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Premesso che non è forse il luogo adatto....e me ne scuso....oggi mi è tornata alla mente questo brano che il buon prof.Miceli ci invitò a commentare. Sono passati quasi 60 anni....

Platone: “Così muore la democrazia. E prima che nel sangue, nel ridicolo
Atene 370 A.C.
Quando la città retta a democrazia si ubriaca di libertà confondendola con la licenza, con
l’aiuto di cattivi coppieri costretti a comprarsi l’immunità con dosi sempre massicce
d’indulgenza verso ogni sorta di illegalità e di soperchieria; quando questa città si copre di
fango accettando di farsi serva di uomini di fango per potere
continuare a vivere e ad ingrassare nel fango; quando il padre si
abbassa al livello del figlio e si mette, bamboleggiando, a
copiarlo perché ha paura del figlio; quando il figlio si mette alla
pari del padre e, lungi da rispettarlo, impara a disprezzarlo per la
sua pavidità; quando il cittadino accetta che, di dovunque venga,
chiunque gli capiti in casa, possa acquistarvi gli stessi diritti di
chi l’ha costruita e ci è nato; quando i capi tollerano tutto questo
per guadagnare voti e consensi in nome di una libertà che divora
e corrompe ogni regola ed ordine; c’è da meravigliarsi che
l’arbitrio si estenda a tutto e che dappertutto nasca l’anarchia e
penetri nelle dimore private e perfino nelle stalle? In un
ambiente siffatto, in cui il maestro teme ed adula gli scolari e gli scolari non tengono in alcun
conto i maestri; in cui tutto si mescola e si confonde; in cui chi comanda finge, per comandare
sempre di più, di mettersi al servizio di chi è comandato e ne lusinga, per sfruttarli, tutti i vizi;
in cui i rapporti tra gli uni e gli altri sono regolati soltanto dalle reciproche convenienze nelle
reciproche tolleranze; in cui la demagogia dell’uguaglianza rende impraticabile qualsiasi
selezione, ed anzi costringe tutti a misurare il passo delle gambe su chi le ha più corte; in cui
l’unico rimedio contro il favoritismo consiste nella molteplicità e moltiplicazione dei favori; in
cui tutto è concesso a tutti in modo che tutti ne diventino complici; in un ambiente siffatto,
quando raggiunge il culmine dell’anarchia e nessuno è più sicuro di nulla e nessuno è più
padrone di qualcosa perché tutti lo sono, anche del suo letto e della sua madia a parità di
diritti con lui e i rifiuti si ammonticchiano per le strade perché nessuno può comandare a
nessuno di sgombrarli; in un ambiente siffatto, dico, pensi tu che il cittadino accorrerebbe a
difendere la libertà, quella libertà, dal pericolo dell’autoritarismo? Ecco, secondo me, come
nascono le dittature. Esse hanno due madri.
Una è l’oligarchia quando degenera, per le sue lotte interne, in satrapia.
L’altra è la democrazia quando, per sete di libertà e per l’inettitudine dei suoi capi, precipita
nella corruzione e nella paralisi.
Allora la gente si separa da coloro cui fa la colpa di averla condotta a tale disastro e si prepara
a rinnegarla prima coi sarcasmi, poi con la violenza che della dittatura è pronuba e levatrice.
Così la democrazia muore: per abuso di se stessa.
E prima che nel sangue, nel ridicolo.
Tratto da: Platone, La Repubblica – Cap. VIII.
 
Premesso che non è forse il luogo adatto....e me ne scuso....oggi mi è tornata alla mente questo brano che il buon prof.Miceli ci invitò a commentare. Sono passati quasi 60 anni....

Platone: “Così muore la democrazia. E prima che nel sangue, nel ridicolo
Atene 370 A.C.
Quando la città retta a democrazia si ubriaca di libertà confondendola con la licenza, con
l’aiuto di cattivi coppieri costretti a comprarsi l’immunità con dosi sempre massicce
d’indulgenza verso ogni sorta di illegalità e di soperchieria; quando questa città si copre di
fango accettando di farsi serva di uomini di fango per potere
continuare a vivere e ad ingrassare nel fango; quando il padre si
abbassa al livello del figlio e si mette, bamboleggiando, a
copiarlo perché ha paura del figlio; quando il figlio si mette alla
pari del padre e, lungi da rispettarlo, impara a disprezzarlo per la
sua pavidità; quando il cittadino accetta che, di dovunque venga,
chiunque gli capiti in casa, possa acquistarvi gli stessi diritti di
chi l’ha costruita e ci è nato; quando i capi tollerano tutto questo
per guadagnare voti e consensi in nome di una libertà che divora
e corrompe ogni regola ed ordine; c’è da meravigliarsi che
l’arbitrio si estenda a tutto e che dappertutto nasca l’anarchia e
penetri nelle dimore private e perfino nelle stalle? In un
ambiente siffatto, in cui il maestro teme ed adula gli scolari e gli scolari non tengono in alcun
conto i maestri; in cui tutto si mescola e si confonde; in cui chi comanda finge, per comandare
sempre di più, di mettersi al servizio di chi è comandato e ne lusinga, per sfruttarli, tutti i vizi;
in cui i rapporti tra gli uni e gli altri sono regolati soltanto dalle reciproche convenienze nelle
reciproche tolleranze; in cui la demagogia dell’uguaglianza rende impraticabile qualsiasi
selezione, ed anzi costringe tutti a misurare il passo delle gambe su chi le ha più corte; in cui
l’unico rimedio contro il favoritismo consiste nella molteplicità e moltiplicazione dei favori; in
cui tutto è concesso a tutti in modo che tutti ne diventino complici; in un ambiente siffatto,
quando raggiunge il culmine dell’anarchia e nessuno è più sicuro di nulla e nessuno è più
padrone di qualcosa perché tutti lo sono, anche del suo letto e della sua madia a parità di
diritti con lui e i rifiuti si ammonticchiano per le strade perché nessuno può comandare a
nessuno di sgombrarli; in un ambiente siffatto, dico, pensi tu che il cittadino accorrerebbe a
difendere la libertà, quella libertà, dal pericolo dell’autoritarismo? Ecco, secondo me, come
nascono le dittature. Esse hanno due madri.
Una è l’oligarchia quando degenera, per le sue lotte interne, in satrapia.
L’altra è la democrazia quando, per sete di libertà e per l’inettitudine dei suoi capi, precipita
nella corruzione e nella paralisi.
Allora la gente si separa da coloro cui fa la colpa di averla condotta a tale disastro e si prepara
a rinnegarla prima coi sarcasmi, poi con la violenza che della dittatura è pronuba e levatrice.
Così la democrazia muore: per abuso di se stessa.
E prima che nel sangue, nel ridicolo.
Tratto da: Platone, La Repubblica – Cap. VIII.
QUINDI CHE AMBO proponi?? :)))
 
Premesso che non è forse il luogo adatto....e me ne scuso....oggi mi è tornata alla mente questo brano che il buon prof.Miceli ci invitò a commentare. Sono passati quasi 60 anni....

Platone: “Così muore la democrazia. E prima che nel sangue, nel ridicolo
Atene 370 A.C.
Quando la città retta a democrazia si ubriaca di libertà confondendola con la licenza, con
l’aiuto di cattivi coppieri costretti a comprarsi l’immunità con dosi sempre massicce
d’indulgenza verso ogni sorta di illegalità e di soperchieria; quando questa città si copre di
fango accettando di farsi serva di uomini di fango per potere
continuare a vivere e ad ingrassare nel fango; quando il padre si
abbassa al livello del figlio e si mette, bamboleggiando, a
copiarlo perché ha paura del figlio; quando il figlio si mette alla
pari del padre e, lungi da rispettarlo, impara a disprezzarlo per la
sua pavidità; quando il cittadino accetta che, di dovunque venga,
chiunque gli capiti in casa, possa acquistarvi gli stessi diritti di
chi l’ha costruita e ci è nato; quando i capi tollerano tutto questo
per guadagnare voti e consensi in nome di una libertà che divora
e corrompe ogni regola ed ordine; c’è da meravigliarsi che
l’arbitrio si estenda a tutto e che dappertutto nasca l’anarchia e
penetri nelle dimore private e perfino nelle stalle? In un
ambiente siffatto, in cui il maestro teme ed adula gli scolari e gli scolari non tengono in alcun
conto i maestri; in cui tutto si mescola e si confonde; in cui chi comanda finge, per comandare
sempre di più, di mettersi al servizio di chi è comandato e ne lusinga, per sfruttarli, tutti i vizi;
in cui i rapporti tra gli uni e gli altri sono regolati soltanto dalle reciproche convenienze nelle
reciproche tolleranze; in cui la demagogia dell’uguaglianza rende impraticabile qualsiasi
selezione, ed anzi costringe tutti a misurare il passo delle gambe su chi le ha più corte; in cui
l’unico rimedio contro il favoritismo consiste nella molteplicità e moltiplicazione dei favori; in
cui tutto è concesso a tutti in modo che tutti ne diventino complici; in un ambiente siffatto,
quando raggiunge il culmine dell’anarchia e nessuno è più sicuro di nulla e nessuno è più
padrone di qualcosa perché tutti lo sono, anche del suo letto e della sua madia a parità di
diritti con lui e i rifiuti si ammonticchiano per le strade perché nessuno può comandare a
nessuno di sgombrarli; in un ambiente siffatto, dico, pensi tu che il cittadino accorrerebbe a
difendere la libertà, quella libertà, dal pericolo dell’autoritarismo? Ecco, secondo me, come
nascono le dittature. Esse hanno due madri.
Una è l’oligarchia quando degenera, per le sue lotte interne, in satrapia.
L’altra è la democrazia quando, per sete di libertà e per l’inettitudine dei suoi capi, precipita
nella corruzione e nella paralisi.
Allora la gente si separa da coloro cui fa la colpa di averla condotta a tale disastro e si prepara
a rinnegarla prima coi sarcasmi, poi con la violenza che della dittatura è pronuba e levatrice.
Così la democrazia muore: per abuso di se stessa.
E prima che nel sangue, nel ridicolo.
Tratto da: Platone, La Repubblica – Cap. VIII.
Splendido monologo di Platone .brava abitte.Da rifletterci molto..
 
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