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Frate Indovino

SAN VITTORE martire
Vittore era originario della Mauritania, in Africa, ed era un soldato della milizia in servizio a Milano. Sotto la persecuzione di Massimiano lo si voleva costringere a sacrificare agli dei, ma egli con decisione rifiutò. Allora fu arrestato e lasciato per giorni senza mangiare e senza bere, perché perdesse le forze. Fu portato nell'ippodromo e interrogato e flagellato, ma Vittore non abiurò. Fu riportato in carcere, da dove, un giorno, riuscì a fuggire grazie alla distrazione dei carcerieri e si rifugiò in una stalla. Fu trovato e decapitato in un bosco vicino. Il corpo non fu seppellito e fu ritrovato dal vescovo Materno: questo era intatto e vegliato da due fiere.
È un santo caro ai milanesi che hanno dato il suo nome al carcere della città: san Vittore è il protettore dei prigionieri e degli esuli.FB_IMG_1746679452225.jpg
 
SANT’IGNAZIO DA LACONI religioso
La sua vita inizia con una gravidanza difficile e una promessa di consacrazione a san Francesco. Ma ritardando il giorno del compimento della promessa, una cavalcata pazza su un cavallo imbizzarrito, risolve il problema: Vincenzo u santixeddu entra in convento con il nome di fra Ignazio da Làconi. Il noviziato delineò in lui la tipica fisionomia del fratello cappuccino: uomo semplice, umile, nel caso di Ignazio anche analfabeta, ma di grande preghiera e profonda fede, sorridente e sereno in ogni circostanza, obbediente, vicino alla gente in mezzo alla quale lasciava come una scia di Vangelo vivente. Camminava sempre a occhi bassi e corona in mano. La gente al suo passaggio si poneva in atteggiamento di rispetto. Non accettava più del necessario. Dove passava fiorivano fatti straordinari con una “normalità” disarmante. E insieme ai miracoli scaturiva la fede. Un certo Franchino, negoziante carico di soldi, si lamentò che fra’ Ignazio non andava a questuare in casa sua. Su richiamo del superiore, fra’ Ignazio andò e ricevette una cospicua offerta in danaro, che fece mettere nella bisaccia. Andando verso il convento dalla bisaccia cominciò a gocciolare sangue. Al superiore il frate spiegò che era sangue di poveri che il commerciante estorceva con l’usura. La lezione servì, e Franchino restituì ciò che doveva. Un’altra volta, chiese dell’olio a un benefattore e, non sapendo dove metterlo, lo fece versare nella bisaccia. L’olio arrivò al convento e non se ne perse una goccia. Il benefattore donò al convento l’intera botte (che si chiamò botte di fra Ignazio). E si potrebbe continuare all’infinito. Può sicuramente interessare il fatto che a testimoniare questi prodigi c’è, tra gli altri, un pastore protestante evangelico, presente in quel periodo in Sardegna, perché cappellano al seguito di un reggimento di fanteria tedesco, un certo Joseph Fuos, che documenta questi fatti e stila anche un elenco dei miracoli più significativi nel suo libro La Sardegna nel 1773-1776, Lipsia 1780. Come si vede, un testimone non di parte.FB_IMG_1746948122036.jpg
 
SAN LEOPOLDO MANDIC’ francescano
Ultimo di dodici figli, nacque nel 1866 sulla costa dalmata da una famiglia nobile, ridotta in povertà per vicende politiche. A 18 anni entrò tra i Cappuccini. Sempre malaticcio e sofferente, visse con un ideale radicato nel cuore: spendersi totalmente per il ritorno del suo popolo croato e dei popoli slavi all’unità cattolica. Questo è stato per lui il sogno di una vita per il quale ha lottato, ha pianto, ha sofferto, ha “offerto”, ha supplicato. Il suo padre Provinciale un giorno ne chiarì i motivi: padre Leopoldo non avrebbe potuto predicare, aveva la parola ora lenta ora precipitosa, affaticata, quasi balbuziente; si presentava in un corpo piccolo, curvo, pallido, estremamente fragile, tormentato da non pochi malanni, quali dolore agli occhi, debolezza di stomaco, artrite deformante. Buone ragioni umane, che padre Leopoldo seppe accettare e integrare nel suo progetto: l’obbedienza gli aveva affidato di attendere alle confessioni? Allora «ogni anima che chiederà il mio ministero sarà il mio Oriente!». Così per 33 anni è rimasto chiuso nel suo confessionale, per circa 10-12 ore al giorno. Quante anime in 30 anni l’avvicinarono per scaricare i loro fardelli e trovare misericordia, e lui sempre disponibile, attento, affabile, infaticabile, senza interruzione e senza riposo. Lo rimproveravano, perché dicevano che fosse troppo di manica larga e lui rispondeva che Gesù, sulla croce, le maniche non le aveva affatto! Trovato in chiesa di notte, rispondeva che doveva fare la penitenza per i suoi penitenti. Pochi giorni prima di morire, lo incontrò il superiore lungo il corridoio che si trascinava per recarsi in confessionale. Invitato a tornare alla sua cella, rispose: «Padre, abbia pietà di me… C’è tanto bene da fare!». Morì nel 1942. In un’incursione aerea del Maggio 1944 le bombe colpirono il convento dei Cappuccini di Padova. Il confessionale di padre Leopoldo rimase intatto. Accanto alla tomba, in un reliquiario, è esposta la sua mano destra benedicente, memoria di quel perdono che ha irradiato per tutta la sua vita.FB_IMG_1747025037631.jpg
 
BEATA VERGINE MARIA DI FATIMA
Oggi ricordiamo le apparizioni della Beata Vergine a Fatima, in Portogallo, del 1917. La Signora apparve sopra un elce a tre pastorelli: Lucia, Francesco e Giacinta. La Vergine, che dirà ai bambini di essere la Madonna del Rosario, è venuta perché desidera liberare noi uomini dal rischio delle catastrofi che corriamo a causa dei nostri peccati. Per la nostra salvezza, ella ci chiede la recita del rosario, la penitenza e la Consacrazione al suo Cuore Immacolato.
E, dunque, come lei stessa ci invita a fare: preghiamo, preghiamo, preghiamo!!!FB_IMG_1747113892533.jpg
 
SAN MATTIA apostolo
Mattia, probabilmente, nacque a Betlemme, da una illustre famiglia della tribù di Giuda. Come scrive lo stesso Pietro negli “Atti degli Apostoli”, egli fu uno di quegli uomini che accompagnò i dodici per tutto il tempo che Gesù Cristo visse con loro, a cominciare dal battesimo nel fiume Giordano fino all'Ascensione al cielo. Cioè, era uno dei 72 discepoli designati dal Signore e da lui mandati, a due a due, in ogni città dove stava per arrivare. Con il tradimento di Giuda e la sua morte, il gruppo degli Apostoli era diventato di undici uomini. Dopo l’Ascensione del Signore, essi erano a Gerusalemme e, trascorrevano il tempo nel Cenacolo in preghiera con Maria e le altre donne. Pietro, capo di quella prima comunità cristiana, spiegò che era necessario che uno dei 72 divenisse testimone della Risurrezione insieme al gruppo degli undici. Tra tutti furono scelti due: Giuseppe detto il Giusto, e Mattia. Poi tirarono la sorte, che designò Mattia. Mattia, in ebraico “dono di Jahvè”, completò il numero simbolico dei dodici Apostoli, raffigurante i dodici figli di Giacobbe e quindi le dodici tribù d'Israele. “Apostolo” in greco vuol dire “inviato” e i dodici si dispersero nel mondo per dare testimonianza della Risurrezione di Cristo. Essi, nel nome di Gesù risorto, convertirono popoli, battezzarono credenti, operarono miracoli. Mattia stesso compì la sua testimonianza fino al martirio, anche se non si conoscono con certezza le località che visitò e dove si fermò.FB_IMG_1747200773450.jpg
 
SAN PASQUALE BAYLON francescano
Nato a Torre Hermosa, in Aragona, il giorno di Pentecoste, mostrò sin da bambino grande amore per l’Eucarestia e desiderio di pregare. Di umili origini, venne avviato al pascolo delle greggi e, mentre custodiva le sue pecore, aveva il tempo per pregare, meditare e contemplare. Oltre a ciò, si dedicò a penitenze, mortificazioni e digiuni. A diciotto anni chiese di essere accolto nel convento dei Francescani Alcantarini, da cui venne respinto per la giovane età. I due anni successivi li trascorse al servizio del ricco signore Martino Garcia. Quest’ultimo, edificato dalle virtù di Pasquale, gli propose di divenire suo erede universale. Ma Pasquale, nel 1564, fu ammesso finalmente nel convento, dove preferì rimanere fratello laico e svolgere vari servizi. Fu portinaio, compito che gli permise di incontrare molte persone, che si rivolgevano a lui come a una guida preziosa. Egli aveva il dono della sapienza infusa e, benché illetterato, consigliava sempre in modo adeguato. Per questo, furono molti gli uomini illustri che ricorsero ai suoi consigli. Tutta la sua vita fu caratterizzata dall’amore per l'Eucaristia, egli ne penetrò la profondità del mistero, cosa che gli valse il titolo di “teologo dell'Eucaristia”. Operò molti miracoli. Morì il giorno di Pentecoste.FB_IMG_1747465962635.jpg
 
SAN FELICE DA CANTALICE cappuccino
Felice Porri emise la professione religiosa tra i Cappuccini nel 1545 e esercitò quasi esclusivamente, per 40 anni a Roma, l’ufficio di questuante. Un frate con la bisaccia sulle spalle, scalzo, i calcagni solcati da grossi spacchi che si cuciva da sé con ago e spago da calzolaio, sempre gioioso e pronto alla battuta sapiente e arguta. Quando passava per le strade e le borgate di Roma, i bambini gli correvano incontro per fargli festa e spizzicare qualcosa dalla sua bisaccia; e quando si diffuse la notizia della sua morte la gente prese a scavalcare anche le mura del convento, per venerarne la salma. Numerosi gli episodi che si raccontano di lui e che emanano il profumo dei fioretti. Come quando i ragazzi del Collegio Romano gli infilarono un giulio (moneta dell’epoca) nella bisaccia. Fra’ Felice, che non voleva sapere niente di denaro, cominciò a sentire la bisaccia che si faceva sempre più pesante. Corse alla chiesa più vicina, rovesciò tutto a terra e trovò la moneta, responsabile di tutto quell’incomodo. Un giorno, si trovava in casa dell’avvocato Bernardino Biscia quando fu portata una giovenca. Sentendola muggire, fra’ Felice disse all’avvocato: «Messer Bernardino, intendi il linguaggio di quella vitella? Ti chiede di dar ragione a chi te la manda. Stai attento che non si converta a tua dannazione il giorno del Giudizio». Egli non aveva paura di nessuno. Al terribile Sisto V predisse il papato dicendo: «Quando sarete Papa, fate da Papa per la gloria di Dio e il bene della Chiesa. Altrimenti è meglio che restiate semplice frate». E quando il Papa lo incontrava, voleva una delle sue pagnotte questuate in città e la mangiava con devozione alla mensa papale. Un giorno, fra’ Felice gliene diede una nera nera: «Scusate, Santo Padre, ma pure voi siete frate». Sono passate alla storia le scenette tra lui e san Filippo Neri quando si incontravano. Fra’ Felice offrì da bere a san Filippo nella sua zucca: «Bevi, e vedremo se sei veramente mortificato». E Pippo buono cominciò a bere sul serio. Poi restituì lo scherzo a fra’ Felice infilandogli in testa il suo cappello. «Se me lo rubano o me lo fan volare», diceva Felice, «il danno sarà tutto tuo». E la gente sorrideva ammirata: «Un Santo dà da bere a un altro Santo!».FB_IMG_1747555433283.jpg
 

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