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Frate Indovino

SANT’ANGELA MERICI vergine, fondatrice
Angela nacque a Desenzano del Garda da una famiglia di piccoli proprietari terrieri. Non ebbe grande istruzione, ma una ricca formazione religiosa. Rimase orfana dei genitori e perse i tre fratelli maggiori, così con la sorella dovette abbandonare il suo mondo protetto e trasferirsi in città. Qui, nel pieno del Rinascimento, la vita era cambiata e molte erano le distrazioni per l’uomo. Angela avvicinò la povertà materiale, morale e spirituale: vite sopraffatte dalla passione e dal gioco, nella società civile, come nella Chiesa. In questo quadro, Angela conduceva una esistenza ritirata e di preghiera: si consacrò a Dio ed entrò a far parte del Terz’Ordine francescano. Un giorno, ebbe una visione in cui le appariva una schiera di angeli e di vergini che salivano e scendevano dal cielo, suonando e cantando in coro. Le si fermò davanti una delle sorelle morte che le predisse che Dio voleva che Angela istituisse una Compagnia di vergini. Ed ella accolse l’invito, preoccupata per le donne del tempo destinate in troppi casi al degrado e all’emarginazione. La nuova “Compagnia delle vergini”, Angela la dedicò alla santa che ispirava la sua vita spirituale: sant’Orsola. La Regola che Angela dettò aveva come fine quello che le Orsoline dovevano santificare sé stesse per santificare la famiglia. Le suore Orsoline restavano nel mondo e vivevano in famiglia, per potersi dedicare con maggiore affabilità alle opere di bene, prima fra le quali era quella di educare le giovani. Importante per la Regola, moderna e di facile adattabilità ai diversi tempi, era che le compagne rimanessero sempre unite e concordi contro le avversità e le persecuzioni.FB_IMG_1674804739877.jpg
 
SAN TOMMASO D’AQUINO dottore
Tommaso nacque nel 1225 a Roccasecca, ultimo figlio dei conti d’Aquino, era destinato alla vita ecclesiastica. Infatti, ancora bambino venne offerto come oblato al monastero di Montecassino. Durante i suoi studi condotti a Napoli, conobbe i frati Predicatori dell’Ordine di san Domenico e rimase attratto da quello che considerò un ideale insuperabile di vita. Presto vestì l’abito di quell’Ordine mendicante, povero, privo di sicurezze e della protezione del chiostro, il cui scopo era insegnare e predicare al popolo. Alla scuola di sant’Alberto Magno, che ne comprese la levatura e l’acume di pensiero, imparò a essere teologo. Per Tommaso, il teologo era colui che ricercava Dio, sostanza e passione, principio e fine della “sacra dottrina”. La sua ricerca di Dio sarà continua, con l’intento di scorgerlo nelle realtà create, e di avvicinarglisi con l’intelletto e con l’amore. Anche se Dio è sempre più in là dell’uomo e bisogna tener presente che la conoscenza umana ha i suoi limiti. Si dedicò quasi totalmente allo studio della dottrina con profonda riflessione e contemplazione, producendo opere che hanno portato luce nella Chiesa. Egli fu proclamato Dottore della Chiesa con l’alto attributo di Dottore angelico.FB_IMG_1674890190333.jpg
 
SANTA GIACINTA MARESCOTTI clarissa
Giacinta nacque a Vignanello nel 1585, dal conte Marcantonio Marescotti e Ottavia Orsini e fu battezzata col nome di Clarice. Aveva quattro fratelli e la primogenita, Ginevra, entrò nel convento delle clarisse a Viterbo per assecondare il volere paterno. Giacinta, a sua volta, vi entrò quando aveva vent’anni, ma fu quindici anni dopo che, a causa di una malattia, si aprì a una conversione assoluta e totale. Desiderosa di vivere le sofferenze di Cristo nella Passione, si sottopose a durissime mortificazioni e penitenze; sebbene in clausura si dedicò ugualmente ai poveri, ai sofferenti e ai carcerati. Propagò l’amore all’eucaristia e alle sue pie pratiche: la sua intercessione ottenne la conversione di molti peccatori, che concretizzarono la sua opera di carità fondando pie istituzioni, dedite all’assistenza degli infermi e alla cura degli anziani, a cui la santa dettò regole e costituzioni. Volle che su tutti gli oggetti da lei usati fosse impressa l’immagine della Vergine. Giacinta ebbe il dono della profezia e della “scrutazione dei cuori”; manifestò il fenomeno dell’imponderabilità del corpo; inoltre, trascorse la fine della vita in uno stato di estasi abituale.FB_IMG_1675061771642.jpg
 
SAN GIOVANNI BOSCO sacerdote
Giovanni nacque nel 1815, in una modesta cascina della provincia di Asti. Figlio di contadini, perse presto il padre e fu la madre a lavorare nei campi con grande sacrificio, per assicurare il sostentamento alla famiglia e permettere a Giovanni di studiare. Egli seguì la vocazione sacerdotale fin da giovane e cominciò a occuparsi dei ragazzi, facendoli giocare, ma - al contempo - attirandoli alla preghiera. Un giorno, gli si illuminò la strada della sua missione che tanto desiderava realizzare: essere fra i giovani, come sacerdote, e insegnare loro a conoscere la dottrina cattolica, ad amare il Signore e la Madonna, per raggiungere la salvezza dell’anima. Gli si presentarono dei ragazzi poveri e indifesi, che mise insieme e a cui diede l’opportunità di istruirsi e crescere grazie all’Oratorio. Don Bosco, spinto da grande zelo e animato dalla carità verso il prossimo voleva salvare le anime. Con questo fine, si prodigò per i ragazzi raccolti per strada, li sfamò e insegnò loro un mestiere. Stava nascendo il nuovo mondo industriale e Giovanni capì che la gioventù doveva essere preparata alla vita moralmente e professionalmente. Così si occupò di scuola e fondò laboratori, cioè le prime scuole professionali, dalle quali dovevano uscire operai onesti e capaci. Un’opera che pose sotto la protezione di san Francesco di Sales, da cui il nome “Salesiani”, che proliferò anche in altri Paesi. Per i ragazzi, egli sopportò la fatica e le persecuzioni dei sospettosi. Gli elementi della spiritualità di don Bosco sono il lavoro continuo e la temperanza che manifestava nella dolcezza, nella clemenza, nell’umiltà, nell’allegria.FB_IMG_1675148592843.jpg
 
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PRESENTAZIONE DEL SIGNORE
Oggi, si celebra il ricordo del momento in cui la Sacra Famiglia, rispettando la legge, si presentò al Tempio di Gerusalemme, dopo quaranta giorni dalla nascita di Gesù, per offrire il primogenito e compiere il rito della purificazione di Maria. Non erano obbligati a sottoporsi a questo atto di obbedienza, ma Gesù e Maria non si sottrassero, compiendo un gesto di umiltà, che è per noi una testimonianza. L'incontro con Simeone e Anna, nel Tempio, fu importante, perché si poté comprendere da subito la comunione personale di Maria col sacrificio di Cristo. Simeone, con la sua profezia, le preannunciò quella sofferenza che dovette patire. Egli le disse: "Una spada ti trafiggerà l'anima" (Lc 2,35). Maria, grazie alla sua intima unione con la persona di Cristo, viene associata al sacrificio del Figlio. Questa festa ha origini antiche. A Roma, in questo giorno era dichiarata festa in tutto l’Impero. Papa Sergio I (687-701) istituì la più antica delle processioni penitenziali romane, che partiva dalla chiesa di Sant’Adriano fino a Santa Maria Maggiore. Il rito della benedizione delle candele si ispira alle parole di Simeone: "I miei occhi han visto la tua salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli, luce per illuminare le genti" (Lc 2,30-32). Questo significativo rito le ha dato il nome popolare di festa della "Candelora".FB_IMG_1675317330891.jpg
 
SAN BIAGIO vescovo
Non si conosce molto della vita di san Biagio. Egli fu medico e vescovo di Sebaste, nell’odierna Anatolia, tra il III e IV secolo. Era il periodo in cui l’Impero romano riconobbe la libertà di culto ai cristiani, ma Licinio, che governava l’Oriente, procedette alle persecuzioni. Sembra che il vescovo Biagio si nascose in una grotta sui monti, nutrito dagli animali che gli facevano visita. Scoperto fu processato, gli furono strappate le carni e, poi, fu condannato alla decapitazione. Molti furono i prodigi che compì anche durante la prigionia: salvò miracolosamente un bambino che stava morendo a causa di una lisca conficcata in gola. Per questo, egli è considerato protettore dei “mali di gola”. Inoltre, san Biagio è uno dei santi ausiliatori, cioè un santo invocato per la guarigione di mali particolari. Ed è tradizione, durante la celebrazione della messa per la sua memoria, impartire da parte del sacerdote, una speciale benedizione alle “gole” dei fedeli, con due candele benedette messe a croce.FB_IMG_1675403422726.jpg
 
SAN GIUSEPPE DA LEONESSA cappuccino
Eufranio Desideri nasce a Leonessa, nel Reatino, l'8 gennaio 1556, da una famiglia ricca e appartenente alla nobiltà del paese. I genitori, Giovanni Desideri e Francesca Paolini, muoiono a poca distanza l’uno dall’altro, quando lui ha 12 anni. Eufranio fu così accolto da uno zio paterno, a Viterbo, che ne curò l’educazione religiosa e culturale. Ammalatosi, ritornò a Leonessa dove cominciò a frequentare il convento dei Cappuccini, allora sotto la giurisdizione canonica della Provincia dei Frati Cappuccini dell’Umbria, maturando la volontà di entrare nell’Ordine. A sedici anni, nel 1572, veste l’abito cappuccino nel noviziato delle “Carcerelle” di Assisi e l’anno seguente, a diciassette anni, fa la professione religiosa e prende il nome di fra’ Giuseppe. Prosegue gli studi teologici e viene ordinato sacerdote. Ricevuta, nel 1581, la “patente” di predicatore inizia a evangelizzare i poveri delle campagne dell’Italia centrale. Ma in cuor suo accarezzava il desiderio di andare missionario tra gli infedeli. Nel 1587, finalmente, fu inviato missionario a Costantinopoli. Gli fu affidata, in modo particolare, la cura dei numerosi cristiani tenuti prigionieri dai Turchi. Fra’ Giuseppe, però, ardente di spirito missionario, vuole annunciare il Vangelo e pensa di rivolgersi personalmente al Sultano dell’Impero Ottomano, Murad III. Nel tentativo di entrare nel Palazzo del Sultano, per parlargli, fu arrestato e condannato alla pena del gancio. Per tre giorni lo sospesero, con un uncino alla mano destra e uno al piede, a una trave alta su di un fuoco acceso. Salvato miracolosamente, dopo tre giorni fu liberato ed espulso dal paese. Ritornò in Italia, dove riprese la sua predicazione itinerante attraverso i paesini e le campagne del Lazio, dell'Abruzzo e dell'Umbria. La sua era una predicazione di carattere popolare, con forti risvolti di giustizia sociale. Nei poveri, fra’ Giuseppe vedeva Gesù e per loro fondò Monti Frumentari e Monti di Pietà, ospizi per i viandanti e i pellegrini e piccoli ospedali per gli ammalati. Assisteva spiritualmente i condannati a morte e cercava, anche a rischio della propria vita, di porre fine alle faide familiari. Trascorse gli ultimi giorni della sua vita, sfinito dalle fatiche e logorato dalle penitenze, nel convento di Amatrice dove, a 56 anni, incontrò sorella morte.
È il compatrono della Provincia dei Frati Minori Cappuccini dell’Umbria.0FB_IMG_1675494590524.jpg
 
SANT’AGATA vergine martire
Durante la persecuzione, il governatore Quinziano si accanì contro Agata, vergine catanese e per corromperla la consegnò a una meretrice, ma ella non si piegò. Le fece allora strappare una mammella e incarcerare, ordinando che nessuno la curasse. Nella cella le apparvero un vecchio e un bambino con un lume, san Pietro con un angelo: Agata acconsentì di essere curata dal santo. Quinziano, in seguito, la fece martirizzare su croci chiodate e carboni ardenti e, mentre accadeva ciò, Catania fu scossa da un terremoto, ma Quinziano fece incarcerare la fanciulla e fuggì, finendo morto annegato nel Simeto. Agata, invece, morì in carcere per le ferite. Un angelo pose accanto alla sua tomba una tavoletta con su scritto le iniziali: “M.S.S.H.D.E.P.L.”, cioè “Una mente santa e spontanea, onore a Dio e liberazione della patria”.FB_IMG_1675583898185.jpg
 
SAN PAOLO MIKI E COMPAGNI martiri
Paolo apparteneva al gruppo dei primi convertiti giapponesi, frutto dell’evangelizzazione nel lontano Giappone, in cui operò il grande san Francesco Saverio. Dopo Francesco Saverio, l’incredibile opera venne continuata dai suoi confratelli della Compagnia di Gesù, in un ambiente difficile se si considera la mentalità così diversa dalla nostra e la difficile lingua giapponese. Ma, la semina portò abbondanti frutti e tra i convertiti vi era il giovane Paolo Miki, nato a Kyoto. Egli entrò presto in seminario e prese i voti solenni. Padre Miki, gesuita giapponese, fu un ottimo predicatore, dai sentimenti affettuosi, il migliore del proprio tempo. In Giappone, i missionari cristiani furono favoriti, nelle loro opere, da un atteggiamento di tolleranza, ma improvvisamente, per diversi motivi, lo shogun Hideyoshi decretò la loro espulsione. Alcuni tra i religiosi rimasero, nascondendosi e proseguendo l’opera di apostolato. L’arrivo di nuovi missionari, però, non piacque a Hideyoshi il quale ne decretò l’arresto. Paolo Miki venne catturato a Osaka insieme ad altri due compagni e trasferito in carcere, dove erano reclusi altri cristiani e missionari, tra cui due giovanissimi ragazzi. Furono torturati e i persecutori tentarono anche di far loro rinnegare la fede, ma nessuno abiurò. Infine, vennero messi a morte su una collina presso Nagasaki, chiamata oggi “la santa collina”. Furono legati sulle croci e vennero trafitti da lance che trapassarono il cuore. Paolo Miki, prima di morire, perdonò i propri carnefici.FB_IMG_1675662859446.jpg
 
SAN GIROLAMO EMILIANI fondatore
Girolamo nacque a Venezia da nobile famiglia. Da bambino sognava di diventare militare, infatti, a trent’anni era capitano della Repubblica di Venezia. Fu fatto prigioniero dai francesi durante l’assedio alla Fortezza di Castelnuovo di Quero e ridotto in catene. L’esperienza della prigionia lo cambiò profondamente: la fame, il dolore e la paura per la propria vita, agirono in Girolamo che pregò la Madonna, promettendo di convertirsi se gli avesse donato la libertà. Uscito di prigione, con l’aiuto di un sacerdote, lesse la Bibbia e nel suo cuore si fecero spazio una grande carità verso Dio e amore verso i poveri. Cominciò con il portare soccorso ai bisognosi e soprattutto agli orfani. Per questi ultimi costruì istituti di ricovero e organizzò scuole di mestieri e di catechismo. Il suo esempio attirò altri giovani che lo seguirono. Fondò così la Congregazione dei Chierici Regolari detti Somaschi, che fu poi elevata a Ordine religioso, il cui carisma era la devozione a Maria, venerata come “Mater orphanorum”.FB_IMG_1675835580987.jpg
 
BEATA VERGINE MARIA DI LOURDES
Era l’11 febbraio 1858, quando Bernadette Soubirous, di umili origini, uscì per andare a prendere legna con la sorella e un’amica. Giunte presso la grotta di Massabielle, dove scorre il fiume Gave, Bernadette sentì il rombo di un forte vento, ma gli alberi erano fermi. Poi, voltandosi verso la grotta, vide una figura bianchissima che aveva l’aspetto di una signora. Questa le indicò di avvicinarsi, ma la bambina turbata cominciò a recitare il rosario e la Signora con lei. Bernadette tornò i giorni successivi e rivide la Signora che, nella terza apparizione, le domandò di tornare lì per 15 giorni consecutivi e aggiunse: “Non vi prometto di essere felice in questo mondo, ma nell’altro”. Le raccomandò, anche, di chiedere ai sacerdoti di costruire una chiesa sul luogo delle apparizioni. E infatti, la fanciulla si rivolse al parroco, ma non venne creduta. Intanto, ella fu fedele all’appuntamento e, con lei, molte altre persone salirono alla grotta. La Signora invitò Bernadette a mangiare dell’erba, a fare dei gesti di penitenza e le ordinò di scavare, con le mani, sul lato sinistro della grotta. E lì, Bernadette trovò dell’acqua. La Signora le disse di bere, ella obbedì: portò l’acqua torbida alla bocca, si lavò e poi la bevve. Nell’ultima apparizione, la Signora sollevò le mani, le congiunse all’altezza del petto, levò gli occhi al cielo e disse: «Io sono l’Immacolata Concezione». Fu così che il parroco, che fino ad allora, insieme alle autorità civili si era opposto, credette che qualcosa di straordinario stava accadendo e credette a Bernadette. Sul posto, fu costruita una grande chiesa così come la Vergine aveva richiesto. Lourdes divenne il più celebre dei luoghi mariani. Fu istituito un ufficio speciale (le Bureau médical) per verificare scientificamente le guarigioni che iniziarono a verificarsi con l’uso dell’acqua zampillante. Tante sono anche le grazie che si ricevono per intercessione della Madonna di Lourdes e, ancora più sono le conversioni.FB_IMG_1676098793151.jpg
 
SAN VALENTINO vescovo martire
Valentino era vescovo di Terni, uomo che viveva pienamente la propria fede e annunciava con parole e opere il nome di Cristo. Visitava e sosteneva i fedeli in prigione e la sua fama di santità arrivò fino a Roma. Qui, lo chiamò Cratone, maestro di retorica, che aveva un figlio malato di epilessia, gli promise le sue ricchezze se avesse guarito il fanciullo. Valentino lo ammonì, spiegando che solo la fede e la carità avrebbero portato la guarigione sperata. Poi, si ritirò col fanciullo in una stanza a pregare tutta la notte. Egli vegliò sul ragazzo e con lui pregò. La guarigione arrivò con un prodigio, quando il fanciullo vide il bagliore improvviso di una luce e Cratone con la famiglia si convertirono. Valentino fu arrestato e interrogato dallo stesso imperatore Claudio il Gotico, che comprese i chiarimenti del vescovo sulla falsità delle divinità pagane e si sentì molto attratto dalla sua fede. Ma, infine, il vescovo fu condannato a morte e decapitato, in gran fretta, di notte. Prima di morire, grazie alla sua opera, si era convertita al cristianesimo l’intera famiglia del nobile romano a cui era stato dato in custodia.FB_IMG_1676362268232.jpg
 
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SANTI FAUSTINO E GIOVITA martiri
Questi due nobili giovani bresciani intrapresero insieme la carriera militare nel II secolo d.C. e divennero cavalieri, ma presto si convertirono al cristianesimo, dedicandosi all’evangelizzazione: Faustino come presbitero e Giovita come diacono. Temendo però che il cristianesimo si diffondesse troppo, i potenti della città convinsero il governatore Italico a disfarsi di loro, ma costui ritardò la loro cattura. Morto traiano, il successore Adriano li fece arrestare e ordinò che fossero dati in pasto alle belve. Ma le tigri si accovacciarono mansuete ai loro piedi: miracolo che fece convertire molti spettatori, tra cui Afra, la moglie del governatore, che a sua volta subì il martirio e venne proclamata santa. Faustino e Giovita furono allora messi al rogo, ma il fuoco non li sfiorò. Anche il tentativo di farli sbranare dalle belve del Colosseo fallì, per cui inviati a Napoli furono lasciati in balia del mare su una barchetta che gli Angeli riportarono a riva. L’imperatore ordinò il loro rientro a Brescia, dove il prefetto ne ordinò la decapitazione.FB_IMG_1676443695771.jpg
 

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