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Frate Indovino

BATTESIMO DI GESÙ

L’atto battesimale cui si sottopose Gesù è ricco di simbolismo e fu segno, per il cristianesimo, del nuovo modo di concepire l’essere “figli di Dio”, cioè essere compartecipi con Cristo della gioia del Padre, attraverso lo Spirito Santo. Gesù, innocente da ogni colpa, volle avvicinarsi alla folla sul Giordano, per ricevere anche lui il Battesimo da Giovanni. Questo al fine di essere solidale con quei penitenti, che erano alla ricerca della salvezza dell’anima e santificare con la sua presenza l’atto stesso. I Padri della Chiesa hanno detto che Gesù, scendendo nelle acque del Giordano, ha idealmente santificato le acque di tutti i Battisteri. Con questo gesto, Egli ha istituito il Battesimo, il cui rito consiste nell’abluzione accompagnata dalla formula trinitaria: “Io ti battezzo nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo”. La materia del Battesimo è l’acqua, simbolo della purificazione dell’anima. Esso può essere applicato “per immersione”; per “infusione”, cioè acqua versata sulla testa del battezzato; “per aspersione”. Il Battesimo, primo dei sette Sacramenti, cancella il peccato originale e le colpe commesse fino al giorno in cui si riceve, rimette tutte le pene, rende il battezzato partecipe della grazia di Dio, capace della fede, membro della Chiesa, e gli imprime il carattere indelebile di cristiano. Con la cerimonia del Battesimo si impone al battezzato il nome, in genere cristiano, scelto dai genitori. La festa del Battesimo di Gesù, è occasione per riflettere sul valore del Sacramento. Gesù ci dice nel Vangelo di san Marco: “Chi crederà e sarà battezzato, sarà salvo, ma chi non crederà sarà condannato” (16, 16).FB_IMG_1673162853836.jpg
 
SAN BERNARDO DA CORLEONE religioso cappuccino

Filippo Latino, il suo nome all’anagrafe, nacque il 6 febbraio 1605, in un paese siciliano alle porte di Palermo. Da giovane alternava il lavoro di calzolaio nella bottega del padre Leonardo con il servizio nella milizia cittadina, in cui si distingueva per essere un abile spadaccino. In seguito a uno scontro con la spada con un rivale, a cui ferì un braccio che venne amputato, fu costretto a fuggire per paura della vendetta e trovò rifugio nel Convento dei Cappuccini, dove giorno dopo giorno crebbe la sua fede. Filippo indossò il saio, prendendo il nome di fra Bernardo, ma i confratelli vollero che si liberasse completamente del carattere sanguigno di gioventù. Così la sua vita da religioso fu una lunga e sofferta espiazione, vissuta nella penitenza, nella contrizione e nella preghiera. Gli vennero affidati in Convento diversi lavori, tra cui quello di cuoco, ma stare fra pentole e pietanze non gli impedì di praticare lunghi digiuni che lo sfiancavano, essendo lui di robusta costituzione. Di san Bernardo non c’è traccia di miracoli documentati, ma viene raccontato un episodio, un prodigio, accaduto quando era nel Convento di Bivona, presso Agrigento. Molti dei confratelli si erano ammalati per una grave forma di influenza e fra Bernardo si prodigava per alleviare le sofferenze dei frati, ma finì per contagiarsi anche lui. Allora, prese dal tabernacolo della chiesa una piccola statua di san Francesco, che mise in una manica del saio, e parlava al santo, dicendogli che l’avrebbe tenuto nascosto nella manica, finché non avesse guarito lui e gli altri frati. L’indomani arrivò l’attesa guarigione come effetto di quella non tanto velata… minaccia. Altri episodi rivelano il carattere irruento di fra Bernardo, che però non smise mai di dedicarsi alla preghiera. E fu proprio pregando accanto all’altare che cominciò ad avvertire il malessere che lo portò alla morte. Accadde nel giorno dell’Epifania, il 6 gennaio 1667 e meno di una settimana dopo, il 12 gennaio, il frate corleonese si spense, all’età di 62 anni.FB_IMG_1673508228613.jpg
 
SAN MAURO monaco

Mauro nacque a Roma da una famiglia senatoriale. Ancora giovane seguì san Benedetto nella solitudine, divenendone discepolo insieme a Placido, anche lui proveniente da famiglia nobile. Mauro si mise al servizio del santo e la sua obbedienza fu totale. Di Mauro si raccontano gesta prodigiose: un giorno, Placido era andato a raccogliere l’acqua, ma cadde nel lago. San Benedetto ordinò a Mauro di correre a salvarlo. Il giovane corse a salvare l’amico, spingendosi oltre la riva, sull’acqua e salvò tirando su per i capelli il malcapitato. Il maestro vide camminare Mauro sull’acqua e attribuì il miracolo all’obbedienza di Mauro. Con san Benedetto si trasferì a Montecassino di cui fu eletto Priore. Qui, un giorno fu portato un bambino muto per farlo benedire da san Benedetto, il quale era assente. Si presentò Mauro che tornava dai campi con la zappa. Fu allora lui a benedire il piccolo, il quale guarì. In Francia si richiedeva la fondazione di un istituto benedettino e l’incarico fu affidato a Mauro, che con la Regola partì e compì la sua opera: sulle rive della Loira, fondò il primo Monastero benedettino in Francia. Intorno ai 70 anni, rinunciò al pastorale d’Abate e si cominciò a preparare santamente per l’incontro col Signore.FB_IMG_1673767695109.jpg
 
SANT’ANTONIO abate (17 gennaio)

Antonio nacque in Egitto, nel 250. Trascorse una vita innocente, fino alla morte dei genitori. Ancora giovane, desiderò obbedire alla parola di Dio e su essa fondare la sua vita. Distribuì le ricchezze ai poveri e si ritirò nel deserto, sulle rive del Mar Rosso. Trascorreva le giornate nel lavoro e nella preghiera. Dure furono le lotte contro le tentazioni e ogni genere di prove, che colpiscono chi si mette alla sequela del Signore. Dopo anni di preghiera meditativa e battaglie della fede, il suo cuore era purificato, aveva raggiunto la maturità spirituale. Antonio era trasfigurato dalla grazia. Attenuò l’eremitaggio per servire la comunità cristiana, infatti, era in grado di compatire la sofferenza umana e la miseria. Offrì parole di consolazione e di speranza, consigliava, ovunque metteva pace. Molti vollero imitare il suo stile di vita e si ritirarono, fuggendo il mondo. Egli fu riconosciuto Abate, Padre degli eremiti. Insegnò loro come poter ascoltare la voce di Dio nel silenzio del deserto e come raggiungere i frutti dell’ascesi evangelica: la gioia e la pace. Fu chiamato “l’innamorato di Dio”. La sua fama si era diffusa, studiosi, imperatori, gente comune, tutti cercavano di raggiungerlo per chiedere consigli e guarigioni. Ma, ancor più, si riunirono intorno a lui, nel deserto, molti giovani desiderosi di vita spirituale, che scelsero di essere monaci e intrapresero quel cammino da lui iniziato, ampliandolo. Morì a 106 anni, il 17 gennaio del 356 e fu seppellito in un luogo segreto.FB_IMG_1673946019250.jpg
 
SANTI MARIO E MARTA martiri
Il nome Mario non è il maschile di Maria, come comunemente si immagina, ma ha origine dall’antico gentilizio (cognome) romano “Marius”, derivante dall’etrusco “maru” (maschio). Mario celebra la ricorrenza insieme alla moglie Marta e ai figli Audiface ed Abaco, tutti martiri a Roma. Sembra che la famiglia, di origine persiana, negli anni 268-270, si sia messa in cammino per compiere un pellegrinaggio a Roma, al fine di venerare le reliquie dei martiri, come era in uso tra i cristiani. Probabilmente, la famiglia persiana si stabilizzò a Roma per alcuni anni, in un periodo di grande espansione del cristianesimo e di tolleranza. Quando ripresero le persecuzioni, si unirono al prete Giovanni nel dare sepoltura a 260 martiri sulla via Salaria, i cui corpi erano stati abbandonati in aperta campagna. Durante il compimento dell’opera di pietà, Mario ed i suoi familiari furono scoperti, arrestati e condotti in tribunale. Condannati alla decapitazione. I loro corpi furono sepolti dalla pia matrona romana Felicita in un suo possedimento.FB_IMG_1674111887143.jpg
 
SAN SEBASTIANO martire
Sebastiano nacque a Narbonne, in Francia, nella Provincia della Gallia, nel 263. Egli era capitano della prima compagnia della Guardia Pretoriana a Roma, con compiti di guardia del corpo dell’imperatore, dal quale era molto stimato. Tutti ignoravano che fosse cristiano, perché egli nell’anonimato portava conforto ai militari perseguitati e martirizzati, nulla temendo per la propria vita. In un documento si legge che i gemelli Marco e Marcelliano erano stati imprigionati a Roma ed erano stati condannati alla decapitazione, perché cristiani. Essi erano tenuti prigionieri in casa di Nicostrato e qui i genitori li supplicavano di salvare la loro vita. Quando erano sul punto di cedere, furono le parole di Sebastiano a rinnovare lo spirito e la saldezza della loro fede. Parole che colpirono tutti i presenti, a cui Sebastiano apparve circonfuso di luce e accompagnato da angeli. Zoe, la moglie di Nicostrato, riconobbe in Sebastiano un uomo di Dio, si buttò ai suoi piedi e, poiché muta, con dei gesti chiese il perdono. Sebastiano le fece il segno della croce sulla bocca e pregò il Signore per la sua guarigione. Davanti alla guarigione della moglie, anche Nicostrato si buttò ai piedi di Sebastiano e liberò i due prigionieri. Tutti i presenti chiesero di essere battezzati. Sebastiano fu denunciato all’imperatore Diocleziano, che sentitosi tradito nella fiducia riposta, lo condannò a morire per mezzo di frecce. Finita l’esecuzione, fu abbandonato sul terreno come morto, ma qualche giorno dopo, Sebastiano comparve davanti all’imperatore. Questa volta fu frustato a morte e il corpo venne gettato in una cloaca.FB_IMG_1674194229742.jpg
 
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SANT’AGNESE vergine martire
Agnese nacque a Roma, da genitori cristiani, di una illustre famiglia patrizia. Il nome deriva dall’aggettivo greco “hagné”, che vuol dire “casta”, “pura”. Si pensa che ella fu martire durante la persecuzione di Diocleziano, verso il 304. La tradizione vuole che Agnese fu denunciata come cristiana dal figlio del Prefetto di Roma, invaghitosi di lei, ma respinto. La fanciulla, solo dodicenne, non volle abiurare, avendo offerto al Signore la sua verginità. Fu condannata a essere esposta nuda, ma i capelli le crebbero fino a coprirla; un uomo cercò di avvicinarla, ma cadde morto. Fu buttata nel fuoco, ma questo si spense grazie alle sue preghiere. Infine, le fu trapassata la gola con la spada, come a un mite agnello.
Nella storia della santità, molte sono le “Agnese”, cioè le agnelle di Cristo, candide, miti e pure. E questa Agnese, martire bambina, è la sposa più tenera dell’Agnello divino.FB_IMG_1674285622389.jpg
 
SAN VINCENZO diacono martire
Vincenzo era diacono, preparato culturalmente, col dono dell’eloquenza, generoso e coraggioso. Durante la persecuzione di Diocleziano, in un clima di terrore, in cui veniva fatto obbligo a tutti di sacrificare agli dei, il vescovo Valerio e il diacono Vincenzo continuavano con determinazione ad annunciare il Vangelo. Insieme si impegnavano con tenacia e costanza: il vescovo grazie all’autorità che gli derivava dal ministero episcopale si faceva garante di ciò che il diacono annunciava con convinzione. Il governatore Daciano li fece arrestare. Comprese, però, che il vero nemico da combattere era il diacono Vincenzo. Il vescovo fu mandato in esilio e Vincenzo fu martirizzato. Ma, questi era un grande oratore e un uomo che non si piegava facilmente. Venne fustigato e torturato, venne arpionato con uncini di ferro e gettato in una cella buia, da dove lo sentivano cantare. La testimonianza di Vincenzo fu limpida e ferma. La forza della sua fede produsse alcune conversioni. Alla fine, Daciano lo fece uccidere: era l’anno 304.FB_IMG_1674379020637.jpg
 
SPOSALIZIO DI MARIA E GIUSEPPE
Nella liturgia di oggi ricorre il ricordo dello Sposalizio di Maria e Giuseppe, espressione della fede del popolo di Dio, che in esso ha visto un evento fondamentale nella storia della salvezza. L’unione tra Maria e Giuseppe è un vero legame matrimoniale strettamente connesso al mistero della maternità divina. Quindi non è un episodio marginale, ma un evento centrale nel mistero dell’Incarnazione. La festa della Santa Famiglia e lo Sposalizio non si escludono a vicenda, perché la celebrazione delle nozze è la causa, la famiglia l’effetto. Due eventi complementari: il primo mette in risalto l’amore sponsale, il secondo il nucleo familiare. Per realizzare il progetto di “essere in mezzo a noi”, Dio sceglie un uomo e una donna, uniti in matrimonio e dare così inizio alla Nuova Alleanza, come precedentemente aveva stabilito l’antica alleanza con l’intero popolo. L’immagine di questi due sposi attraversa e accompagna l’intera storia della salvezza. Infine, è da considerare che la Chiesa stessa ha in sé l’elemento sponsale e lo ritrova nel matrimonio di Maria e Giuseppe come modello per gli sposi, ma anche per i consacrati.FB_IMG_1674452759349.jpg
 
SAN FRANCESCO DI SALES dottore
Francesco nacque nel 1567, figlio del Signore di Boisy, di antica e nobile famiglia savoiarda. Compì gli studi presso i Gesuiti, dove si formò una solida base spirituale, che è poi maturata in vocazione sacerdotale. Ordinato sacerdote, si dedicò all’apostolato nei Paesi protestanti. Per riuscire a raggiungere le persone con la sua predicazione, escogitò il sistema di pubblicare e di far affiggere nei luoghi pubblici dei “manifesti” e di farli circolare tra la popolazione. Questa intuizione portò molti frutti e la sua fama cominciò a diffondersi. Fu nominato vescovo di Ginevra, città calvinista. Il suo amore per Dio, la sua semplicità e la sua dolcezza conquistarono i cuori. La baronessa Giovanna de Chantal venne infiammata dalla sua spiritualità e insieme fondarono l’Ordine della Visitazione, rinnovando la vita monastica femminile. Francesco si convinse che l’Istituto dovesse diventare una scuola di preghiera, di contemplazione e palestra interiore che preparasse al servizio esterno dell’apostolato e della carità. La pratica religiosa di Francesco di Sales, anche oggi, non è pura forma, ma un costante perfezionamento di sé stessi in unione perfetta con Dio. Egli è stato autore di alcune opere, considerate testi fondamentali della letteratura religiosa e che gli hanno valso il titolo di Dottore della Chiesa.FB_IMG_1674543089140.jpg
 
LA CONVERSIONE DI SAN PAOLO apostolo
La celebrazione della Conversione di san Paolo offre l’opportunità di riflettere sulla magnifica figura dell’“Apostolo delle genti”. Apostolo, perché ha visto il Signore, Cristo Risorto, quindi, testimone della risurrezione ed è stato inviato direttamente da Cristo a predicare, come i Dodici. Egli possiede i tre requisiti propri degli Apostoli: visione, vocazione, missione, tutti ricevuti “per grazia” sulla via di Damasco, dove Cristo lo spinse alla conversione. Affiora l’inquietudine, quel “pungolo” di cui gli parla il Signore, il tormento seminato dalla grazia dell’incontro con Dio e, nella cecità, egli vede la scintilla della luce di verità: “Chi sei tu, Signore?”. “Io sono Gesù che tu perseguiti” (At 9, 5). Cristo irrompe nella vita di Paolo, gli si manifesta nella sua gloria e gli svelerà il mistero della sua passione. L’Apostolo grida: “Signore, che vuoi che io faccia?”. Così, colmo di Spirito Santo, egli comprenderà la sua missione e annuncerà il Vangelo per la salvezza delle genti, patendo e affrontando il martirio per il nome di Cristo. San Paolo concluderà dicendo: “Gesù è venuto nel mondo per salvare i peccatori, dei quali io sono il primo. Appunto per questo ho trovato misericordia. In me specialmente ha voluto Gesù Cristo mostrare tutta la sua longanimità, affinché io sia di esempio per coloro che nella fede in Lui otterranno d’ora innanzi la vita eterna” (1Tm 1, 16).FB_IMG_1674626178776.jpg
 
SANTI TIMOTEO E TITO vescovi
Timoteo viene dal mondo ebraico e Tito dal mondo pagano, furono discepoli e collaboratori di san Paolo, frutto della sua opera di evangelizzazione.
Timoteo, dal greco “colui che onora Dio”, nacque a Listra, attuale Turchia, da padre greco e madre giudeo-cristiana. Fu tra i primi convertiti e battezzati dall’apostolo Paolo. Egli era obbediente, discreto, coraggioso. Paolo portò Timoteo con sé in alcuni dei suoi viaggi, gli affidò incarichi delicati fino a investirlo della gestione della comunità di Efeso, di cui fu il primo vescovo.
Tito era greco, forse convertito da Paolo, anch’egli a fianco dell’apostolo nell’attività missionaria. L’amicizia di Tito per Paolo era fonte di serenità e conforto. Fu suo compagno in alcuni viaggi, ebbe il compito di organizzare la prima comunità cristiana a Creta. Una bella opera da lui compiuta fu la prima grande iniziativa di solidarietà fra le Chiese: una colletta da inviare ai poveri di Gerusalemme.
Con Timoteo e Tito, l'apostolo Paolo poté vivere quello che era il centro della sua predicazione: la fede in Cristo libera dalla legge, anche se la salvezza viene dai giudei, dalla stirpe di Davide. Paolo affermava che ciò che ci rende veri strumenti è una buona coscienza e la fede in Dio realizzata con le opere della carità. Paolo convertì Timoteo e Tito, li formò con amore cristiano e paterno, ne fece dei fari luminosi e delle guide per l'umanità.FB_IMG_1674716500119.jpg
 
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