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Frate Indovino

DEDICAZIONE DELLA BASILICA LATERANENSE
Fin dall’antichità si era soliti consacrare a Dio, con particolare solennità, i luoghi destinati al culto divino. Anche la Chiesa di Cristo ebbe luoghi comuni consacrati in cui riunirsi per celebrare la Parola di Dio e i sacri Misteri. Inizialmente, per la predicazione apostolica, i fedeli si incontravano in semplici stanze, in case private, anche perché la Chiesa non godeva ancora di alcun riconoscimento. Quando poi, i fedeli cominciarono ad aver bisogno di luoghi in cui riunirsi per pregare, furono costruite vere e proprie chiese. Nel 313, l’imperatore Costantino il Grande, dopo aver ottenuto la vittoria su Massenzio, concesse piena libertà ai seguaci di Cristo di esercitare la propria religione e costoro non risparmiarono fatiche e spese per edificare al Signore sontuosi luoghi di culto. Numerose furono le chiese costruite in quei tempi. L’imperatore Costantino, egli stesso, fece costruire, sul monte Celio a Roma, accanto al Palazzo Lateranense, una magnifica basilica, che fece dedicare al Santissimo Salvatore. Al suo interno fu eretta una cappella dedicata a san Giovanni Battista, poi definita battistero. Per questo motivo, la basilica viene tutt’ora chiamata col nome di San Giovanni e con il toponimo del luogo, cioè: in Laterano. Il Palazzo Lateranense era la residenza degli imperatori romani, divenne poi la residenza dei Pontefici. Sorgeva così la “madre di tutte le chiese dell’Urbe e dell’Orbe”, distrutta e ricostruita molte volte, simbolo della fede cristiana. Giovanni Diacono attribuisce il merito dell’istituzione di questa solennità cristologica a san Silvestro (33º vescovo di Roma e papa della Chiesa cattolica dal 314 al 31 dicembre 335, giorno della sua morte), che avrebbe consacrato la basilica lateranense al Salvatore (9 novembre) e, in quanto vicario dello stesso Salvatore, aveva concesso una grossa indulgenza a quanti avrebbero celebrata detta festa.FB_IMG_1731137526111.jpg
 
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SAN LEONE I MAGNO papa e dottore
Leone nacque sulla fine del IV secolo, probabilmente, in Toscana. Ricevette un’educazione accurata, tanto da conoscere bene varie dottrine. Fu eletto papa nel 440, e si distinse subito per la sua convinzione del ruolo e del prestigio trasmesso dai successori di Pietro. La Chiesa, in quegli anni, era travagliata e divisa da discordie e scontri dottrinali. Come primate di tutti i vescovi, affermò la sua autorità su tutte le Chiese d’occidente e, con energica persuasione, riuscì a combattere l’eresia. Anche in campo politico, a Papa Leone venne riconosciuto credito e influenza. Infatti, in un momento di crisi dell’Impero, Attila al comando degli Unni marciava verso Roma. Lo Stato, impotente, chiese a Leone di intervenire. Il Papa, con una delegazione del Senato, incontrò Attila sul Mincio e l’autorità morale di Leone convinse l’invasore a lasciare l’Italia. Importanti e raffinate sono le opere da lui scritte e ad esse si deve il titolo di “Dottore”. Egli fu, poi, proclamato Magno (primo tra i pontefici) per la capacità dimostrata nella difesa della vera fede e per lo zelo nell’esercizio dell’attività pastorale.FB_IMG_1731238852599.jpg
 
SAN MARTINO DI TOURS vescovo
Martino nacque nel 316 in Pannonia, odierna Ungheria, da padre tribuno militare, per cui fu costretto ad arruolarsi anche lui, come prescritto dalla legge. La sua famiglia era pagana, ma egli volle farsi cristiano e, mentre era cavaliere, visse seguendo i precetti evangelici. Si narra che, un giorno, incontrò un povero tremante di freddo. Non avendo lui due mantelli, divise quello che portava indosso, dandone metà all’uomo. Inoltre, altro gesto significativo della sua disposizione d’animo riguarda il fatto che egli aveva con sé un attendente schiavo, verso il quale era molto caritatevole e lo trattava come un fratello. Terminato il servizio militare, fu ordinato esorcista e si dedicò alla vita contemplativa nel monastero di Ligugé da egli stesso fondato nel 361. Alcuni lo seguirono, formando, sotto la sua direzione, la prima comunità monastica. Egli approfondì la Sacra Scrittura, fece apostolato nelle campagne e compì alcuni miracoli. Nel 371, contro la sua volontà, fu eletto vescovo di Tours. Si occupò dei prigionieri, dei condannati a morte, dei malati e dei morti, che miracolosamente (si dice) resuscitarono; anche i fenomeni naturali gli obbedivano se interveniva per bisogno. Martino, amico dei poveri e dei bisognosi, instancabile missionario, malvisto da una parte del clero, aveva scelto di sposare la povertà non come ideologia, ma come un voto da vivere con autenticità.FB_IMG_1731310186787.jpg
 
SAN GIOSAFAT vescovo martire
Giovanni nacque nel 1580, in Ucraina, da nobile famiglia ortodossa, ormai decaduta. Giovanissimo, fu inviato a Vilnius, oggi Lituania, affinché fosse avviato al commercio. Il periodo era caratterizzato da violenti scontri tra ortodossi tradizionalisti e uniati di rito greco, ricongiuntisi alla Chiesa cattolica, riconoscendo al Papa il ruolo preminente sui vescovi. Egli si convinse che non potevano essere la verità e l’amor di Dio a ispirare l’agire dei dissidenti e a vent’anni abbracciò la Regola monastica del Monastero basiliano della Trinità, dove ricevette il nome di Giosafat. In principio, egli viveva da eremita e scrisse alcune opere per dimostrare l’origine cattolica della Chiesa rutena e la sua dipendenza primitiva dalla Santa Sede. Abile predicatore, ispirò numerose conversioni e, col suo esempio, attrasse molti novizi nel monastero. Come vescovo fu ben accetto al popolo, ma osteggiato dai dissidenti che, il 12 novembre 1623, lo aggredirono a colpi di spada e moschetto a Vitesbk (Bielorussia) e gettarono il suo corpo nel fiume Daugava.FB_IMG_1731400364782.jpg
 
SANTA AGOSTINA PIETRANTONI vergine
Suor Agostina, al secolo Livia Pietrantoni nacque a Pozzaglia Sabina, vicino a Rieti, nel 1864, da una famiglia di contadini. A ventidue anni entrò tra le Sorelle della Carità di santa Giovanna Antida Thouret, prendendo appunto il nome di Agostina. Le fu affidato il compito di assistere i malati di tubercolosi nell’Ospedale Santo Spirito, a Roma. Ella stessa contrasse la malattia, allora incurabile. Furono anni duri, sia perché in alcune zone d’Italia vi era un clima anticlericale, sia perché i malati erano difficili da consolare. In particolare, vi era Giuseppe Romanelli che la minacciò più volte, ma lei continuò a curarlo insieme alla mamma cieca. Troppo violento, fu però allontanato dall’ospedale. Giuseppe era convinto che fosse stata suor Agostina a farlo espellere e, per vendicarsi, l’aspettò nascosto all’ingresso e, quando la suora entrò, la uccise con sette pugnalate il 13 novembre 1894.FB_IMG_1731485438675.jpg
 
SAN NICOLA TAVELIĆ E COMPAGNI martiri francescani
Nicola Tavelić nacque nel 1340 circa in Croazia, dove poco dopo entrò nell’Ordine del Frati Minori e da dove partì missionario per la Palestina, presso la “Custodia dei Luoghi Santi”. Qui, egli si unì ad altri compagni: Deodato Aribert da Ruticinio, Stefano da Cuneo e Pietro da Narbona. Essi vivevano secondo la Regola di san Francesco, ma fare apostolato presso i musulmani, radicati nella loro fede, era pressoché impossibile. I quattro frati decisero, con coraggio e pubblicamente, di esporre la dottrina cristiana, confutando l’islamismo. Questo gesto costò loro la vita: furono condannati a morte, uccisi e i loro corpi bruciati. Era il 14 novembre 1391.FB_IMG_1731572624472.jpg
 
SANT’ALBERTO MAGNO vescovo dottore
Alberto Magno nacque verso il 1193, sul Danubio, da famiglia di guerrieri. Elegante d’aspetto, gentile nei modi, acuto d’ingegno, entrò nell’Ordine Domenicano. Si dedicò agli studi, essendovi particolarmente portato. Insegnò in importanti Università europee e, a Parigi, fu docente di Tommaso d’Aquino. Nominato vescovo, dimostrò ottime doti pastorali, ma vi rinunciò per l’incarico, ricevuto da papa Urbano IV, di predicare la Crociata. Fu messaggero di pace fra i popoli; partecipò al Concilio di Lione, dove portò un contributo con la sua sapienza per l’unità della Chiesa Greca con la Chiesa Latina. Durante la vita si era occupato di filosofia, teologia, scienze, guadagnando il titolo di Dottore della Chiesa oltre quello di Magno.FB_IMG_1731650885138.jpg
 
SANTA MARGHERITA DI SCOZIA regina
Margherita nacque nel 1045, in Ungheria, dove suo padre Edoardo, erede al trono d’Inghilterra, si era rifugiato, perché il re di Danimarca Canuto aveva usurpato il regno. Era ancora bambina quando, morto Canuto, il padre poté fare ritorno in Inghilterra. La famiglia reale fu costretta a un nuovo esilio a causa dell’arrivo dell’usurpatore normanno Guglielmo il Conquistatore. Loro rifugio fu la Scozia, alla corte di Malcom III, dove furono trattati con ospitalità e cortesia. Malcom III si innamorò di Margherita, intelligente, colta, di buone maniere e ben educata alla fede cattolica. Nel 1070, all’età di 24 anni divenne regina di Scozia. Margherita ebbe otto figli che educò con amore personalmente. Il marito non aveva istruzione e rispettava la moglie per la cultura che aveva e a cui chiedeva spesso consigli. Margherita era paziente, affettuosa, premurosa; coinvolgeva Malcom nei momenti di preghiera, avendo così cura delle loro anime. Di cuore caritatevole, Margherita si occupò dei poveri, degli orfani, dei malati, consolò i miseri e gli umiliati, rendendo partecipe il marito delle buone azioni di carità. Sotto il Regno di Malcom III e Margherita, la Scozia visse un periodo sereno: Margherita era benvoluta dai sudditi, amata dal marito, adorata dai figli e dedita al bene del prossimo. Nel 1093 si ammalò e gli ultimi giorni della sua vita ricevette la notizia della morte del marito e di un figlio avvenuta in battaglia. Ella si rivolse a Dio, dicendo: “Dio onnipotente, ti ringrazio di avermi inviato una così grande afflizione negli ultimi istanti della mia vita. Spero che, con la tua misericordia, servirà a purificarmi dai miei peccati”. Cessò di vivere con la convinzione di riunirsi ai suoi cari nella Luce Eterna.FB_IMG_1731744180760.jpg
 
SANTA ELISABETTA D’UNGHERIA vedova
Elisabetta, figlia del re Andrea II d’Ungheria, nacque nel 1207. Giovanissima, andò sposa a Luigi IV di Turingia. Con il marito si instaurò un legame profondo di stima, di affetto e di amicizia, che si manifestò in lei in forma di tenero sentimento di sposa. Elisabetta sviluppò, anche, una intensa spiritualità nel rispetto della volontà di Dio. Infatti, insieme al suo sposo, non teneva in alcun conto le ricchezze e le vanità del mondo: era un’anima di pietà e di carità. L’incontro con alcuni frati minori giunti in Germania a portare il messaggio di san Francesco, diedero una impronta nuova al suo stile di vita, che cominciò a permearsi della spiritualità francescana. Ebbe tre figli. A venti anni era già vedova, ma non volle risposarsi tale fu il dolore per la perdita del marito. Quel Dio che amava in lui, amava nei poveri, a cui si dedicò, donando loro quanto avevano bisogno. Si occupò dei malati senza risparmiarsi. Diede ciò che possedeva, vestì come le Terziarie francescane e arrivò ad elemosinare, sulle orme di san Francesco. I parenti, disdegnando il suo comportamento, le tolsero i figli. Povera tra i poveri, che assisteva prodigandosi nei servizi più umili, morì giovanissima con una grande gioia nel cuore.FB_IMG_1731837929605.jpg
 

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