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Frate Indovino

ANGELI CUSTODI
Chi sono gli Angeli e che rapporto hanno col genere umano? La loro esistenza è un dogma di fede. Sono creature anche esse create da Dio e, nell’ordine della creazione, lo sono state prima degli uomini. L'origine del nome viene dal greco “ánghelos”, “messaggero”, che nel linguaggio biblico indica una persona inviata per svolgere un incarico, una missione. Gli Angeli sono esseri spirituali immortali e immutabili, dal corpo luminoso e sottile. Nella Bibbia si parla di essi, appunto, come di messaggeri ed esecutori degli ordini divini. Godono della visione del volto di Dio e proprio perché sono “innanzi a Dio”, “al cospetto di Dio o del suo trono” vengono definiti come “santi”, “figli di Dio”, “angeli di luce”, tutte espressioni che indicano il loro stato di beatitudine. Le specie angeliche sono molte e costituiscono la milizia celeste, suddivisa in nove gerarchie, cioè i nove Cori angelici: Serafini, Cherubini, Troni, Dominazioni, Potestà, Virtù celesti, Principati, Arcangeli, Angeli. La devozione per gli Angeli si sviluppò particolarmente nel Medioevo, quando i monaci eremiti richiedevano la compagnia di queste creature invisibili e le sentivano vicine nella loro vita di silenzio e raccoglimento. Oggi, invece, l’uomo trascura questa compagnia angelica e non avverte la presenza di un puro spirito, testimone dei pensieri e delle azioni umane. Si pensa che l’Angelo custode sia una figura che riguardi il mondo infantile e non si considera che anche gli adulti sono accompagnati da un amico di viaggio, silenzioso consigliere. Ogni cristiano, dal Battesimo, riceve il proprio Angelo custode che lo segue, lo ispira e lo guida per tutta la vita. Esso è esemplare perfetto di condotta da dover tenere nei riguardi di Dio e degli uomini: insomma, specchio della nostra condotta quotidiana.FB_IMG_1696221863504.jpg
 
SAN FRANCESCO D’ASSISI patrono d’Italia
Francesco nacque ad Assisi nel 1182 da Pietro di Bernardone, ricco mercante di stoffe e Madonna Pica. Da giovane, condusse una vita mondana. Partecipò alla guerra tra Assisi e Perugia, ma fu tenuto prigioniero per più di un anno, durante il quale patì per una grave malattia che lo indusse a mutare radicalmente lo stile di vita. Tornato ad Assisi, Francesco, in un primo momento, cercò di realizzare il suo sogno di diventare cavaliere e si preparò a partire per partecipare alla Crociata. Durante il viaggio, una voce lo trattenne dal proseguire, facendogli capire che il suo percorso era diverso. Tornò ad Assisi, si dedicò a opere di carità tra i lebbrosi e restaurò alcune chiese in rovina, come gli aveva suggerito una voce ascoltata attraverso il Crocifisso, nella chiesa di San Damiano. Il padre di Francesco, adirato per il cambiamento radicale del figlio e per la generosità con cui offriva i beni ai poveri, lo diseredò. Francesco rinunciò alla sua condizione agiata e davanti al vescovo Guido si spogliò dei suoi vestiti e indossò l’abito da eremita. Egli iniziò a predicare, raggruppando intorno a sé i primi compagni, che divennero i primi confratelli del Primo Ordine Francescano da lui fondato. La loro prima sede fu nella chiesetta della Porziuncola. Nel 1210, l'Ordine venne riconosciuto da Papa Innocenzo III. Nel 1212, fu seguito da santa Chiara d'Assisi. Ella indossò l'abito monastico e istituì il Secondo Ordine Francescano, detto delle clarisse. Nel 1219, Francesco si recò in Egitto, dove riuscì a incontrare il sultano, il quale rimase ammirato dalla personalità e dalla forza del frate. Tornato ad Assisi, trovò disaccordo tra i frati, rinunciò così all’incarico del governo. Si ritirò sul Monte della Verna, dove nel 1224, dopo una quaresima di digiuno e sofferenza affrontati con gioia, gli comparve un Serafino e gli fu fatto il dono delle stimmate. Francesco trascorse gli ultimi anni della sua vita nella sofferenza fisica e in una cecità quasi totale, ma non fu, per questo, indebolito l'amore per Dio e per la Creazione di cui aveva cantato le lodi tutta la vita. Morì nella notte tra il 3 e il 4 ottobre 1226.FB_IMG_1696416009582.jpg
 
SANTA FAUSTINA KOWALSKA vergine
Maria Faustina Elena nacque il 25 agosto 1905, terza di dieci figli, da famiglia contadina che viveva nel villaggio di Glogowiec, in Polonia. A vent’anni partì per Varsavia ed entrò nel convento delle Suore della Beata Vergine Maria della Misericordia. La vita di suor Faustina fu apparentemente ordinaria, svolgeva con diligenza tutti i lavori, osservava fedelmente le regole religiose, era riservata, silenziosa e nello stesso tempo piena di amore benevolo e disinteressato. La sua vita apparentemente monotona e grigia nascondeva una profonda e straordinaria unione con Dio. Il Signore l’ha colmata di grazie straordinarie: rivelazioni, visioni, stimmate nascoste, partecipazione alla passione di Cristo, dono della profezia e lo sposalizio mistico. Era molto devota alla Vergine che le apparì diverse volte. Nulla all’esterno tradiva la sua vita mistica così particolarmente ricca: compiva serenamente i suoi compiti di cuoca, giardiniera, portinaia. Ella, consapevole del suo ruolo, collaborava con la misericordia Divina nell'opera della salvezza delle anime smarrite e, rispondendo al desiderio e all'esempio di Gesù, offrì la sua vita in sacrificio. Il Signore aveva scelto suor Faustina come segretaria e apostola della Sua misericordia per trasmettere, attraverso di lei, un grande messaggio a tutti gli uomini: proclamare al mondo la verità sull’Amore Misericordioso di Dio, implorare la Misericordia Divina per tutto il mondo e per i peccatori, ispirare un movimento apostolico della Divina Misericordia. Per ordine del confessore scrisse il famoso “Diario” che compose seguendo il desiderio di Gesù, annotando fedelmente tutte le parole del Signore e rivelando così l’intimità della sua anima con Lui. È da questi scritti che si evince la profondità della vita spirituale di suor Faustina.FB_IMG_1696481563952.jpg
 
SAN BRUNO abate
Bruno nacque a Colonia, in Germania, prima del 1030 e fu maestro all’Università di Reims, in Francia. Era esperto di eloquenza, dialettica, dottrina, maestro esemplare per i suoi allievi. Ma, egli sentiva attrazione per la solitudine e la preghiera, così nel 1084, insieme a sei compagni si ritirò nella valle di Chartreuse, un luogo selvaggio e appartato, in latino “Carthusia”, dove poter vivere il Vangelo in maniera radicale. Lì diede origine alla prima Certosa, modello di quelle che seguirono, costituita da un oratorio, dove i monaci pregavano riuniti in coro e una cella singola per ciascuno di essi, in cui studiavano, lavoravano e pregavano. Nella Certosa si svolgeva una vita da eremiti con momenti comunitari. Un suo ex allievo di Reims fu eletto papa col nome di Urbano II. Costui lo chiamò a Roma come suo consigliere. Dopo poco, però, il monaco lasciò l’incarico per ritirarsi di nuovo in solitudine e fondò un’altra Certosa in Calabria, nella Foresta della Torre e vi trascorse gli ultimi anni della sua vita. Per Bruno, la Certosa era un autentico modello di povertà e di gioia, che si rifaceva alla Chiesa primitiva. La vita dei Certosini doveva essere orientata a servire il Signore col lavoro e a insegnare ai fratelli e alle famiglie i mestieri, mantenendo la fedeltà allo spirito primitivo.FB_IMG_1696579918088.jpg
 
BEATA VERGINE MARIA DEL ROSARIO
La festa di oggi deriva da Santa Maria della Vittoria, festa istituita da Papa Pio V per commemorare la vittoria delle forze cristiane riportata a Lepanto sulla flotta turca, il 7 ottobre 1571. Non deve però fuorviare l’evento storico: il Rosario è strumento di pace, nato probabilmente nel Medioevo dall'amore dei cristiani per Maria. La corona, con cui si recita la preghiera, ha origini antiche. Gli anacoreti orientali usavano le pietruzze per contare il numero delle preghiere recitate. Nei conventi medievali, i fratelli laici che non conoscevano il latino, recitavano il “Paternostro” contando con una collana di grani infilati a uno spago. La devozione alla corona del Rosario si diffuse come preghiera popolare e fu adottata come fosse un “breviario del popolo”, da recitarsi in famiglia per risvegliare un autentico spirito di preghiera. La ripetizione delle “Ave Maria”, idealmente, compone una ghirlanda di rose da offrire alla Madonna. Attraverso l’esempio di Maria e la continua unione con Gesù nella meditazione dei misteri della sua vita, noi diveniamo anime di pace. Fu Papa Pio V il primo a raccomandare la recita del Rosario e Papa Pio X ne fissò la data ufficiale di celebrazione della festa nel calendario liturgico al 7 ottobre.FB_IMG_1696668539481.jpg
 
SANTA PELAGIA DI ANTIOCHIA vergine e martire
Pelagia era una giovane cristiana di Antiochia, che fu arresta alla fine del IV secolo, durante la persecuzione di Diocleziano. Quando i soldati andarono a prenderla a casa e la portarono in tribunale, la fanciulla era quindicenne. Poiché cristiana, sarebbe stata certamente condannata. Allora, Pelagia chiese di poter cambiare l’abito, cosa che le fu consentita. Salì al piano superiore e consapevole del trattamento indegno a cui sarebbe stato esposto il suo corpo, per il desiderio di presentarsi vergine davanti allo sposo divino, si gettò dalla finestra.FB_IMG_1696747211844.jpg
 
SAN DIONIGI vescovo e Compagni martiri
Il tentativo dell’Apostolo Paolo di evangelizzare la città di Atene andò fallito, tanto che deluso, andò via. Fu seguito, però, attratto dal suo discorso, da un certo Dionigi l’Areopagita, giudice del tribunale dell’Areopago. Dopo la conversione alla fede cristiana, Dionigi divenne il primo vescovo di Atene. A lui vengono attribuite alcune opere di teologia mistica, ma quasi certamente sono di autore posteriore ignoto.
Un altro famoso Dionigi è conosciuto come primo vescovo di Parigi e organizzatore della prima comunità cristiana sulla Senna, martire, nel III secolo, insieme ai compagni Rustico ed Eleuterio.
I due santi, erroneamente identificati in una stessa persona, vengono festeggiati nello stesso giorno.FB_IMG_1696828273521.jpg
 
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SAN DANIELE COMBONI vescovo

Daniele nasce nel 1831, a Limone sul Garda, allora territorio austriaco. Frequenta scuole religiose e trova un buon maestro in don Nicola Mazza, persona dalla profonda sensibilità evangelizzatrice dei paesi africani per l’abolizione effettiva della schiavitù. Daniele viene ordinato sacerdote nel 1854 e dimostra una solida vocazione missionaria, così comincia a studiare l’arabo per prepararsi a una futura spedizione. Appena si creò il momento favorevole all’espansione missionaria della Chiesa, don Mazza comincia a inviare missionari in Africa, ma i primi cinque viaggi organizzati non hanno buon fine: i missionari muoiono e l’unico sopravvissuto è Daniele che deve rientrare in Italia. Comincia un periodo di riflessione sulle cause di questi fallimenti e giunge a delle conclusioni che trascrive in sessanta ore consecutive di lavoro. È una bozza di un documento che affida ai Sacri Cuori di Gesù e Maria. Egli si sente pronto a patire e a morire per Gesù Cristo e per la salute dei popoli infelici dell’Africa. A tal punto arriva la sua vocazione. Il suo scritto, dalle audaci innovazioni, viene accettato e intitolato “Piano per la rigenerazione dell’Africa”. Tratta di un programma che prevede l’evangelizzazione e la promozione umana: la salvezza dell’Africa deve passare per l’opera degli stessi africani, che devono essere protagonisti nella scuola, nel lavoro, nel commercio, per liberarsi dalla sudditanza. Il missionario deve solo fornire gli strumenti necessari. Ma, per lungo tempo, Daniele rimane solo e impotente. Non si scoraggia e la sua voce continua a denunciare gli orrori che si commettono nel territorio africano in Europa. Finalmente, nel 1867, il suo vescovo approva una spedizione missionaria a cui si uniscono religiosi, suore e ragazze africane, necessarie per le cure mediche. Il suo motto è: “l’Africa si deve salvare con l’Africa”, così ragazzi neri studiano e insegnanti nere insegnano. Una vera rivoluzione per la mentalità europea. Comboni, che è stato nominato Vicario apostolico dell’Africa centrale, malgrado le ostilità degli europei, va avanti col suo “Piano”: si formano famiglie di cristiani autoctoni in grado di trasmettere la fede, si consolidano comunità cristiane in grado di svolgere diversi mestieri ed essere autonomi. Per gli africani è un padre che tiene testa ai pascià, combatte gli schiavisti e serve i mendicanti. Nel 1881 viene colpito da una violenta febbre che lo porta alla morte. Il suo sogno si è avverato: oggi, la Chiesa del Sudan è affidata a pastori autoctoni.FB_IMG_1696919840663.jpg
 
SAN GIOVANNI XXIII papa
Angelo Giuseppe Roncalli
Angelo Giuseppe Roncalli nacque a Sotto il Monte, in provincia di Bergamo, nel 1881. Era figlio di poveri contadini. Angelino era molto intelligente e a 19 anni aveva completato i corsi del seminario, ma per la legge ecclesiastica non poteva essere ordinato sacerdote prima dei 24 anni, così fu mandato a Roma. Divenuto prete, fu segretario del vescovo di Bergamo. Durante la Prima Guerra Mondiale fu chiamato alle armi come cappellano militare. Venne poi inviato in Bulgaria e in Turchia come visitatore e delegato apostolico: questi incarichi furono i primi passi per la carriera diplomatica. Fu, poi, Nunzio a Parigi e nel 1953 Patriarca di Venezia. A settantasette anni, ritenendo la sua lunga vita un gran dono di Dio, stimava vicina la fine e si preparava spiritualmente al passaggio. Ma, come si sa, le vie del Signore sono imprevedibili! Infatti, il 28 ottobre 1958, fu nominato Papa col nome di Giovanni. La sorpresa fu grande e fu destinata a crescere quando annunciò il Concilio Vaticano II, evento epocale di trasformazione della Chiesa. Attento ai segni dei tempi, Papa Giovanni promosse l’ecumenismo e la pace. Fu uomo del dialogo e della carità, fece sentire a tutti gli uomini, anche ai non cattolici e a quelli lontani, l’amicizia di Dio. La sua spiritualità, delicata e incrollabile, aveva le sue radici in Maria. A Lei si rivolgeva e in Lei confidava. La sua fede era limpida e forte, riposava in Maria, attraverso il Rosario, che recitava tutti i giorni. Egli auspicava che il Rosario venisse recitato ogni sera in casa, nelle famiglie riunite, in ogni luogo della Terra. Doveva essere un papa di transizione, fu invece grazie a lui che, ormai ottantenne, una ventata di rinnovamento entrò nelle chiese del mondo intero e in tutta la comunità del popolo cattolico. Il “Papa Buono”, come tutti con affetto lo chiamavano, lasciò la terra il 3 giugno 1963, e ancora oggi è viva nella memoria la sua straordinaria umanità.FB_IMG_1697007513826.jpg
 
SAN SERAFINO DA MONTEGRANARO religioso
Felice nacque nel 1540 a Montegranaro, nelle Marche, secondo dei quattro figli di Girolamo Rapagnano e Teodora Giovannuzzi. A causa della povertà familiare, il padre lo mandò molto presto a lavorare come garzone presso un contadino che gli affidò il suo gregge. A diciotto anni, entrò nel noviziato cappuccino di Jesi come fratello laico ed emise la professione religiosa l’anno seguente, prendendo il nome di fra’ Serafino. Da allora peregrinò per vari conventi della Provincia della Marca, fino a stabilirsi definitivamente ad Ascoli Piceno. Perfetto osservante della Regola e totalmente conformato alla spiritualità delle antiche Costituzioni dell’Ordine aveva con sé solo due «libri»: il Crocifisso e la corona del Rosario, con la quale si faceva messaggero di pace e di bene. Era letteralmente assetato di messe, di Eucaristia, di sacramenti, di preghiera, di patimenti. Innamorato dei misteri di Cristo e della Madonna, s’incantava a meditarli e si estasiava. Avrebbe desiderato essere posto di famiglia a Loreto o a Roma per poter servire molte messe ogni giorno. Negli uffici che esercitò di portinaio e di questuante, a contatto con i più svariati ceti sociali, sapeva trovare parole opportune per tutti e seppure analfabeta mostrava una sapienza celeste che stupiva i dotti e i teologi. Morì a 64 anni, in fama di santità.FB_IMG_1697085887773.jpg
 
SANTA TERESA D'AVILA dottore della Chiesa
Teresa nacque ad Avila, in Spagna, nel 1515. La sua vita fu, sin da fanciulla, un “incontro d’amore” tra lei e Cristo. Ella aveva il dono della familiarità col mondo di Dio e aveva maturato il convincimento interiore che Dio merita tutto e che solo il cielo conti davvero. Ormai giovinetta, per sfuggire alla vita mondana, si nascose nel monastero carmelitano della città, consacrandosi a Dio. La vita in quel luogo le portò tanta pace e gioia, anche se il conflitto in lei tra il voler essere solo di Dio e l’amicizia con le creature che la cercavano per essere guidate, non cessò. La “conversione definitiva” per Teresa arrivò quando Gesù le fece sperimentare che Egli era “veramente Dio” e “veramente uomo”, ossia la sintesi di ciò che la santa aveva vissuto. Imparò l’abbandono totale a Gesù che era possibile amare con tutto il cuore, l’anima e le forze. Questo abbandono era la preghiera fatta di atti (agire, lavorare, gioire), ma estesa a tutta la vita, in modo che respirare e pregare fossero la stessa cosa. Nel 1562, fondò un piccolo convento abitato da poche suore dedite esclusivamente alla preghiera. Nacque così il monastero delle carmelitane scalze, cioè riformate, un centro di preghiera e di vita mistica, un piccolo cenacolo dove le monache vivevano in compagnia di Cristo. Teresa fondò altri monasteri in Spagna e pretendeva che all’interno lo stile di vita fosse austero e di dolce cordialità tra le persone. Ella, vivace, abile nell’intraprendere rapporti e nell’amicizia, fu madre e maestra delle sue consorelle, capace di far innamorare le anime di Dio. Per potenziare questa sua opera, intraprese la riforma anche del ramo maschile dell’Ordine carmelitano, con l’aiuto di san Giovanni della Croce. Scrisse “Il Castello interiore”, l’opera più bella della santa: il Castello è l’uomo al cui centro abita Dio. Il Castello è spesso disabitato, perché l’uomo ne vive al di fuori, ma basta superare la soglia (grazie alla preghiera), per attraversarne le varie e splendide stanze e raggiungere così Dio. A questo punto, l’anima entra in un intenso rapporto d’amore con Dio, comprende quanto gli è cara e che Lui la dona al mondo, perché il mondo possa essere salvato. Teresa è universalmente riconosciuta come maestra di spiritualità e di dottrina ed è stata la prima donna a cui sia stato riconosciuto il titolo di Dottore della Chiesa.FB_IMG_1697351181712.jpg
 
SANTA EDVIGE religiosa e duchessa di Slesia e di Polonia
Edvige nacque in Baviera da famiglia nobile e sposò Enrico I, detto il Barbuto. Ebbe sei figli, ma solo Geltrude sopravvisse. Fu abile consigliera del marito nel governo del ducato. Ella fu dolce con i sudditi, mite con i nemici, assisteva i poveri, i religiosi, si occupava delle condizioni di vita dei carcerati. Pensare a queste opere di carità era per lei il dovere di una principessa cristiana. Edvige condusse una vita privata molto austera, fatta di digiuni, veglie, privazioni, mortificazioni del corpo e offriva le sofferenze per l’egoismo e le avidità umani. Delle sue ricchezze non tratteneva nulla, le utilizzava per i bisognosi, per curare gli ammalati e i lebbrosi. Vestiva una tunica e un mantello. Alla morte del marito, entrò nel monastero cistercense da lei stessa fondato, di cui la figlia Geltrude era badessa. Visse e morì da monaca penitente e chiese di essere sepolta nella tomba comune del monastero.FB_IMG_1697433155638.jpg
 
SANT’IGNAZIO DI ANTIOCHIA vescovo martire
Ignazio, soprannominato Teòforo (portatore di Dio), abbracciò la fede grazie all’ascolto della predicazione degli apostoli. Ricevette l’ordinazione sacerdotale e manifestò così le sue doti apostoliche per cui fu consacrato vescovo di Antiochia in Siria. Fu uomo d'ingegno acutissimo e pastore zelante, un pilastro della Chiesa primitiva. Infieriva, all’epoca, la persecuzione dell'imperatore Traiano, che fece strage degli uomini della Chiesa più in alto nella scala gerarchica e più chiari nella fama e nella santità. Ignazio fu arrestato, condannato “ad bestias” e condotto in catene, con un penoso viaggio, da Antiochia a Roma, dove si allestivano feste in cui i cristiani dovevano servire da spettacolo, nel circo, divorati dalle belve. Durante il lungo viaggio, egli scrisse sette lettere, in cui incitava tutti i fedeli a fuggire il peccato, a rimanere fermi nella fede, soprattutto a mantenere l’unità della Chiesa. E a chi pensava di poterlo aiutare a essere liberato diceva: “Voi non perdete nulla, e io perdo Iddio, se riesco a salvarmi. Mai più mi capiterà una simile ventura per riunirmi a Lui. Lasciatemi dunque immolare, ora che l’altare è pronto!”. Nell’anno 107, Ignazio fu gettato nell’arena e sbranato dalle belve.FB_IMG_1697526607798.jpg
 
SAN LUCA evangelista
Luca nacque ad Antiochia, non conobbe direttamente il Signore, ma dopo l’Ascensione; fu discepolo e compagno di Paolo di Tarso. Era medico, proveniva dal mondo pagano, apparteneva alla seconda generazione cristiana e seguì Paolo nell’opera missionaria di evangelizzazione, in alcuni viaggi. Luca fu l’autore del terzo Vangelo, il più lungo dei quattro e il più raffinato dal punto di vista linguistico, e degli Atti degli Apostoli. Forse, fu durante questi viaggi che egli incontrò i personaggi di cui parla nel Vangelo, di cui riporta la testimonianza viva della vita del Cristo e il racconto ricco di particolari. Nel Vangelo di Luca si ritrovano molti elementi caratterizzanti lo scritto: egli è lo scrittore della misericordia e della tenerezza di Gesù (esempio è la parabola del Buon Samaritano); esalta la gioia messianica che pervade il cristiano; la povertà spirituale come abbandono fiducioso in Dio; la preghiera, che lo stesso Gesù praticava (spesso, infatti, si ritira solitario per dialogare col Padre); la salvezza donata dal Cristo all’intera umanità. La leggenda aggiunge che Luca fu pittore della figura di Maria e gli attribuisce famose icone, le “Madonne di San Luca”. In realtà, è nelle opere scritte che egli ha offerto un intenso ritratto della Chiesa delle origini, su cui operava lo Spirito Santo e fervente era l’impegno di Pietro e Paolo. Morì a 84 anni. Il toro è il simbolo che rappresenta l’evangelista Luca, perché il suo Vangelo comincia con la visione di Zaccaria nel Tempio di Gerusalemme, dove venivano sacrificati gli animali.FB_IMG_1697609416640.jpg
 
SAN PIETRO D’ALCANTARA francescano
Pietro d’Alcantara era un uomo di penitenza e di preghiera. Egli trascorse gran parte della sua esistenza in mezzo alla penitenza e ai rigori: quelli del dormire, o meglio del non dormire; quelli del mangiare, o meglio del digiunare. Pietro era nato nel 1499, ad Alcantara, piccola città dell’Estremadura, ai confini con il Portogallo. A soli sedici anni mise l’abito di san Francesco e per tutta la vita si prodigò per riportare l’Ordine al rigore della prima Regola. Cercava di dare l’esempio della più severa penitenza e della più dura povertà, incontrando però una forte resistenza in molti confratelli. Non tutti avevano la sua tempra di penitente. L’imperatore Carlo V, desiderava che divenisse il suo confessore, ma il francescano gli si gettò ai piedi, gli baciò la mano e disse: “Vostra Maestà cercherà certamente di fare la volontà di Dio. Se io non tornerò più, vorrà dire che Dio non ha voluto che io accettassi questa carica”. Non tornò più. Morì, dolcemente, il 18 ottobre 1562. Di lui, la stessa Santa Teresa d’Avila scrisse: “Che modello di virtù era nel fratello Pietro d’Alcantara! Il mondo d’oggi non è più capace di una tale perfezione. Si dice che i Santi sono più deboli di una volta, e che noi non siamo più come i cristiani del tempo passato. Quest’uomo santo è stato del nostro tempo, ma il suo fervore era robusto come quello di una volta! Così egli teneva il mondo sotto i piedi. Che coraggio ha dato il Signore a questo santo, per fare quarantasette anni di così aspra penitenza!”.FB_IMG_1697692175868.jpg
 
SANTA MARIA BERTILLA BOSCARDIN vergine
Anna Francesca era il suo nome di battesimo. Era figlia di contadini, dopo aver seguito la scuola elementare per qualche tempo, cominciò a lavorare in campagna, in casa e a servizio da alcune signore. La sua vocazione era di farsi suora, e con la professione religiosa prese il nome di Maria Bertilla. Nella comunità, inizialmente, lavorava in cucina, al forno e in lavanderia. Poi fece il tirocinio presso l’ospedale e si diplomò infermiera. Suor Maria Bertilla era occupata presso gli ammalati in ospedale, ma aiutava anche le consorelle in convento. Era ancora molto giovane quando si ammalò di tumore, da cui fu salvata con un intervento chirurgico. Allo scoppio della Prima Guerra Mondiale, l’ospedale dove lavorava fu trasferito in Lombardia. Qui dovette affrontare prove di incomprensioni tali che la costrinsero a retrocedere a mansioni di servizio, pur non avendo lei le energie sufficienti a svolgere quei compiti. Ritornata a Treviso, suor Maria Bertilla riprese l’attività di infermiera, ma fu nuovamente aggredita dal tumore da cui non guarì. Morì a trentaquattro anni. Molti sono i malati che chiedono l’intercessione della suora infermiera, che risponde ai bisogni.FB_IMG_1697783396276.jpg
 
SANTA ORSOLA martire
La bellissima Orsola o Ursula era figlia di un re di Britannia e segretamente consacrata a Dio. Il re pagano Aetherius la chiese in sposa. Quel matrimonio avrebbe scongiurato una guerra, perciò il padre si sentì obbligato a dare il consenso. La giovane, però, pose alcune condizioni: una dilazione di tre anni, la promessa da parte del pretendente che si sarebbe convertito, e un pellegrinaggio dei due sposi a Roma. Dopo tre anni, Orsola con dieci nobili fanciulle partì per raggiungere Colonia. Le undici giovani furono, a quel punto del viaggio, incoraggiate da un angelo a proseguire e, navigando sul Reno, raggiunsero Basilea, poi a piedi, da pellegrine, arrivarono a Roma. Qui Orsola fu ricevuta dal Papa insieme al promesso sposo che, nel frattempo, si era convertito al cristianesimo. Orsola e le fanciulle ritornarono poi a Colonia, dove si imbatterono negli Unni di Attila e per la loro fede cristiana, vennero torturate e condannate a morte a colpi di freccia.FB_IMG_1697871847156.jpg
 

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