paese detiene un arsenale così imponente nonostante non sia una potenza nucleare? Questa domanda ci porta a riflettere sul ruolo strategico che l’Italia riveste all’interno dell’Alleanza Atlantica e sulle implicazioni di una simile responsabilità.

Le basi italiane: Ghedi e Aviano

Secondo quanto riportato da Telatrovoio, queste armi non appartengono tecnicamente all’Italia ma agli Stati Uniti, che le mantengono sotto il programma di condivisione nucleare della NATO. Questo accordo consente ad alcuni Paesi membri, pur non possedendo un arsenale nucleare proprio, di ospitare ordigni atomici sul proprio territorio. L’obiettivo principale è rafforzare il deterrente nucleare dell’Alleanza, garantendo una maggiore sicurezza collettiva.

Le bombe nucleari sono conservate in due basi aeree. La base di Aviano, gestita direttamente dagli Stati Uniti, ospita una parte importante di questo arsenale. Si tratta di una struttura militare con personale prevalentemente americano, che svolge un ruolo cruciale nelle operazioni NATO. Le bombe presenti qui sono del tipo B61, ordigni progettati per essere trasportati da caccia-bombardieri e utilizzabili in caso di estrema necessità.




La seconda base, Ghedi, si trova sotto la gestione congiunta delle Forze Armate italiane e americane. Qui le bombe sono destinate ai caccia Tornado italiani, che, in caso di conflitto, potrebbero essere utilizzati per missioni di attacco nucleare. Va sottolineato che questa situazione impone all’Italia non solo un impegno logistico ma anche un ruolo operativo, pur sempre sotto il comando della NATO.

Perché così tante bombe?

La presenza di ben 90 ordigni nucleari sul territorio italiano deriva da ragioni sia storiche che strategiche. Durante la Guerra Fredda, l’Italia rappresentava un avamposto cruciale per contenere la minaccia sovietica, trovandosi in una posizione geografica strategica nel Mediterraneo. Questo ruolo si è mantenuto anche dopo il crollo dell’Unione Sovietica, in un contesto internazionale in cui la deterrenza nucleare rimane una componente chiave delle politiche di sicurezza occidentali.

Un’altra spiegazione è legata alla volontà degli Stati Uniti di mantenere una rete di basi strategiche in Europa. L’Italia, per la sua posizione geografica e per i suoi stretti legami con Washington, è uno dei Paesi europei più adatti a ospitare queste infrastrutture. Inoltre, la presenza di un alto numero di bombe nucleari aumenta la capacità della NATO di rispondere a potenziali minacce in tempi rapidi.

Le implicazioni per l’Italia

Essere uno dei Paesi europei a ospitare armi nucleari comporta una serie di responsabilità e rischi. Da un lato, la presenza di questi ordigni rafforza il ruolo dell’Italia all’interno della NATO, garantendo un posto di rilievo nelle decisioni strategiche dell’Alleanza. Dall’altro, espone il territorio nazionale a potenziali rischi, rendendolo un obiettivo prioritario in caso di conflitto.

Inoltre, questa situazione solleva questioni etiche e politiche. Il Trattato di Non Proliferazione Nucleare (TNP), a cui l’Italia aderisce, prevede il disarmo progressivo delle armi nucleari. Tuttavia, la condivisione nucleare della NATO sembra andare in una direzione opposta, mantenendo attivo un arsenale di deterrenza.

La presenza di 90 bombe nucleari in Italia è il risultato di accordi internazionali e di una strategia geopolitica che vede il nostro Paese al centro delle dinamiche di sicurezza euro-atlantiche. Tuttavia, questo ruolo comporta anche rischi e responsabilità non trascurabili. Resta da vedere se, in un futuro segnato da crescenti tensioni globali, questa politica di deterrenza nucleare rimarrà invariata o se ci saranno cambiamenti.

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Avellino, esce da due mesi di coma e si ritrova iscritto al Pd. La moglie: “Non è il solo caso”

Avellino, esce da due mesi di coma e si ritrova iscritto al Pd. La moglie: “Non è il solo caso”

"Non so chi abbia firmato o pagato la quota della tessera, ma qualcuno ha usato i suoi dati", denuncia la donna

di F. Q. |
18 Dicembre 2024
Uscire da mesi di coma in ospedale e ritrovarsi iscritti al Partito democratico. È successo a un uomo residente a San Martino Valle Caudina, in provincia di Avellino: a denunciare il caso è stata la moglie, scoprendo per caso che il marito risultava tesserato in una data in cui non avrebbe mai potuto farlo, in quanto ricoverato in condizioni gravi. A riportare la vicenda è la Gazzetta del Mezzogiorno. Non è la prima volta che si verificano episodi del genere: già nel novembre 2021, sotto la segreteria di Enrico Letta, il Pd aveva sospeso oltre 2.500 richieste di adesione nella Federazione di Avellino, riscontrando “una serie di anomalie nel tesseramento sulla piattaforma online”.

“Mio marito non ha potuto firmare la tessera Pd perché, nella fase del tesseramento, era ricoverato in ospedale”, racconta la donna alla Gazzetta. “È stato due mesi in coma per un attacco cerebrale e poi trasferito in una clinica riabilitativa. Non so chi abbia firmato o pagato la quota della tessera, ma qualcuno, per tornaconto politico, ha usato i suoi dati. Quando l’ho scoperto, ho chiesto spiegazioni al segretario del circolo Pd. Mi ha confermato che mio marito risultava tesserato, dicendomi prima che il nome era stato segnalato dal sindaco, salvo poi ritrattare e affermare che i nomi erano stati ripresi da vecchie liste senza alcuna volontà esplicita. Alla fine mi hanno proposto di chiudere la vicenda con una telefonata amicale di scuse,
ma io non so che farmene delle scuse: hanno invaso la nostra sfera privata”, denuncia.

Ci siamo sentiti usati. Pensavano di avere campo libero perché mio marito non poteva opporsi e perché, essendo io straniera, credevano che non mi sarei interessata alla questione. Ma non è così. Ho chiesto chiarezza per difendere la libertà di espressione di mio marito, ma ancora oggi non ho ricevuto risposte”, racconta ancora la moglie. Che è sicura: “Quello di mio marito non è un caso isolato. Anche una mia amica è stata iscritta assieme ai suoi due fratelli, a sua insaputa. E non solo. Credo che ormai siamo alla frutta, perché per interesse politico non ci si ferma nemmeno di fronte alle difficoltà gravi di una famiglia”.
 
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