Novità

Frate Indovino

SAN RUPERTO vescovo
Salisburgo, la bella città austriaca, prende il nome dalle vicine miniere di salgemma: il suo nome significa infatti “città del sale”. Il santo patrono è san Ruperto, che discendeva dai conti Rupertini, un'importante famiglia che dominava la regione. I Rupertini erano imparentati con i Carolingi e la loro attività si svolgeva a Worms, dove Ruperto ricevette una formazione monastica irlandese. Verso il Settecento sentì la vocazione per la predicazione e la testimonianza monastica itinerante. Si recò in Baviera e qui la sua predicazione portò frutti. Nella sua opera incontrò l’appoggio del conte Theodo di Baviera, che gli diede un terreno sul lago Waller, dove il monaco fondò una chiesa, dedicata a San Pietro. Ruperto non sentì congeniale questo posto, così chiese al conte un altro territorio nei pressi della città romana di Juvavum. Costruì qui un monastero intitolato a San Pietro, il più antico di Salisburgo e di tutta l’Austria. Non lontano da questo monastero, sorse un monastero femminile, diretto dall’abbadessa Erentrude, sua nipote. Con coraggio, egli fece nascere e crescere la nuova Salisburgo, che considera Ruperto suo rifondatore. Egli era una personalità piena di forza e di sensibilità, capace di affondare le radici nelle profondità dello spirito cristiano.FB_IMG_1679893337316.jpg
 
SAN LEONARDO MURIALDO sacerdote
Leonardo nacque nel 1828, a Torino, in una famiglia benestante e cattolica praticante. Rimase presto orfano di padre. Ricevette una sana formazione umana e religiosa, tanto che cominciò già da ragazzo a sentire la vocazione per il sacerdozio. Dopo gli studi teologici, fu consacrato sacerdote e come primo incarico cominciò a operare presso un oratorio nel quartiere più povero della città, dove i bisogni erano tanti. In seguito, decise di approfondire i suoi studi e le sue esperienze e partì per Parigi, per apprendere le novità educative e culturali dell’epoca. Tornato a Torino, gli venne affidato il Collegio Artigianelli, una splendida opera da rimettere in piedi. Leonardo si dedicò a questi orfani abbandonati che venivano istruiti e preparati per un mestiere, con impegno, sacrificio, preoccupazioni e fatiche, ma tutto ciò diede senso vero alla sua vita e alle sue scelte. Si occupò anche di importanti emergenze sociali e prese iniziative innovative per quei tempi: insegnò agli operai a praticare la mutua solidarietà, in modo che fossero coscienti dei propri diritti; si prese cura dei disoccupati; delle donne e dei ragazzi che lavoravano in fabbrica, organizzando l’Unione degli Operai Cattolici; organizzò delle biblioteche popolari cattoliche e l’Ufficio di Collocamento cattolico; inaugurò una Casa-Famiglia per operai e fondò una Cassa di Mutuo Soccorso; e molte altre iniziative promosse e sostenne. Persona semplice, vera e gioiosa, amò aiutare i poveri. Don Murialdo raccontava così le Verità cristiane: “I tre miracoli dell’amore di Dio. Il Presepio con Gesù bambino: Egli ci insegna umiltà, povertà, rassegnazione. Il Calvario con Gesù crocifisso: è cattedra che insegna le grandi verità dell’amore di Dio per gli uomini e dell’amore degli uomini per Dio. L’Eucarestia con Gesù sacramento: è la perfezione dell’amore; Gesù viene a noi, ci ama, si unisce a noi”.FB_IMG_1680164130478.jpg
 
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Reazioni: Zac
DOMENICA DELLE PALME
I Vangeli narrano che Gesù giunse con i discepoli vicino Gerusalemme e mandò due di loro nel villaggio a prendere un’asina legata con un puledro e a portarglieli. Questo avvenne, perché si adempisse ciò che era stato annunziato dal profeta Zaccaria (9,9) “Esulta grandemente figlia di Sion, giubila figlia di Gerusalemme! Ecco, a te viene il tuo re. Egli è giusto e vittorioso, umile, cavalca un asino, un puledro figlio d'asina”. La mattina dopo, i discepoli coprirono l’asina con dei mantelli e Gesù vi si pose a sedere avviandosi a Gerusalemme. Qui, si era radunata la folla numerosa, avendo sentito che stava arrivando il Messia, stese a terra i mantelli e agitando ramoscelli di ulivo e di palma, rendevano onore a Gesù. E Gesù fece il suo ingresso in Gerusalemme, sede del potere civile e religioso in Palestina, acclamato come un re seduto su un’asina, non su un cavallo simbolo di nobiltà. Certamente, il Messia, atteso come un liberatore, avrebbe dovuto cavalcare un cavallo, ma Egli scelse un’asina, animale umile, mite, a servizio della gente pacifica e lavoratrice. Quindi, Gesù si mostra un re privo di ogni forma esteriore di potere, armato solo dei segni della pace e del perdono, a partire dalla cavalcatura.
La liturgia della Domenica delle Palme, inizia in un luogo adatto fuori della chiesa. I fedeli vi si radunano e il sacerdote leggendo le orazioni, procede alla benedizione dei rami di ulivo o di palma, distribuiti ai convenuti. Dopo la processione che porta in chiesa, si procede con la lettura del Vangelo. L’uso di portare nelle proprie case l’ulivo o la palma benedetta ha un puro valore devozionale, come augurio di pace.FB_IMG_1680416198321.jpg
 
SANT’ISIDORO DI SIVIGLIA vescovo dottore della Chiesa
Sant’Isidoro è considerato il più illustre dottore della Chiesa di Spagna. Nacque a Cartagena, da famiglia nobile, tra il 556 e il 571. Rimasto presto orfano, venne educato nella pietà e negli studi dai suoi tre fratelli. Imparò la lingua greca, ebraica e latina e si specializzò nel diritto. Fu eletto sulla cattedra episcopale di Siviglia, e si occupò delle vicende politiche e religiose della Spagna dominata dai Visigoti: contribuì alla conversione di questi dall’arianesimo al credo niceno e fu promotore del risveglio culturale e letterario in quei tempi. Ristabilì la disciplina nella Chiesa di Spagna e animò molti Concili che si tennero a quel tempo, alcuni dei quali presiedette lui stesso. Costruì monasteri e collegi, dove crebbero molti discepoli, fra cui sant’Ildefonso. Ebbe molta cura delle pratiche di pietà e della sua vita interiore con la preghiera, la meditazione e la penitenza. Scrisse: “La vita media, composta dalla vita contemplativa e quella attiva, risulta normalmente più utile a risolvere quelle tensioni che spesso vengono acuite dalla scelta di un solo genere di vita e vengono invece meglio temperate da un’alternanza delle due forme”. Nel momento in cui sentì la morte vicina, ormai infermo, si fece portare in chiesa, dove pregò intensamente e ricevette il viatico. Prima di morire, distribuì i beni della sua casa episcopale e condonò ogni debito. Fu definito: “Il dottore eccellente, la gloria della Chiesa cattolica, il più saggio uomo che fosse comparso per illuminare gli ultimi secoli”.FB_IMG_1680588245035.jpg
 
SAN VINCENZO FERRER sacerdote
Vincenzo nacque a Valenza, in Spagna, nel 1350, ed era figlio di un notaio. Entrò nel convento domenicano della sua città, dove studiò e, in seguito, insegnò logica, filosofia e teologia. In quegli anni, la cristianità stava vivendo anni difficili, confusi: è l’età del “grande scisma d’Occidente”. A Roma viene eletto dai cardinali papa Urbano VI; ma una crisi tra l’eletto e gli elettori portò a una rottura e alla conseguente elezione di un secondo papa, Clemente VII, che si stabilì ad Avignone. Si crearono, così, due schieramenti politici, gli stati europei si divisero tra i due papi, il mondo era caduto nello sconcerto e nell’incertezza. Di fronte alla situazione creatasi, Vincenzo scelse di seguire papa Clemente VII, divenendo collaboratore del cardinale Pedro de Luna, legato del papa ad Avignone, di cui fu successore col nome di Benedetto XIII. Sempre più inquieto per la divisione della Chiesa, Vincenzo ebbe una visione, nella quale gli apparve il Signore con san Domenico e san Francesco. Il Signore gli ordina di mettersi in viaggio e conquistare molte anime. Vincenzo lasciò Avignone per dedicarsi a intense campagne di predicazione. Egli predicava con passione, con straordinaria energia, le parole arrivavano alla coscienza disorientata dei fedeli: invitava i cristiani alla penitenza, alla riforma dei costumi, a una autentica conversione. Sollecitava una riforma della Chiesa. Vincenzo si adoperò, perché la Chiesa ritornasse all’unità e condusse una segreta attività diplomatica per porre fine allo scisma. L’atto finale fu nel 1416, quando egli dovette annunciare all’irriducibile Benedetto XIII la decisione del re d’Aragona di sottrarsi all’“obbedienza” del papa di Avignone. Un nuovo Concilio riunito a Costanza eleggeva il nuovo e unico papa della Chiesa Cattolica, Martino V. In seguito, Vincenzo continuò a camminare e a predicare, dedito a una fruttuosa opera di evangelizzazione.FB_IMG_1680670215970.jpg
 
GIOVEDÌ SANTO – CENA DEL SIGNORE
Oggi si celebra “l’Ultima Cena” che Gesù tenne insieme ai suoi Apostoli, nella ricorrenza della Pasqua ebraica. La Pasqua è la solenne festa ebraica, che rievoca le meraviglie che Dio compì nella liberazione degli Ebrei dalla schiavitù egiziana. In questa occasione, si consuma l’agnello ed è permesso mangiare solo pane senza lievito, il pane “azzimo”. Durante la Cena, Gesù con gli Apostoli parlò molto, con parole di commiato, di profezia, di promessa, di consacrazione. Col gesto della lavanda diede loro una grande lezione d’amore, perché i discepoli lo dovranno seguire sulla via della generosità totale nel donarsi a tutti i fratelli nell’umanità, anche se considerati, per casta o per cultura, inferiori. Ma quanti gesti e parole inusuali, quella sera, forse non subito compresi. Egli fece il dono più prezioso all’umanità, il Sacramento dell’Eucarestia, che si perpetua in ogni angolo della Terra e come Lui disse: “fate questo in memoria di me” (Lc 22,19) e del sacrificio che ha fatto per la nostra salvezza. Lo sguardo di Gesù era rivolto oltre la sua morte imminente e rassicurava i discepoli: “Ma il Consolatore, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, Egli vi insegnerà ogni cosa... Vi lascio la pace, vi dò la mia pace… Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore. Avete udito che vi ho detto: vado e tornerò a voi…” (Gv 14,26-28). Un colloquio di grande suggestione e ricco di emozioni, perché in undici hanno creduto in Lui, veramente Figli di Dio, lo hanno seguito in quegli anni, disposti a proseguire il suo messaggio di salvezza. Ma il tradimento di Giuda si stava consumando e Gesù si ritirò nell’Orto degli Ulivi a pregare. La sua preghiera fu: “La mia anima è triste fino alla morte” (Mc 14,34).
Inizia così la Passione di Gesù: il rito prevede la reposizione dell’Eucaristia in una cappella laterale delle chiese; tutto viene oscurato in segno di dolore, le campane tacciono, l’altare diventa disadorno, il tabernacolo vuoto con la porticina aperta, i Crocifissi coperti.FB_IMG_1680770550951.jpg
 
SABATO SANTO

Il Sabato Santo è il giorno del silenzio, del raccoglimento, della meditazione per Gesù che giace nel sepolcro; solo dopo verrà la gioia della Domenica di Pasqua con la sua Resurrezione, ma il sabato regna il silenzio del riposo della morte. Anche i Vangeli tacciono: il racconto della Passione di Gesù si ferma alla sera del venerdì, all’apparire delle prime luci del sabato e riprende il terzo giorno. Il Sabato Santo è l’unico giorno senza celebrazione eucaristica: tacciono le campane, nessuna candela accesa nelle chiese spoglie, nessun canto. Anche la preghiera si fa silenziosa ed è carica di attesa: attesa di ciò che cambierà ogni cosa, ogni storia. Il Signore è morto nella carne ed è disceso nel Regno degli Inferi e con la sua morte ha distrutto la morte stessa in un mirabile combattimento. Così il Sabato Santo è un tempo capace di germinare la vita, è quindi un crescere del tempo verso il trionfo della vita nuova: il suo silenzio è un tempo carico di energie e di vita. Il Sabato Santo, Dio sembra assente, il dolore appare senza senso e Lui, dov’è? Sabato Santo è anche per chi nel suo cammino di fede incontra le tenebre, vede vacillare la propria fede, non riesce a nutrire speranza. Appare un giorno privo di sensibilità, in cui la fiducia svanisce… ma, è bene vederlo come un tempo in cui il disfacimento del nostro essere esteriore fa spazio alla crescita del nostro uomo interiore… allora, ognuno potrà dire del suo Sabato Santo: “Dio veramente era qui accanto a me, ma io non lo sapevo!” (Gen 28,16). L’aurora della Pasqua segue sempre il Sabato Santo!

Ispirato a un testo di E. BianchiFB_IMG_1680933692881.jpg
 
PASQUA DI RISURREZIONE DEL SIGNORE
La Chiesa, al suono festante delle campane, proclama l’annuncio pasquale: Cristo è risorto, Egli vive al di là della morte, è il Signore dei vivi e dei morti. In quella che risulta essere, nella storia, la “notte più chiara del giorno”, la Parola onnipotente di Dio, Creatore di cieli e terra, che ha fatto l’uomo a sua immagine e somiglianza, chiama a una vita immortale l’“uomo nuovo”, Gesù di Nazareth. Pasqua è annuncio della risurrezione, della vita che non sarà distrutta. Gli Apostoli hanno il compito di testimoniare che Cristo è vivo e la Chiesa, nata dalla Pasqua di Cristo, lo testimonia a ogni generazione. Questa vita nuova è tutta da costruire nell’oggi in modo nuovo: Pasqua è oggi, è ogni giorno dell’esistenza umana e cristiana. È compito dei cristiani testimoniare che la vita può essere più ricca, più gioiosa, più piena, se vissuta come insegnato dal mistero pasquale, cioè che essa passa attraverso la morte soltanto per risorgere. Ogni volta che il male è vinto, ogni volta che un gesto di amicizia rivela a un fratello l’amore del Padre, ogni volta che compiamo un sacrificio per il fratello, ogni volta che aiutiamo gli altri a vivere una gioia, realizziamo la Pasqua. Si afferma quel “mondo nuovo” nel quale la “gloria della risurrezione” sarà pienamente realizzata. Il Signore ci invita a uscire dalle ricchezze e dagli egoismi personali; a uscire dal peccato che avvelena il cuore; a uscire e ad allargare la cerchia degli interessi, facendo della nostra vita un servizio d’amore. Il Signore ci invita ad andare verso la novità del Cristo, a seguire la strada del Vangelo, seminando gioia, annunciando che Cristo è vivo e risorto. La vita sarà, allora, un canto di “Alleluia!”.

Ispirato a un testo di M. MagrassiFB_IMG_1681022163948.jpg
 
IL LUNEDI’ DELL’ANGELO
Il Lunedì dell’Angelo, comunemente chiamato lunedì di Pasquetta, segue la domenica di Pasqua ed è il giorno in cui i cristiani ricordano l’incontro dell’Angelo con le tre donne, giunte al sepolcro, dove Gesù era stato seppellito il giorno della sua Crocifissione. Il Vangelo racconta che Maria di Magdala, Maria madre di Giacomo e Giuseppe, e Salomè andarono al sepolcro, con degli olî aromatici per imbalsamare il corpo di Gesù. Trovarono che la grande pietra che lo chiudeva era stata rimossa; le tre donne erano smarrite e preoccupate e mentre cercavano di capire cosa fosse successo, apparve un angelo che disse loro: "So che cercate Gesù il crocifisso. Non è qui! È risorto come aveva detto" (Mc 16,1-7). E le invitò a dare l’annuncio agli Apostoli. La tradizione ha spostato questo evento dalla mattina di Pasqua al giorno successivo, il lunedì, forse perché i Vangeli parlano de "il giorno dopo la Pasqua", anche se quella a cui si allude è la Pasqua ebraica, che cadeva di sabato. Il lunedì dell’Angelo, in Italia, è un giorno di festa che si trascorre insieme a parenti e amici facendo la tradizionale gita o scampagnata. Una interpretazione di questa consuetudine, potrebbe essere che si vogliano ricordare i discepoli diretti a Emmaus, a pochi chilometri da Gerusalemme, ai quali Gesù apparve lo stesso giorno della Resurrezione. Così, per ricordare quel viaggio, si trascorre la Pasquetta facendo una passeggiata o una scampagnata all’aperto.
La festa civile del lunedì di Pasqua fu introdotta dallo Stato italiano nel dopoguerra, con lo scopo di allungare la festa della Pasqua, così come è per il 26 dicembre, il giorno che segue il Natale.FB_IMG_1681108766185.jpg
 
SANTA GEMMA GALGANI vergine
Gemma nacque nel 1878, in provincia di Lucca. A soli otto anni perse la madre, sua maestra di fede e poco dopo morì anche il padre, farmacista del paese. La famiglia Galgani, composta di sei fratelli e con loro vivevano anche due zie, dovette affrontare grandi sofferenze per le ristrettezze economiche. Nel frattempo, Gemma ricevette l'ispirazione di seguire con impegno la via della croce, come suo itinerario cristiano. Ella dialogava col suo Angelo custode, il quale le anticipò che i gioielli di una sposa del Crocifisso sono la croce e le spine. Gemma si ammalò gravemente, perdendo l’uso delle gambe. Fu il passionista san Gabriele dell’Addolorata, che apparendole, la confortò e fu anche sua guida spirituale. Gemma pativa grandi sofferenze e passava i giorni nella preghiera, ma quando sembrava non ci fosse più nulla da fare, accostatasi all’eucaristia, guarì miracolosamente. La ragazza continuò il suo cammino e, la sera della festa dell’Immacolata, fece voto di verginità. Ma grazie più grandi l’attendevano, infatti, ricevette l’apparizione di Gesù con Maria e il suo Angelo custode: dalle ferite di Gesù uscivano fiamme che toccavano le mani, i piedi e il cuore di Gemma. Gemma si sentì come morire, ma Maria la sorreggeva. Alla fine, Gemma si trovò in ginocchio e provava un forte dolore alle mani, ai piedi e al cuore e vi usciva sangue. Quei dolori, però, le davano una pace perfetta. Da quel momento, ogni settimana, Gesù la chiamò a collaborare nell’opera della salvezza, unendola alle sue sofferenze fisiche e spirituali. Tutto ciò, per Gemma fu motivo di gioia e di dolore insieme. La fanciulla dovette lasciare la sua casa e venne accolta nella casa dei coniugi Giannini, come una vera figlia. Ma, la sua condizione era davvero particolare: cadeva in estasi, in preghiera sudava sangue, le apparivano sul corpo delle ferite, i segni della Passione di Gesù. Così Gemma venne sottoposta a esami medici, ma di fronte al dolore fisico e alle prove morali, non diceva nulla, la sua serenità era straordinaria, era obbediente, anzi viveva la sofferenza in maniera “normale”. Morì di Sabato Santo, a 25 anni. Gemma, una piccola grande mistica, sempre in affettuoso colloquio con Gesù, sorridente davanti alle difficoltà più dure. Un’anima candida, contemplativa, orante, che visse nel riserbo e operò conversioni. Santa, perché ha accolto il peso della sofferenza di Cristo in maniera silenziosa, restituendo il coraggio e la fede a tante persone sfiduciate.FB_IMG_1681193224146.jpg
 
SAN GIUSEPPE MOSCATI laico
Giuseppe fu uno dei medici più conosciuti nella Napoli dei primi del Novecento. Egli nacque a Benevento, nel 1890, settimo dei nove figli, di Francesco Moscati, magistrato e Rosa de Luca, di famiglia aristocratica. Era una famiglia di salde tradizioni religiose. Presto dovette trasferirsi a Napoli per seguire il padre. Qui, Giuseppe non scelse gli studi giuridici, rompendo così la tradizione di famiglia, ma si iscrisse a Medicina. Sembra che dalla sua finestra potesse vedere l’Ospedale degli Incurabili, cosa che risvegliò in lui sentimenti di pietà verso i pazienti ricoverati. La scelta della professione medica derivò per lui da una forte vocazione. Egli si trovò a operare in un’epoca in cui grande era il prestigio della Scuola medica napoletana e stava emergendo la figura professionale del medico. La sua carriera fu rapida e coronata da fama e riconoscimenti; la sua vita fu tutta dedicata alla professione tra ospedale, visite mediche e lezioni agli allievi. Prestava profonda attenzione al paziente, le sue visite non erano mai sbrigative, ma aveva cura di osservare tutte le manifestazioni delle patologie, gettando anche le basi del rapporto di fiducia medico-paziente. E aveva cura non solo del corpo, ma anche dello spirito del paziente: di frequente, consigliava all’ammalato, accanto alla terapia medica, di confessarsi e di ricevere i sacramenti. Medico autorevole, avrebbe potuto diventare ricco, ma egli era il medico di tutti, dei poveri in particolar modo e non chiedeva compenso là dove c’erano difficoltà economiche, anzi si premurava di procurare le medicine necessarie alla cura. Uomo generoso, condusse una vita ritirata, sobria, fondata sulla preghiera.FB_IMG_1681275175852.jpg
 
SAN GIUSEPPE MOSCATI laico
Giuseppe fu uno dei medici più conosciuti nella Napoli dei primi del Novecento. Egli nacque a Benevento, nel 1890, settimo dei nove figli, di Francesco Moscati, magistrato e Rosa de Luca, di famiglia aristocratica. Era una famiglia di salde tradizioni religiose. Presto dovette trasferirsi a Napoli per seguire il padre. Qui, Giuseppe non scelse gli studi giuridici, rompendo così la tradizione di famiglia, ma si iscrisse a Medicina. Sembra che dalla sua finestra potesse vedere l’Ospedale degli Incurabili, cosa che risvegliò in lui sentimenti di pietà verso i pazienti ricoverati. La scelta della professione medica derivò per lui da una forte vocazione. Egli si trovò a operare in un’epoca in cui grande era il prestigio della Scuola medica napoletana e stava emergendo la figura professionale del medico. La sua carriera fu rapida e coronata da fama e riconoscimenti; la sua vita fu tutta dedicata alla professione tra ospedale, visite mediche e lezioni agli allievi. Prestava profonda attenzione al paziente, le sue visite non erano mai sbrigative, ma aveva cura di osservare tutte le manifestazioni delle patologie, gettando anche le basi del rapporto di fiducia medico-paziente. E aveva cura non solo del corpo, ma anche dello spirito del paziente: di frequente, consigliava all’ammalato, accanto alla terapia medica, di confessarsi e di ricevere i sacramenti. Medico autorevole, avrebbe potuto diventare ricco, ma egli era il medico di tutti, dei poveri in particolar modo e non chiedeva compenso là dove c’erano difficoltà economiche, anzi si premurava di procurare le medicine necessarie alla cura. Uomo generoso, condusse una vita ritirata, sobria, fondata sulla preghiera.Vedi l'allegato 2257246
Se non sbaglio hanno fatto pure un film su questo grande medico
 
SAN CESARE DE BUS sacerdote e fondatore
Cesare de Bus nacque a Cavaillon, in Francia, nel 1544, da una famiglia italiana. Nella sua prima giovinezza predilesse la vita militare e di corte, conducendo una vita agiata e dandosi ai piaceri dell’alta società. Una grave malattia lo spinse a profonde riflessioni interiori e ad aver cura dell’aspetto spirituale della sua persona, fino a giungere alla conversione. Questo cammino lo portò alla crescita di una vita nuova e scelse il sacerdozio. Sin dai primi passi si sentì chiamato all’attività del catechismo. Cesare viaggiò nelle campagne arretrate, dove vi era molta ignoranza religiosa tra la gente semplice. L’idea era di diffondere il catechismo ed egli non si limitò a catechizzare solo i bambini, ma studiò una catechesi per l’intera famiglia, pensando che in questo modo si poteva combattere l’ignoranza del popolo. Cesare fondò una nuova congregazione, che chiamò Preti della Dottrina Cristiana o dottrinari. I membri vivevano in comunità senza pronunciare i voti religiosi; ma in un secondo momento comprese il valore del fatto che formulassero almeno i primi voti. Formò anche un gruppo di religiose, le Figlie della Dottrina Cristiana. La sua vita spirituale era caratterizzata dallo spirito di penitenza, egli si offriva totalmente a Dio, abbandonandosi al suo volere. Attraverso l’insegnamento del catechismo riuscì a diffondere ampiamente il messaggio dell’amore di Dio e della redenzione per opera di Gesù.
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