Novità

Frate Indovino

SANTA FLAVIA DOMITILLA martire
Abbiamo notizie del martirio di Flavia Domitilla per quanto riportato nella “Storia Ecclesiastica” di Eusebio di Cesarea, il quale scrisse: “Tramandano che nell’anno quindicesimo di Domiziano, Flavia Domitilla, nipote per parte della sorella di Flavio Clemente, allora uno dei consoli di Roma (95 d.C.), insieme con numerose altre persone fu deportata nell’isola di Ponza per avere confessato Cristo”. Anche Dione Cassio, nella “Historia romana”, ha scritto che l’imperatore Domiziano “Tolse la vita anche a Flavio Celemente – suo cugino – e alla moglie Flavia Domitilla, anch’ella consanguinea”. Furono condannati a morte per “ateismo”, perché questa era l’accusa che veniva fatta contro i primi cristiani. Le due citazioni, però, non parlano della stessa persona. Successive ricerche storiche portarono a distinguere la prima Domitilla quale nipote di Flavio Clemente, mentre la seconda come moglie del console, dal quale ebbe sette figli. Entrambe furono vittime della persecuzione di Diocleziano. Flavia Domitilla la minore, ossia la nipote di Flavio Clemente, per la sua fede in Cristo, fu deportata a Ponza dove soffrì un lungo martirio.FB_IMG_1683440482139.jpg
 
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BEATA VERGINE MARIA DEL ROSARIO DI POMPEI
Oggi si celebra la festa della Beata Vergine Maria del Rosario di Pompei.
Il Rosario, preghiera amata da numerosi santi, porta in sé l’intero messaggio evangelico. Recitarlo insieme a Maria vuol dire riuscire a fare esperienza della profondità dell’Amore di Cristo.
In questo giorno solenne, chiediamo alla Vergine Maria di ottenerci le grazie di cui abbiamo bisogno…FB_IMG_1683521321549.jpg
 
SANT’IGNAZIO DA LACONI religioso
La madre, a causa di una gravidanza difficile, lo aveva consacrato, ancora nel grembo, a san Francesco. A diciotto anni si ammalò gravemente e fece voto di entrare fra i Cappuccini se fosse guarito. Ma ritardando il giorno del compimento della promessa, una cavalcata pazza su un cavallo imbizzarrito, risolve il problema: Vincenzo, “Su santixeddu”, a vent’anni entra in convento con il nome di fra’ Ignazio da Làconi. Il noviziato delineò in lui la tipica fisionomia del fratello Cappuccino: uomo semplice, umile, nel caso di Ignazio anche analfabeta, ma di grande preghiera e profonda fede, sorridente e sereno in ogni circostanza, obbediente, vicino alla gente in mezzo alla quale lasciava come una scia di Vangelo vivente. Camminava sempre a occhi bassi e corona in mano. La gente al suo passaggio si poneva in atteggiamento di rispetto. Non accettava più del necessario. Dove passava fiorivano fatti straordinari con una “normalità” disarmante. E insieme ai miracoli scaturiva la fede. Un certo Franchino, negoziante carico di soldi, si lamentò che fra’ Ignazio non andava a questuare in casa sua. Su richiamo del superiore, fra’ Ignazio andò e ricevette una cospicua offerta in danaro, che fece mettere nella bisaccia. Andando verso il convento dalla bisaccia cominciò a gocciolare sangue. Al superiore il frate spiegò che era sangue di poveri che il commerciante estorceva con l’usura. La lezione servì, e Franchino restituì ciò che doveva. Un’altra volta, chiese dell’olio a un benefattore e, non sapendo dove metterlo, lo fece versare nella bisaccia. L’olio arrivò al convento e non se ne perse una goccia. Il benefattore donò al convento l’intera botte (che si chiamò botte di fra’ Ignazio). E si potrebbe continuare all’infinito. Può sicuramente interessare il fatto che a testimoniare questi prodigi c’era, tra gli altri, un pastore protestante evangelico, presente in quel periodo in Sardegna, perché cappellano al seguito di un reggimento di fanteria tedesco, un certo Joseph Fues, che documenta questi fatti e stila anche un elenco dei miracoli più significativi nel suo libro “La Sardegna nel 1773-1776”, Lipsia, 1780. Come si vede, un testimone non di parte.FB_IMG_1683783956851.jpg
 
SAN PANCRAZIO martire
Pancrazio nacque nell’anno 289 d.C. in Frigia, una provincia consolare romana dell’Asia Minore. La sua famiglia era ricca e di origine romana, ma i genitori di Pancrazio morirono giovani, lasciandolo orfano. Pancrazio fu cresciuto dallo zio Dionisio. I due si trasferirono a Roma e qui conobbero una comunità cristiana. La conoscenza di Cristo infiammò i loro animi e presto ricevettero il Battesimo. Era il tempo in cui scoppiò la persecuzione dell’imperatore Diocleziano contro i cristiani e chiunque si rifiutava di sacrificare agli dei era condannato a morte. Pancrazio venne arrestato e anche a lui fu chiesto di adorare gli dei, ma si rifiutò. A nulla valsero le minacce dell’imperatore per fargli rinnegare la fede in Cristo, anzi la forza della sua fede emerse tutta nell’interrogatorio che subì, lasciando stupiti i presenti. Fu condannato alla decapitazione a soli quattordici anni.
Il nome Pancrazio, in greco, significa “lottatore”, e fa riferimento alla lotta che il giovane combatté per tenere salda la sua fede cristiana.FB_IMG_1683869478589.jpg
 
BEATA VERGINE MARIA DI FATIMA
La Grande Guerra divampava e, il 13 maggio 1917, in un piccolo villaggio portoghese, a tre pastorelli apparve la Madonna. Nell’apparizione del 13 luglio, la Madonna affidò ai pastorelli un messaggio per il mondo intero. Quanto da lei detto si realizzò: la rivoluzione bolscevica in Russia, la diffusione del comunismo, le sanguinose persecuzioni contro la Chiesa e la seconda guerra mondiale. Nell’ultima apparizione del 13 ottobre, migliaia di persone erano in Cova di Iria, in attesa di quel segno che aveva promesso e che ci fu: il vorticare del sole nel cielo. Consegnò alla veggente Lucia dos Santos un segreto che doveva essere rivelato nel 1960, come espresso dalla Madonna, ma Papa Giovanni XXIII lo custodì, perché considerò terribile il suo contenuto. Nel 2000, invece, Papa Giovanni Paolo II divulgò il terzo segreto che riguardava una visione di Lucia. Questo il testo che egli rese pubblico: “La terza parte del segreto rivelato il 13 luglio 1917 nella Cova di Iria-Fatima.
[…] Dopo le due parti che già ho esposto, abbiamo visto al lato sinistro di Nostra Signora un poco più in alto un Angelo con una spada di fuoco nella mano sinistra; scintillando emetteva fiamme che sembrava dovessero incendiare il mondo; ma si spegnevano al contatto dello splendore che Nostra Signora emanava dalla sua mano destra verso di lui: l'Angelo indicando la terra con la mano destra, con voce forte disse: Penitenza, Penitenza, Penitenza! E vedemmo in una luce immensa che è Dio: “qualcosa di simile a come si vedono le persone in uno specchio quando vi passano davanti” un Vescovo vestito di Bianco “abbiamo avuto il presentimento che fosse il Santo Padre”. Vari altri Vescovi, sacerdoti, religiosi e religiose salire una montagna ripida, in cima alla quale c'era una grande Croce di tronchi grezzi come se fosse di sughero con la corteccia; il Santo Padre, prima di arrivarvi, attraversò una grande città mezza in rovina e mezzo tremulo con passo vacillante, afflitto di dolore e di pena, pregava per le anime dei cadaveri che incontrava nel suo cammino; giunto alla cima del monte, prostrato in ginocchio ai piedi della grande Croce venne ucciso da un gruppo di soldati che gli spararono vari colpi di arma da fuoco e frecce, e allo stesso modo morirono gli uni dopo gli altri i Vescovi, sacerdoti, religiosi e religiose e varie persone secolari, uomini e donne di varie classi e posizioni. Sotto i due bracci della Croce c'erano due Angeli ognuno con un innaffiatoio di cristallo nella mano, nei quali raccoglievano il sangue dei Martiri e con esso irrigavano le anime che si avvicinavano a Dio”.
Tuy, 3-1-1944.
(Congregazione per la Dottrina della Fede – Messaggio di Fatima)FB_IMG_1683955309501.jpg
 
SAN MATTIA apostolo
Mattia, probabilmente, nacque a Betlemme, da una illustre famiglia della tribù di Giuda. Come scrive lo stesso Pietro negli “Atti degli Apostoli”, egli fu uno di quegli uomini che accompagnò i dodici per tutto il tempo che Gesù Cristo visse con loro, a cominciare dal battesimo nel fiume Giordano fino all'Ascensione al cielo. Cioè, era uno dei 72 discepoli designati dal Signore e da lui mandati, a due a due, in ogni città dove stava per arrivare. Con il tradimento di Giuda e la sua morte, il gruppo degli Apostoli era diventato di undici uomini. Dopo l’Ascensione del Signore, essi erano a Gerusalemme e, trascorrevano il tempo nel Cenacolo in preghiera con Maria e le altre donne. Pietro, capo di quella prima comunità cristiana, spiegò che era necessario che uno dei 72 divenisse testimone della Risurrezione insieme al gruppo degli undici. Tra tutti furono scelti due: Giuseppe detto il Giusto, e Mattia. Poi tirarono la sorte, che designò Mattia. Mattia, in ebraico “dono di Jahvè”, completò il numero simbolico dei dodici Apostoli, raffigurante i dodici figli di Giacobbe e quindi le dodici tribù d'Israele. “Apostolo” in greco vuol dire “inviato” e i dodici si dispersero nel mondo per dare testimonianza della Risurrezione di Cristo. Essi, nel nome di Gesù risorto, convertirono popoli, battezzarono credenti, operarono miracoli. Mattia stesso compì la sua testimonianza fino al martirio, anche se non si conoscono con certezza le località che visitò e dove si fermò.FB_IMG_1684046326899.jpg
 
SANT’ISIDORO laico
Isidoro nacque a Madrid da una famiglia di contadini molto povera ed egli stesso fu contadino tutta la vita e chiamato per questo l’Agricoltore. Non sapeva né leggere, né scrivere, ma sapeva parlare con Dio e a Dio dedicava molto tempo. Anche mentre lavorava, se aveva il bisogno di pregare, si appartava e Dio per premiarlo della sua devozione lo ricompensava facendo trainare l’aratro dagli angeli. Alcuni lavoratori ne provavano invidia, così un giorno lo denunciarono al padrone per essere assente. Il padrone verificò lo stato dei terreni a lui affittati e li trovò perfettamente coltivati. Allora, gli altri lavoratori lo denunciarono per furto, perché Isidoro faceva sempre l’elemosina ai bisognosi, ma il padrone scoprì che egli prendeva il grano da un sacco il cui livello rimaneva invariato e che i suoi conti erano in ordine. Nella preghiera e nelle opere di carità, Isidoro era accompagnato dalla moglie Maria e insieme avanzarono sulla strada della perfezione, sostenendosi a vicenda nel sopportare i dolori della vita, come quello della morte del loro unico figlio avvenuta in tenera età. Isidoro l’Agricoltore è il patrono dei raccolti e dei contadini.FB_IMG_1684125891823.jpg
 
SANT’UBALDO vescovo
Ubaldo nacque a Gubbio intorno al 1085. Era orfano di genitori e venne educato da uno zio molto religioso, che, malgrado la sua sensibilità, si oppose al desiderio del ragazzo di scegliere una vita solitaria e di preghiera. A Ubaldo concesse, però di unirsi a una famiglia di canonici di San Secondo. Dopo qualche anno, Ubaldo fu ordinato sacerdote, si ritirò nel monastero di Fonte Avellana e lì il suo primo impegno fu di intraprendere l’opera di riforma della Chiesa. Nel 1129, papa Onorio II, nominatolo vescovo, gli affidò la cura della diocesi di Gubbio, dove fu quindi costretto a ritornare. Gubbio era, infatti, una città inquieta, divisa in fazioni da feroci discordie che opponevano casato contro casato. E spesso tra questi scorreva il sangue, che stava sporcando l’intera città. Ubaldo si offrì come mediatore e finì per rischiare anche la propria vita, cercando di sedare un violento scontro: egli si era gettato nella mischia tra gli avversari, supplicandoli di cessare la lotta, ma ne era stato travolto. Quando gli eugubini si accorsero che avevano colpito il loro vescovo e che costui era steso per terra, si fermarono, preoccupati per Ubaldo e pentiti della loro scelleratezza. Da quel giorno, la città ritrovò la pace e l’affetto per quel vescovo sempre pronto a difendere il suo popolo dall’arroganza dei potenti. Ubaldo resse la città per più di trent’anni, proteggendola anche dalla furia crudele di Federico Barbarossa. Quando Federico si avvicinò alla città, Ubaldo andò incontro all’imperatore armato solo della forza della fede e della sua dignità episcopale. Barbarossa, fu colpito da tutto il coraggio dimostrato dal religioso e decise di risparmiare la città.FB_IMG_1684216294592.jpg
 
SAN PASQUALE BAYLON francescano
Nato a Torre Hermosa, in Aragona, il giorno di Pentecoste del 1540, mostrò sin da bambino grande amore per l’Eucaristia e desiderio di pregare. Di umili origini, venne avviato al pascolo delle greggi e, mentre custodiva le sue pecore, aveva il tempo per pregare, meditare e contemplare. Oltre a ciò, si dedicò a penitenze, mortificazioni e digiuni. A diciotto anni chiese di essere accolto nel convento dei Francescani Alcantarini, da cui venne respinto per la giovane età. I due anni successivi li trascorse al servizio del ricco signore Martino Garcia. Quest’ultimo, edificato dalle virtù di Pasquale, gli propose di divenire suo erede universale. Ma Pasquale, nel 1564, fu ammesso finalmente nel convento, dove preferì rimanere fratello laico e svolgere vari servizi. Fu portinaio, compito che gli permise di incontrare molte persone, che si rivolgevano a lui come a una guida preziosa. Egli aveva il dono della sapienza infusa e, benché illetterato, consigliava sempre in modo adeguato. Per questo, furono molti gli uomini illustri che ricorsero ai suoi consigli. Tutta la sua vita fu caratterizzata dall’amore per l'Eucaristia, egli ne penetrò la profondità del mistero, cosa che gli valse il titolo di “teologo dell'Eucaristia”. Operò molti miracoli. Morì il giorno di Pentecoste del 1592.FB_IMG_1684299528880.jpg
 
SAN FELICE DA CANTALICE cappuccino

Felice Porri emise la professione religiosa tra i Cappuccini nel 1545 ed esercitò quasi esclusivamente, per 40 anni a Roma, l’ufficio di questuante. Un frate con la bisaccia sulle spalle, scalzo, i calcagni solcati da grossi spacchi che si cuciva da sé con ago e spago da calzolaio, sempre gioioso e pronto alla battuta sapiente e arguta. Quando passava per le strade e le borgate di Roma, i bambini gli correvano incontro per fargli festa e spizzicare qualcosa dalla sua bisaccia; e quando si diffuse la notizia della sua morte la gente prese a scavalcare anche le mura del convento, per venerarne la salma. Numerosi gli episodi che si raccontano di lui e che emanano il profumo dei fioretti. Come quando i ragazzi del Collegio Romano gli infilarono un “giulio” (moneta dell’epoca) nella bisaccia. Fra’ Felice, che non voleva sapere niente di denaro, cominciò a sentire la bisaccia che si faceva sempre più pesante. Corse alla chiesa più vicina, rovesciò tutto a terra e trovò la moneta, responsabile di tutto quell’incomodo. Un giorno, si trovava in casa dell’avvocato Bernardino Biscia quando fu portata una giovenca. Sentendola muggire, fra’ Felice disse all’avvocato: «Messer Bernardino, intendi il linguaggio di quella vitella? Ti chiede di dar ragione a chi te la manda. Stai attento che non si converta a tua dannazione il giorno del Giudizio». Egli non aveva paura di nessuno. Al terribile Sisto V predisse il papato dicendo: «Quando sarete Papa, fate da Papa per la gloria di Dio e il bene della Chiesa. Altrimenti è meglio che restiate semplice frate». E quando il Papa lo incontrava, voleva una delle sue pagnotte questuate in città e la mangiava con devozione alla mensa papale. Un giorno, fra’ Felice gliene diede una nera nera: «Scusate, Santo Padre, ma pure voi siete frate». Sono passate alla storia le scenette tra lui e san Filippo Neri quando si incontravano. Fra’ Felice offrì da bere a san Filippo nella sua zucca: «Bevi, e vedremo se sei veramente mortificato». E Pippo buono cominciò a bere sul serio. Poi restituì lo scherzo a fra’ Felice infilandogli in testa il suo cappello. «Se me lo rubano o me lo fan volare», diceva Felice, «il danno sarà tutto tuo». E la gente sorrideva ammirata: «Un Santo dà da bere a un altro Santo!».FB_IMG_1684389736998.jpg
 
SAN CRISPINO DA VITERBO cappuccino

Pietro Fioretti nacque a Viterbo nel 1668. Lavorò fino a 25 anni nella bottega dello zio calzolaio, per poi entrare tra i Cappuccini prendendo il nome di fra’ Crispino da Viterbo. Per 40 anni esercitò l’ufficio di cercatore a Orvieto. Godeva di una popolarità incredibile, anche tra personalità eminenti, non solo per la sua amabilità nel conversare, o nel recitare ottave del Tasso, ma anche per i miracoli, che lui attribuiva sempre alla Madonna. Dopo aver guarito il cameriere personale del Papa Clemente XI, si sentì dire dal medico dello stesso Papa: «Così la vostra trïaca ha più virtù di quella di noi medici?». E fra’ Crispino: «Caro Monsignore, voi siete dotto, e lo sa tutta Roma; ma la mia Madonna ne sa più di tutti voi medici messi insieme». La maggior parte del tempo la passava tra la gente. Questuava soltanto il necessario per il convento. A chi lo forzava a prendere il di più, diceva: «E che, volete essere soltanto voi ad andare in Paradiso?». Questuò più per la grande famiglia orvietana che per i frati. Attingeva da tutti, ma a un nobile che chiedeva di essere guarito rispose che, se voleva la guarigione del corpo, doveva prima preoccuparsi di risanare l’anima, pagando i suoi creditori. Era anche l’uomo della pace. Egli era un misto di ingenuità, di mitezza e di cortese cavalleria. Per ogni situazione aveva le sue battute. Diceva: «Se vuoi salvarti l’anima devi voler bene a tutti, dir bene di tutti, fare del bene a tutti». Quando andò a visitare il cardinale Gualtieri, questi gli chiese perché non si fosse vestito in maniera più decente. Fra’ Crispino, allargando il mantello che necessitava di qualche rammendo, rispose: «Ma questo riluce da tutte le parti». Lui si proclamava “l’asino del convento”. Quando lo aiutavano a caricare la bisaccia diceva: «Carica l’asino e va alla fiera». A chi gli chiedeva perché non si coprisse mai il capo, rispondeva: «Perché siamo sempre alla presenza di Dio». Previde e predisse il giorno della sua morte. Né il 17, né il 18 maggio, ma il 19: per non turbare la festa di san Felice da Cantalice. Il suo corpo rimase sei giorni esposto alla venerazione dei fedeli, che poterono vedere in lui una delle più splendide figure di santità cappuccina.FB_IMG_1684472052830.jpg
 
SAN CRISPINO DA VITERBO cappuccino

Pietro Fioretti nacque a Viterbo nel 1668. Lavorò fino a 25 anni nella bottega dello zio calzolaio, per poi entrare tra i Cappuccini prendendo il nome di fra’ Crispino da Viterbo. Per 40 anni esercitò l’ufficio di cercatore a Orvieto. Godeva di una popolarità incredibile, anche tra personalità eminenti, non solo per la sua amabilità nel conversare, o nel recitare ottave del Tasso, ma anche per i miracoli, che lui attribuiva sempre alla Madonna. Dopo aver guarito il cameriere personale del Papa Clemente XI, si sentì dire dal medico dello stesso Papa: «Così la vostra trïaca ha più virtù di quella di noi medici?». E fra’ Crispino: «Caro Monsignore, voi siete dotto, e lo sa tutta Roma; ma la mia Madonna ne sa più di tutti voi medici messi insieme». La maggior parte del tempo la passava tra la gente. Questuava soltanto il necessario per il convento. A chi lo forzava a prendere il di più, diceva: «E che, volete essere soltanto voi ad andare in Paradiso?». Questuò più per la grande famiglia orvietana che per i frati. Attingeva da tutti, ma a un nobile che chiedeva di essere guarito rispose che, se voleva la guarigione del corpo, doveva prima preoccuparsi di risanare l’anima, pagando i suoi creditori. Era anche l’uomo della pace. Egli era un misto di ingenuità, di mitezza e di cortese cavalleria. Per ogni situazione aveva le sue battute. Diceva: «Se vuoi salvarti l’anima devi voler bene a tutti, dir bene di tutti, fare del bene a tutti». Quando andò a visitare il cardinale Gualtieri, questi gli chiese perché non si fosse vestito in maniera più decente. Fra’ Crispino, allargando il mantello che necessitava di qualche rammendo, rispose: «Ma questo riluce da tutte le parti». Lui si proclamava “l’asino del convento”. Quando lo aiutavano a caricare la bisaccia diceva: «Carica l’asino e va alla fiera». A chi gli chiedeva perché non si coprisse mai il capo, rispondeva: «Perché siamo sempre alla presenza di Dio». Previde e predisse il giorno della sua morte. Né il 17, né il 18 maggio, ma il 19: per non turbare la festa di san Felice da Cantalice. Il suo corpo rimase sei giorni esposto alla venerazione dei fedeli, che poterono vedere in lui una delle più splendide figure di santità cappuccina.Vedi l'allegato 2259640
Il mio Amministratore di condominio si chiama Crispino e sinceramente non mi sembra un santo
 
SAN BERNARDINO DA SIENA sacerdote

Rimase presto orfano e fu allevato dagli zii a Siena. Qui si dedicò allo studio delle Sacre Scritture e della teologia. Nel 1402 entrò nel convento di San Francesco in Siena. Proseguì i suoi studi, curando i grandi dottori della Chiesa, i teologi, gli asceti, soprattutto francescani. Più tardi, iniziò una predicazione strepitosa, percorrendo tutta l’Italia, componendo odi, delineando pace fra fazioni, suscitando vocazioni con un parlare rigoroso, ma semplice. A tutti propose un unico emblema: il trigramma del nome di Gesù. L’IHS in un sole raggiante acrostico di Iesus Hominum Salvator. Dovette sopportare tre processi dai quali emerse sempre la sua perfetta ortodossia. Nominato Vicario Generale di tutti i conventi dell’Osservanza in Italia, si diede a rinnovare lo spirito della Regola Francescana, preoccupandosi della formazione dei frati e predisponendo corsi di teologia e diritto. Morì a L’Aquila dove, davanti al corpo grondante prodigiosamente sangue, i rissosi cittadini si pacificarono.FB_IMG_1684559886217.jpg
 
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ASCENSIONE DEL SIGNORE
San Giovanni nel quarto Vangelo, pone il trionfo di Cristo nella sua completezza nella Resurrezione; anche gli altri tre evangelisti confermano che la vera ascensione, cioè la trasfigurazione e il passaggio di Gesù nel mondo della gloria, sia avvenuta il mattino di Pasqua, evento sfuggito a ogni esperienza e fuori da ogni umano controllo. Quindi, i testi evangelici invitano a collocare l’ascensione e l’intronizzazione di Gesù alla destra del Padre, nello stesso giorno della sua morte: Egli è tornato poi dal Cielo per manifestarsi ai suoi e completare la sua predicazione per un periodo di “quaranta” giorni. L’Ascensione raccontata da Luca, Marco e negli Atti degli Apostoli, non si riferisce al primo ingresso del Salvatore nella gloria, ma riguarda l’ultima apparizione e partenza con cui conclude le sue manifestazioni visibili sulla terra. Pertanto, l’intento dei racconti dell’Ascensione non è quello di descrivere il reale ritorno al Padre, ma di far conoscere alcuni tratti dell’ultima manifestazione di Gesù, una manifestazione di congedo, necessaria perché Egli deve ritornare al Padre per completare tutta la Redenzione: “Se non vado non verrà a voi il Consolatore, se invece vado ve lo manderò” (Gv 16,5-7).FB_IMG_1684649908647.jpg
 
SANTA RITA DA CASCIA vedova religiosa

Santa Rita visse tra il XIV ed il XV sec. Fu data in sposa ad un uomo violento, coinvolto in faide tra famiglie, che ella sopportò pazientemente, senza mai abbattersi e pregando. Rita riuscì a rendere più docile il marito che venne però ucciso per una vendetta. Nei due figli si accese la rabbia ed il desiderio di vendicare il padre. Fu così che Rita, nel timore di perdere i figli, pregò il Signore di prenderli con sé. Dopo poco, i due si ammalarono e morirono. Rimasta sola, assecondò la propria vocazione religiosa ed entrò nell’Ordine di Sant’Agostino, avendo perdonato i responsabili di tanta violenza. Nel Monastero condusse una vita umile, modesta, caritatevole. Un giorno, mentre era davanti al Crocifisso, le si conficcò una spina della corona di Cristo nella fronte, segno della condivisione dei dolori della Passione.FB_IMG_1684730890357.jpg
 

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