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Frate Indovino

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SAN GIORGIO martire
Giorgio fu venerato, fin dall’antichità, sia in Oriente, sia in Occidente e la sua fama fu tanto vasta che non esiste paragone tra i martiri dell’epoca. Non si hanno, però, notizie certe sulla sua vita. La leggenda narra di un dragone che usciva dalle acque del lago e si avvicinava alle mura della città, portandovi morte. Per tenerlo lontano, gli abitanti sorteggiavano dei giovani da dare in pasto alla bestia. Un giorno, toccò in sorte alla figlia del re. Ma, Giorgio ingaggiò col drago un furioso combattimento e lo uccise, salvando la principessa da sicura morte e la città dall’asservimento. In cambio della liberazione raggiunta, Giorgio chiese al popolo della città di credere in Cristo e di farsi battezzare. In tempi di persecuzioni, il santo sposò la missione di difendere i cristiani condannati al martirio. Ma, egli stesso fu arrestato, condannato, subì lunghe torture e, infine, fu decapitato. Il culto del santo acquisì popolarità enorme tanto che si diffuse in molti Paesi fino ad arrivare in Inghilterra, dove fu proclamato patrono e dove, ancora oggi, la croce rossa di san Giorgio in campo bianco è tra i simboli della bandiera inglese. Inoltre, gli anglicani conservano la celebrazione della ricorrenza del santo nel loro calendario.FB_IMG_1713853428227.jpg
 

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SAN FEDELE DA SIGMARINGEN sacerdote martire
Marco Roy nacque nel 1578, a Sigmaringen, sul Danubio, in Germania. Era il quinto di sei figli di Genoveffa Rosenberger e Giovanni Roy, ricco albergatore. Marco seguiva gli studi in filosofia, nel collegio dei gesuiti di Friburgo, studi che interruppe per laurearsi, più tardi, in diritto canonico e civile. Esercitò l’avvocatura per poco tempo durante il quale fu soprannominato “l’avvocato dei poveri”, perché difendeva gratuitamente coloro che non avevano denaro per pagare un avvocato. Nel settembre del 1612, a 34 anni, venne ordinato sacerdote col nome di fra’ Fedele e venne accolto nel noviziato di Friburgo. Ricoprì il compito di guardiano in alcuni conventi, prodigandosi nell’assistenza dei soldati colpiti dalla peste. Creata la “Propaganda Fide”, nel 1622, padre Fedele fu inviato come missionario apostolico nel distretto di Prettigovia, dove la popolazione era passata alla fede zwingliana. Nonostante la tensione provocata dall’occupazione militare della regione da parte dell’arciduca Leopoldo V d’Austria, padre Fedele continuava la sua predicazione controriformista. Vi furono numerose conversioni, ma forte era l’intolleranza dei contadini calvinisti del cantone svizzero dei Grigioni, scesi in guerra contro l’imperatore d’Austria. A fra’ Fedele fu mossa l’accusa di essere un agente al servizio dell’imperatore cattolico. Il 24 aprile del 1622, durante la predica domenicale, si udì qualche sparo. Padre Fedele terminò di celebrare la Messa e poi si avviò verso casa. All’improvviso fu circondato da una ventina di soldati. Gli intimarono di rinnegare quanto aveva predicato, ma al suo rifiuto, lo uccisero.FB_IMG_1713941119457.jpg
 

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SAN MARCO evangelista
Marco era figlio di una vedova di nome Maria, che seguiva devotamente Gesù e ospitava nella sua casa i suoi seguaci. Sembra che proprio nella sua casa si sia svolta l’Ultima Cena e, che Marco, ancora giovinetto, abbia assistito alla cattura di Gesù. Fu uno dei primi battezzati da Pietro che, come padre spirituale, lo chiamava “figlio mio”. Marco seguì il cugino Barnaba e l’Apostolo Paolo nella loro prima missione evangelizzatrice, anche se presto la abbandonò e decise di rientrare in Gerusalemme. In seguito, egli accompagnò Pietro a Roma e da lui imparò ogni cosa sulla dottrina e sulla vita di Gesù. E scrisse il suo Vangelo. Scrisse le cose fatte e dette dal Signore che ricordava, pur non avendole ascoltate direttamente e non avendolo seguito, ma solo avendo accompagnato Pietro. Questo padre spirituale fu la sua primaria fonte per la stesura di un Vangelo breve quanto stilisticamente secco e vivace, in cui conduce il lettore per mano attraverso le vicende del Signore fino alla scoperta profonda, da parte del centurione, sul Golgota, che si trattasse veramente del “Figlio di Dio”. Simbolo dell’evangelista Marco e del suo Vangelo è il leone, attraverso cui Gesù appare con caratteri forti: scaccia i demoni, guarisce i malati, vince la morte. Marco predicò ad Alessandria d’Egitto, dove fondò la prima Chiesa, ma venne arrestato e torturato: fu trascinato legato con una corda su strade irte di pietre. Più tardi, due mercanti veneziani trafugarono il corpo e riuscirono a portarlo a Venezia, qui fu custodito nella Basilica a lui dedicata, mentre il leone alato con il libro aperto tra gli artigli divenne il simbolo della città, in suo onore.FB_IMG_1714029499191.jpg
 

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BEATA VERGINE MARIA DEL BUON CONSIGLIO
Il culto rivolto alla Madonna come «Madre del Buon Consiglio» si è diffuso largamente traendo origine dal paese di Genazzano, vicino Roma, dove a lei è dedicato un celebre santuario. La beata Vergine è giustamente onorata sotto il titolo di “Madre del Buon Consiglio»” ella è la madre di Cristo, che Isaia profeticamente chiamò “Consigliere mirabile” (Is 9,5); visse tutta la sua vita sotto la guida dello “Spirito del consiglio”, che la “avvolse”; “aderì intimamente all'eterno Consiglio di ricapitolare in Cristo tutte le cose” (Ef 1,10), venne da Dio colmata dei doni dello Spirito Santo, fra i quali emerge “lo spirito della sapienza” (Sap 7,7b). Nel formulario la beata Vergine viene celebrata come madre e maestra che, arricchita del dono del consiglio, con animo colmo di gratitudine annunzia ciò che dice la Sapienza stessa: “A me appartiene il consiglio e la saggezza, mia è la prudenza, mia la fortezza” (Pr 8,14); e questi doni ella volentieri li elargisce ai suoi figli e discepoli, esortandoli a compiere anzitutto ciò che Cristo ha detto loro di fare (Gv 2,1-11).
Tratto da introduzione della messa della BVMariaFB_IMG_1714114291581.jpg
 

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GIANNA BERETTA MOLLA Madre di famiglia
Gianna era una ragazza “limpida e graziosa”, settima di otto figli, visse in una famiglia dalla profonda fede e amore per il Signore. Le difficoltà di vita affinarono la sua sensibilità e potenziarono le sue virtù. Trasformava questo grande fervore in azione caritativa, operando nell’Azione Cattolica. Si laureò in medicina con specializzazione in pediatria. Ma, lei curava tutti, specialmente le persone anziane e sole. Era convinta che toccare il corpo di un paziente, era toccare il corpo di Cristo. Nel 1955, sposò Pietro Molla, con cui visse una vita familiare impostata sulla tradizione religiosa della preghiera quotidiana. Ebbero tre figli. Gianna con semplicità riuscì a creare il giusto equilibrio tra i suoi doveri di madre, di moglie, di medico. E in questa sua nuova condizione di vita lavorativa e familiare, si sentì sempre pienamente appagata. Ella amava tutte le cose belle come la musica, la pittura, le gite in montagna. Tutto viveva con gioia e serenità. Durante la quarta gravidanza scoprì di avere un fibroma all’utero e, alcuni giorni prima del parto, pur confidando nella Provvidenza, era pronta a donare la sua vita per salvare quella della sua creatura. Diede alla luce Gianna Emanuela, mentre per lei iniziò il calvario della sua passione, unita a Gesù che raggiunse in poche ore. La sua scelta fu dettata dalla sua coscienza di madre e di medico e può essere compresa solo alla luce della sua grande fede, della sua convinzione del diritto sacro alla vita, dell’eroismo dell’amore materno e della fiducia nel Signore.FB_IMG_1714287654754.jpg
 
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SANTA CATERINA DA SIENA vergine dottore
Caterina nacque a Siena, nel rione di Fontebranda, nel 1347, ventiquattresima di venticinque figli di una famiglia piccolo-borghese. A soli sei anni, ebbe la prima visione di Gesù vestito da Sommo Pontefice col manto rosso e tre corone sul capo. Accanto vi erano i santi Pietro, Giovanni e Paolo. Il Papa si trovava, a quel tempo, ad Avignone e la cristianità era minacciata dai movimenti ereticali. A sette anni, invece, Caterina fece voto di verginità e intraprese la via della perfezione cristiana: le sue giornate erano intense di preghiere, penitenze e digiuni. A dodici anni, i genitori decisero per lei il matrimonio, ma Caterina si tagliò tutti i capelli e rimase segregata in casa. Fu ostacolata e perseguitata dalla famiglia, fin quando il padre non vide una colomba bianca volare sul capo della figlia, che poté, così, liberamente indossare l’abito delle “mantellate”, un Ordine domenicano laicale le cui aderenti continuavano a vivere nel mondo, facendo voto di obbedienza, povertà e castità. Nel 1367, a Caterina apparve Gesù che le infilò un anello decorato di rubini: si svolgevano le mistiche nozze e fra lo sposo, il bene amato sopra ogni altro bene, e la sposa si stabilì un rapporto di intimità particolare e di intensa comunione. Più tardi, alla santa apparve il Cristo che scambiò il cuore con il suo. Ora Cristo viveva in lei. Ma lo sposo le fece dono anche delle stimmate spirituali, cioè interiori. Caterina si dedicò attivamente e instancabilmente a opere di carità: ammalati, poveri, prigionieri ricevevano la sua consolazione. Da analfabeta, tenne una copiosa e intensa corrispondenza con personaggi politici, storici, religiosi, sovrani, prelati del tempo, perché sua premura era di raggiungere la pace della patria e la purificazione della Chiesa. Caterina soffriva molto per il mondo, in balia del disordine morale e del male e, con le sue appassionate e cocenti parole, scuoteva le menti e i cuori, provocando conversioni e rinnovamento. La sua convinzione era che l’infinita giustizia di Dio, come una fresca pioggia, ricoprisse le ingiustizie degli uomini. Tornò al cielo nel 1380, a 33 anni. Nominata Dottore della Chiesa Universale, compatrona d’Italia e d’Europa, nella Chiesa cattolica è tra i santi più venerati.FB_IMG_1714372821944.jpg
 

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SAN GIUSEPPE lavoratore
Giuseppe visse un’intera vita nel nascondimento, suo segno distintivo. Infatti, questo starsene nascosto faceva parte dello straordinario ruolo che gli fu assegnato nella storia della salvezza. Addirittura, quando cominciò la vita pubblica di Gesù, egli sembrava già essere scomparso. Nel Vangelo leggiamo che era uomo Giusto. “Giusto”, nella Bibbia, si intende colui che ama lo spirito e la lettera della Legge, come espressione della volontà di Dio. Giuseppe, discendente dalla casa di David, era un artigiano e lavorava il legno. Non era vecchio, come la tradizione ce lo ha presentato, era un uomo giovane, dal cuore generoso, ricco di fede, innamorato di Maria. I due si fidanzarono secondo gli usi del tempo, ma Maria si trovò incinta per opera dello Spirito Santo (Mt 1,18). In ogni vocazione, il mistero della chiamata si accompagna all’esercizio della libertà, così Giuseppe poteva accettare o no il progetto di Dio. E per amore di Maria: “prese sua moglie con sé” (Mt 1,24). Quando noi guardiamo al “Sì” di Maria dobbiamo pensare al “Sì” di Giuseppe, all’intero progetto di Dio. Egli superò le convenzioni sociali, seppe far vincere in lui l’amore e accogliere il mistero dell’Incarnazione del Verbo. Giuseppe si consacrò alla sua amata: ne fu sposo, custode, discepolo, guida e sostegno. Fu tutto di Maria. Tra loro due esisteva una comunione sponsale che era vera comunione dei cuori, cementata da profonde affinità spirituali. E questa piccola “chiesa domestica”, sorgente di santità, fu prefigurazione del Regno, dell’Amore di Dio. Giuseppe, l’umile falegname di Nazareth, che ha vissuto la sua vita vicino a Gesù e Maria sulla Terra, sarà maggiormente a loro vicino in Cielo. Sono innumerevoli le grazie che san Giuseppe ottiene da Dio, lui che è anche Padre Universale della Chiesa.FB_IMG_1714547548105.jpg
 

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SANTI FILIPPO E GIACOMO apostoli
Filippo era originario della città di Betsaida. Fu discepolo di Giovanni Battista, e fu tra i primi a seguire Gesù. Secondo la tradizione, egli evangelizzò gli Sciti e i Parti. Non si parla molto di lui nei Vangeli, ma è colui che condusse a Gesù l’accigliato Natanaele, detto Bartolomeo.
Giacomo era figlio di Alfeo e cugino di Gesù. Era chiamato “Giusto” per l’integrità della sua vita. Incontrò Paolo dopo la conversione e lo accolse dimostrandogli amicizia insieme a Pietro e Giovanni. Nel 50 circa, ebbe luogo il Concilio di Gerusalemme in cui rivestì un ruolo importante, invitando a non imporre troppe regole ai convertiti. Con il martirio e la morte di Giacomo il Maggiore, egli divenne capo della Chiesa di Gerusalemme. Scrisse la prima delle Lettere Cattoliche del Nuovo Testamento, in cui si rivolse alle “dodici tribù disperse nel mondo”, ossia ai cristiani di origine ebraica che vivevano fuori della Palestina. Parlò loro circa la preghiera, la speranza, la carità e, con parole marcate, sul senso di giustizia. Tale Lettera è un primo esempio di enciclica. Probabilmente, fu lapidato dietro incitamento del sommo sacerdote Hanna.FB_IMG_1714718132054.jpg
 

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SANTA FLAVIA DOMITILLA martire
Abbiamo notizie del martirio di Flavia Domitilla per quanto riportato nella “Storia Ecclesiastica” di Eusebio di Cesarea, il quale scrisse: “Tramandano che nell’anno quindicesimo di Domiziano, Flavia Domitilla, nipote per parte della sorella di Flavio Clemente, allora uno dei consoli di Roma (95 d.C.), insieme con numerose altre persone fu deportata nell’isola di Ponza per avere confessato Cristo”. Anche Dione Cassio, nella “Historia romana”, ha scritto che l’imperatore Domiziano “Tolse la vita anche a Flavio Clemente – suo cugino – e alla moglie Flavia Domitilla, anch’ella consanguinea”. Furono condannati a morte per “ateismo”, perché questa era l’accusa che veniva fatta contro i primi cristiani. Le due citazioni, però, non parlano della stessa persona. Successive ricerche storiche portarono a distinguere la prima Domitilla quale nipote di Flavio Clemente, mentre la seconda come moglie del console, dal quale ebbe sette figli. Entrambe furono vittime della persecuzione di Diocleziano. Flavia Domitilla la minore, ossia la nipote di Flavio Clemente, per la sua fede in Cristo, fu deportata a Ponza dove soffrì un lungo martirio.FB_IMG_1715063866841.jpg
 

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SAN VITTORE martire
Vittore era originario della Mauritania, in Africa, ed era un soldato della milizia in servizio a Milano. Sotto la persecuzione di Massimiano lo si voleva costringere a sacrificare agli dei, ma egli con decisione rifiutò. Allora fu arrestato e lasciato per giorni senza mangiare e senza bere, perché perdesse le forze. Fu portato nell'ippodromo e interrogato e flagellato, ma Vittore non abiurò. Fu riportato in carcere, da dove, un giorno, riuscì a fuggire grazie alla distrazione dei carcerieri e si rifugiò in una stalla. Fu scoperto e decapitato in un bosco vicino. Il corpo non fu seppellito e fu ritrovato dal vescovo Materno: questo era intatto e vegliato da due fiere.
È un santo caro ai milanesi che hanno dato il suo nome al carcere della città: san Vittore è il protettore dei prigionieri e degli esuli.FB_IMG_1715151184032.jpg
 

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SANT’IGNAZIO DA LACONI religioso
La madre, a causa di una gravidanza difficile, lo aveva consacrato, ancora nel grembo, a san Francesco. A diciotto anni si ammalò gravemente e fece voto di entrare fra i Cappuccini se fosse guarito. Ma ritardando il giorno del compimento della promessa, una cavalcata pazza su un cavallo imbizzarrito, risolve il problema: Vincenzo, “Su santixeddu”, a vent’anni entra in convento con il nome di fra’ Ignazio da Làconi. Il noviziato delineò in lui la tipica fisionomia del fratello Cappuccino: uomo semplice, umile, nel caso di Ignazio anche analfabeta, ma di grande preghiera e profonda fede, sorridente e sereno in ogni circostanza, obbediente, vicino alla gente in mezzo alla quale lasciava come una scia di Vangelo vivente. Camminava sempre a occhi bassi e corona in mano. La gente al suo passaggio si poneva in atteggiamento di rispetto. Non accettava più del necessario. Dove passava fiorivano fatti straordinari con una “normalità” disarmante. E insieme ai miracoli scaturiva la fede. Un certo Franchino, negoziante carico di soldi, si lamentò che fra’ Ignazio non andava a questuare in casa sua. Su richiamo del superiore, fra’ Ignazio andò e ricevette una cospicua offerta in danaro, che fece mettere nella bisaccia. Andando verso il convento dalla bisaccia cominciò a gocciolare sangue. Al superiore il frate spiegò che era sangue di poveri che il commerciante estorceva con l’usura. La lezione servì, e Franchino restituì ciò che doveva. Un’altra volta, chiese dell’olio a un benefattore e, non sapendo dove metterlo, lo fece versare nella bisaccia. L’olio arrivò al convento e non se ne perse una goccia. Il benefattore donò al convento l’intera botte (che si chiamò botte di fra’ Ignazio). E si potrebbe continuare all’infinito. Può sicuramente interessare il fatto che a testimoniare questi prodigi c’era, tra gli altri, un pastore protestante evangelico, presente in quel periodo in Sardegna, perché cappellano al seguito di un reggimento di fanteria tedesco, un certo Joseph Fues, che documenta questi fatti e stila anche un elenco dei miracoli più significativi nel suo libro “La Sardegna nel 1773-1776”, Lipsia, 1780. Come si vede, un testimone non di parte.FB_IMG_1715411045010.jpg
 

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