Ecco una chiara testimonianza e palese figurazione del continuo e fruttuoso risultato dell'Operazione utopica del compianto Franco Basaglia.....!!!
Umberto Galimberti ricorda Franco Basaglia
"La Repubblica" del 29 agosto 2005
A venticinque anni dalla morte di Franco Basaglia, lo psichiatra che si e' tanto battuto per ottenere la legge 180 che nel 1978 sanci' la chiusura dei manicomi, e' forse possibile trarre un bilancio di quella che l'Organizzazione Mondiale della Sanita', nel 2003, ha indicato come "uno dei pochi eventi innovativi nel campo della psichiatria su scala mondiale". Per questo bilancio ci facciamo aiutare da una serie di saggi che Franco Basaglia scrisse tra il 1963 e il 1979 e che Einaudi ha pubblicato col titolo L'utopia della realta.
A differenza della rivoluzione, che ha un carattere esplosivo perche' segna un'accelerazione del tempo in vista di un altro futuro, l'utopia, che guarda al futuro con un'etica terapeutica, dove i mali si eliminano tramite il controllo razionale degli effetti, ha bisogno di tanto futuro.
L'operazione di Basaglia e' un'operazione utopica, non rivoluzionaria. La chiusura dei manicomi non era, infatti, lo scopo finale dell'operazione basagliana, ma il mezzo attraverso cui la societa' poteva fare i conti con le figure del disagio che la attraversano quali la miseria, l'indigenza, la tossicodipendenza, l'emarginazione e persino la delinquenza a cui la follia non di rado si imparenta. E come un tempo la clinica aveva messo il suo sapere al servizio di una societa' che non voleva occuparsi dei suoi disagi, Basaglia tenta l'operazione opposta, l'accettazione da parte della societa' di quella figura, da sempre inquietante, che e' la follia, da lui cosi' definita: "La follia e' una condizione umana. In noi la follia esiste ed e' presente come lo e' la ragione. Il problema e' che la societa', per dirsi civile, dovrebbe accettare tanto la ragione quanto la follia, invece incarica una scienza, la psichiatria, per tradurre la follia in malattia
allo scopo di eliminarla. Il manicomio ha qui la sua ragion d'essere che e' poi quella di far diventare razionale l'irrazionale. Infatti quando qualcuno entra in manicomio smette di essere folle per trasformarsi in malato, e cosi' diventa razionale in quanto malato".
Non era questo, scrive Basaglia, l'intento di Philippe Pinel che nel 1793 inauguro' a Parigi il primo manicomio, liberando i folli dalle prigioni, in base al principio che il folle non puo' essere equiparato al delinquente.
Con questo atto di nascita la psichiatria si presenta come scienza della liberazione dell'uomo. Ma fu un attimo, perche' il folle, liberato dalle prigioni, fu subito rinchiuso in un'altra prigione che si chiamava manicomio.
Da quel giorno incomincera' il calvario del folle e la fortuna della psichiatria. Se infatti passiamo in rassegna la storia della psichiatria vediamo emergere i nomi di grandi psichiatri, mentre dei folli esistono solo etichette: isteria, astenia, mania, depressione, schizofrenia.
Ma la depressione, la mania, la schizofrenia sono davvero "malattie" come l'ulcera, l'epatite virale, il cancro? O il modo di essere schizofrenico e' cosi' diverso da individuo a individuo e cosi' dipendente dalla storia personale di ciascuno da non consentire di rubricare storie e sintomi cosi' diversi sotto un'unica denominazione? L'ansia di accreditarsi come scienza sul modello della medicina ha fatto si' che la psichiatria organicista passasse sopra come un carro armato alla "soggettivita'" dei folli, che furono tutti "oggettivati" di fronte a quell'unica soggettivita' salvaguardata che e' quella del medico. Ma e' davvero credibile che, negando istituzionalmente la soggettivita' del folle, sia possibile guarirlo, cioe' restaurarlo nella sua soggettivita'? Evidentemente no.
E infatti i medici del manicomio non ci credevano e i malati cronicizzavano. Basaglia, prima a Gorizia e poi a Trieste, accetta questa condizione di parita