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Frate Indovino

SANTA MARTA di BETANIA amici del Signore
Marta, che vuol dire “signora”, era la sorella di Maria e di Lazzaro di Betania, un villaggio vicino Gerusalemme. Gesù amava sostare nella loro casa durante la sua predicazione in Giudea. A Marta era affidata la cura delle faccende domestiche. Ella mostrava ogni impegno per servire bene Gesù, mentre la sorella Maria preferiva stare quieta in ascolto delle parole del Maestro. Marta muove a Maria che non aiuta nelle faccende, un rimprovero: “Signore, non t'importa che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti” (Lc 10,40). Gesù le risponde con amabilità: “Marta, Marta, tu t'inquieti e ti affanni per molte cose; una sola è necessaria: Maria invece ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta” (Lc 10,41). Di lei ricordiamo, ancora, il drammatico episodio della risurrezione di Lazzaro: qui la donna domanda a Gesù, giunto per la notizia della morte dell’amico, il miracolo con una semplice e stupenda professione di fede nella onnipotenza del Salvatore, nella risurrezione dei morti e nella divinità di Cristo. Quando Gesù tornerà a trovarli sarà sempre Marta a occuparsi del banchetto e di ogni faccenda. La lezione del Maestro riguardava il suo eccessivo affanno per le cose materiali a scapito della vita interiore. Grazie a questa santa tanto impegnata nelle faccende domestiche e nel servire bene, l’incompreso mestiere delle massaie è stato riscattato.FB_IMG_1722251430938.jpg
 
SAN PIETRO CRISOLOGO vescovo dottore
Il momento della consacrazione a vescovo di Ravenna, avvenuto intorno al 433, è davvero significativo nella vita di Pietro. Egli viene consacrato dal papa Sisto III in persona, il papa della pace religiosa dopo i dissidi, gli scontri e le iniziative scismatiche. E ad ascoltare la sua prima omelia oltre al papa c’è Galla Placidia, figlia dell’imperatore Teodosio, sorella dell’imperatore Onorio e madre e tutrice dell’imperatore Valentiniano III. Ma, raccolta intorno a lui, in quel giorno solenne, vi è l’intera città di Ravenna, ora capitale dell’Impero, congiunzione tra Oriente e Occidente negli ultimi instabili giorni di quel che resta degli antichi splendori. Il vescovo Pietro è alla guida della Chiesa in questa città e il suo popolo gli dà il soprannome di “Crisologo”, ossia “dalle parole d’oro”. Era uomo con un’ottima cultura, che si distingueva per il suo calore umano e il vigore della sua fede. Il vescovo di Ravenna insegnava a tutti coloro che cercavano la verità della fede e dava rigorose indicazioni circa i buoni comportamenti. Il suo linguaggio era sempre amico, la sua voce sempre cordiale. Ha lasciato alla Chiesa ben 180 sermoni ricchi delle sue “parole d’oro”. È oggi ricordato come Dottore della Chiesa.FB_IMG_1722316464860.jpg
 
SANT’IGNAZIO DI LOYOLA sacerdote
Ignazio nacque in Spagna nel 1491, ultimo di sette figli e, secondo le usanze del tempo, era destinato alla vita religiosa. Ma, era di casato nobile e presto indossò abiti eleganti dai colori vivaci e divenne un ufficiale brillante e un combattente valoroso. Durante una battaglia fu ferito e riportato a Loyola, nel castello di famiglia, dove passò la convalescenza. La lettura di alcuni libri religiosi fatta per trascorrere il tempo, lo aiutò in alcune riflessioni: l’unico vero Signore al quale si poteva dedicare la fedeltà di cavaliere era Gesù stesso. Così, lasciò ai piedi della Madonna i suoi abiti cavallereschi e le armi, vestì quelli di povero e fece voto di castità perpetua. Condusse, per un periodo, una vita di penitenza in cerca della propria vocazione; andò in Terrasanta; ritornato studiò e divenne sacerdote. Egli ebbe la grande illuminazione di fondare una Compagnia di consacrati che portasse il nome di Gesù al fine di difendere la Chiesa dall’eresia: la Compagnia di Gesù. Inizialmente, furono chiamati “Preti Pellegrini”, conosciuti poi come Gesuiti. I Pellegrini missionari e apostoli lottavano per il mondo e per il trionfo della Chiesa. La Compagnia fiorì, garante di una solida disciplina, un rigore morale forte, una fedeltà assoluta. Ignazio, molto malato, morì in modo molto semplice nel 1556, dopo aver redatto le “Costituzioni” per il suo Ordine.FB_IMG_1722407623443.jpg
 
SANT’ALFONSO MARIA DE’ LIGUORI vescovo dottore
Nacque il 27 settembre 1696 a Marianella, località a Nord di Napoli, nella nobile famiglia de’ Liguoro: era il primo di otto figli di don Giuseppe de' Liguori e di Anna Maria Caterina Cavalieri, dei marchesi d'Avernia, originaria del brindisino e sorella del servo di Dio Emilio Giacomo Cavalieri. Il padre di Alfonso voleva che egli ricevesse una buona istruzione, così crebbe all’insegna di una robusta educazione religiosa. Intrapresi gli studi di diritto all’Università di Napoli, a sedici anni divenne dottore in diritto civile e canonico. Esercitò con successo la professione forense, ma persa un’importante causa, decise di abbandonare l’avvocatura. Rampollo di un’antica famiglia, rinunziò al diritto di primogenitura a favore del fratello. Depose quindi la spada sull’altare della chiesa di Santa Maria della Mercede, per iniziare a studiare teologia in casa e nel 1726, a trent’anni, fu ordinato sacerdote. Si dedicò con tutto sé stesso all’attività pastorale. Confessore efficace, si dice che non abbia mai rifiutato l’assoluzione ad alcuno. Alfonso de’ Liguori pensò a una congregazione che si dedicasse al soccorso e all'educazione della parte più povera della società, sognò missionari che portassero la luce della fede e il fuoco della carità nei bassi cittadini e nelle capanne rurali. Nel 1732 fondò a Scala, vicino Amalfi, l’Ordine dei Redentoristi, attualmente diffuso in tutta Europa, in America e in altre parti del mondo. A settantasei anni fu nominato vescovo di S. Agata dei Goti, tra Benevento e Capua. Morì novantunenne il 1° agosto 1787 a Nocera dei Pagani. Pio VII lo beatificò nel 1816, Gregorio XVI lo canonizzò il 29 maggio 1839 e nel 1871 fu proclamato dottore della Chiesa da Pio IX. Nella sua celebre Theologia moralis reagendo al rigorismo dei giansenisti ne accentuò non la severità ma la compassione e la misericordia. Ha ispirato una vasta corrente della spiritualità mariana con “Le Glorie di Maria” libro di devozione popolare. È ricordato anche per aver scritto celebri melodie, tra le quali il canto di Natale italiano più noto: “Tu scendi dalle stelle”.FB_IMG_1722500637875.jpg
 
PREGHIERA ALLA MADONNA DEGLI ANGELI
Vergine degli Angeli, che da tanti secoli avete posto il vostro trono di misericordia alla Porziuncola, ascoltate la preghiera dei figli vostri che fiduciosi ricorrono a voi. Da questo luogo veramente santo e abitazione di Dio, particolarmente caro al cuore di San Francesco, avete sempre richiamato tutti gli uomini all’Amore.

I vostri occhi, colmi di tenerezza, ci assicurano una continua, materna assistenza e promettono aiuto divino a quanti si prostrano ai piedi del vostro trono o da lontano si rivolgono a voi, chiamandovi in loro soccorso.

Voi siete veramente la nostra dolce Regina e la nostra speranza. Benediteci come vostri figli prediletti e con noi vi preghiamo di benedire, con uno stesso gesto materno, gli innocenti e i colpevoli, i fedeli e gli smarriti, i credenti e i dubbiosi. Benedite l’intera umanità, affinché gli uomini riconoscendosi figli di Dio e figli vostri ritrovino, nell’Amore, la vera Pace e il vero Bene.
Amen.FB_IMG_1722577187991.jpg
 
SAN GIOVANNI MARIA VIANNEY sacerdote
Giovanni Maria Vianney, conosciuto come il Curato d’Ars, nato da famiglia contadina (8 maggio 1786 – Ars-sur-Formans, 4 agosto 1859), visse in Francia per oltre settanta anni. Suo desiderio era quello di diventare prete e condurre molte anime a Dio. Coronò il suo sogno con grandi difficoltà e fatiche, incontrando ostacoli duri sia legati agli studi, sia alle vicende di vita personale. Nel 1818 fu mandato ad Ars come curato. Arrivò nel piccolo centro a piedi, ignorato dal popolo, che neppure gli andò incontro per accoglierlo. Egli non rimproverò nessuno, né corse per le strade per chiamare i parrocchiani, semplicemente, si inginocchiò davanti al tabernacolo in preghiera e lì rimase per giorni. Fu il suo esempio, il suo pregare accorato e commovente a fare di Ars un centro di spiritualità, negli anni successivi. Giovanni Maria fu un uomo di Dio che non si stancò mai di predicare, di educare i giovani, di donare se stesso con amore. Ben presto, Ars divenne meta di pellegrinaggi, perché molti erano i fedeli che desideravano confessarsi col curato, che finì per trascorrere molte ore nel confessionale. Il santo Curato d’Ars è patrono di tutti i sacerdoti.FB_IMG_1722752633251.jpg
 
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SANTA MARIA DELLA NEVE
Il culto della Madonna della Neve è legato alla nascita della più grande chiesa dedicata alla Vergine: Santa Maria Maggiore e all’evento della straordinaria nevicata avvenuta durante la stagione estiva. L’importanza di celebrare la contemporaneità di questi due avvenimenti è nel fatto che Maria è immagine stessa della Chiesa. Nel IV secolo, sotto il Pontificato di Papa Liberio, un nobile e ricco patrizio romano di nome Giovanni e sua moglie, non avendo figli, decisero di offrire i loro beni alla Santa Vergine, per la costruzione di una chiesa a lei dedicata. La Madonna gradì il desiderio e apparve in sogno ai due, la notte fra il 4 e il 5 agosto, dicendo che avrebbe indicato con un miracolo il luogo dove doveva sorgere la chiesa. La mattina dopo, i coniugi si recarono da Papa Liberio a raccontare il sogno fatto e si scoprì che anche il Papa aveva fatto lo stesso sogno. Si recarono sul luogo indicato, il colle Esquilino, che trovarono coperto di neve, in piena estate. Il Pontefice tracciò il perimetro, seguendo la superficie del terreno innevato e lì fece costruire il tempio a spese dei nobili coniugi. Questo narra la tradizione che, però, non trova riscontro in nessun documento. La chiesa fu detta “Liberiana” dal nome del Pontefice, ma dal popolo fu chiamata Santa Maria “ad Nives”, cioè “della Neve”. Più tardi, questa chiesa fu abbattuta da Sisto III, il quale (al suo posto) fece edificare una basilica più imponente e maestosa, a cui diede il nome di “Basilica di Santa Maria Maggiore”, ad indicarne la preminenza su tutte le chiese dedicate alla Madonna.FB_IMG_1722837670938.jpg
 
TRASFIGURAZIONE DI NOSTRO SIGNORE GESU’ CRISTO
L’evangelista Matteo racconta con queste parole l’episodio: «Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni, suo fratello, e li condusse in disparte, su un alto monte. E fu trasfigurato davanti a loro: il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce» (17, 1-2). Gesù, in questo modo, vuole far comprendere ai tre apostoli la sua divinità e offrire loro questa certezza. L’episodio si svolse nel secondo anno di vita pubblica di Gesù, nel 29, periodo dedicato da Lui, in modo particolare, alla formazione degli apostoli. L'alto monte è quasi sicuramente il Tabor, che si erge nel cuore della Galilea. Il Tabor, geograficamente isolato, era propizio come luogo alle meditazioni e al silenzio. È in questa cornice che Gesù si offrì alla vista dei tre discepoli, in tutto lo splendore del suo corpo glorioso, così come ci apparirà in ogni istante della naturale visione beatifica di cui gode la sua anima. Con questa visione, Gesù confermava la professione di Pietro: «Tu sei il Cristo, Figlio del Dio vivente» (Mt 16, 16). Nell’episodio appaiono, accanto a Gesù, Mosè ed Elia che dialogano insieme come ad annunciare la passione e la morte del Messia, così come avverranno poco dopo. Noi tutti cerchiamo il Volto di Dio nel nostro cammino terreno, ciò vuol dire cercare di conoscerlo, vivere concretamente nella sua presenza.FB_IMG_1722922079732.jpg
 
SAN DOMENICO DI GUZMAN sacerdote
Domenico nacque nel XII sec., nella Vecchia Castiglia, in Spagna. Egli, preso da grande pietà per i poveri, fu dedito alle opere di misericordia. Assecondò la chiamata del Signore e fu consacrato sacerdote. Un viaggio attraverso la Provenza gli fece conoscere la gravità del fenomeno dell’eresia catara che stava dilagando fino a Roma. Si rese conto anche di quanto fosse difficile far ammettere di essere in errore colui che fosse convinto, in buona fede, di essere nella verità. E di quanta pazienza e delicatezza bisognasse essere dotati per sostenere una controversia. Da questo momento, egli si impegnò nella predicazione assidua della Verità. Pubblici e logoranti dibattiti, colloqui personali, trattative, predicazione, opera di persuasione, preghiera e penitenza occupano i primi anni di questa intensa attività. Nel 1215 fonda l’”Ordine dei Frati Predicatori”, a cui lascia una “Magna Carta”, che riporta le indicazioni di comportamento: i frati dovevano essere caritatevoli, benevoli verso gli eretici, affinare gli argomenti intellettuali per la predica, organizzare spedizioni missionarie, dediti alla povertà mendicante. Domenico, consumato dalle penitenze e dalle fatiche mentali, si spegne a Bologna e con lui la sua stella che aveva brillato durante la sua instancabile opera di predicazione.FB_IMG_1723111970823.jpg
 
SAN LORENZO diacono martire
Della vita di Lorenzo si sa pochissimo. Le antiche fonti lo indicano come arcidiacono di Papa Sisto II, cioè il primo dei sette diaconi allora al servizio della Chiesa romana. Egli assiste il Papa nella celebrazione, distribuisce l’Eucaristia e amministra le offerte fatte alla Chiesa. Ma Valeriano decreta una persecuzione. Inizialmente, questa semplicemente vieta le adunanze di cristiani, blocca gli accessi alle catacombe, esige rispetto per i riti pagani e non obbliga a rinnegare pubblicamente la fede cristiana. In seguito, Valeriano ordina la messa a morte di vescovi e preti. Così il prefetto arresta Lorenzo e gli chiede di consegnare “i tesori della Chiesa”, convinto che la Chiesa del tempo possedesse molte ricchezze accumulate. Lorenzo chiede un po’ di tempo e si affretta a distribuire ai poveri le offerte di cui è amministratore. Poi, si presenta al prefetto con tutti i malati, gli storpi e gli emarginati che aveva nutrito e sfamato con i beni elemosinati, dicendo: "Ecco, i tesori della Chiesa sono questi". Viene arrestato e martirizzato. Noto è il suo martirio sulla graticola, ma gli studi dicono che Valeriano non avesse ordinato torture. Quindi, si presume che Lorenzo sia stato decapitato come tutti i religiosi arrestati.FB_IMG_1723270532403.jpg
 
SANTA CHIARA D’ASSISI vergine francescana
Chiara apparteneva alla famiglia nobile e ricca degli Offreduccio di Assisi e, ancora adolescente, seguiva incuriosita le vicende del giovane Francesco che aveva restituito ogni cosa al padre Bernardone, scegliendo una vita semplice povera. A diciotto anni, nella notte della Domenica delle Palme, Chiara lasciò casa e raggiunse il piccolo gruppo di frati minori alla Porziuncola, dove Francesco eseguì il rito della tonsura e lei pronunciò i tre voti di Obbedienza, Povertà e Castità. La famiglia di Chiara non si rassegnò e cercò di riportarla con forza nel mondo, ma senza successo. Francesco le aveva riservato come dimora il povero convento di San Damiano, dove venne raggiunta dalle sorelle Agnese e Beatrice, dalla mamma Ortolana e da un gruppo di donne. Chiara, affascinata dal nuovo tipo di vita evangelica proposta da Francesco, voleva anche lei dare vita a una famiglia di claustrali radicalmente povere, come singole e come monastero, che vivessero del loro lavoro e di qualche aiuto dei frati minori, immerse nella preghiera per sé e per gli altri, al servizio di tutti, preoccupate per tutti. Saranno chiamate da Francesco “Povere Dame”, note come “Clarisse”. Francesco formulò per lei una prima Regola fondata sulla povertà. Chiara chiedeva per sé e per le sue Dame il privilegio della povertà e le toccò lottare e pregare tutta la vita per ottenerlo. Lo stesso Papa temeva per queste figlie, ma infine concesse alla Santa l’approvazione della Regola per mezzo della Bolla che le consegnò proprio pochi istanti prima che ella ritornasse al Padre. Chiara fu l’interprete più profonda della spiritualità francescana. Dormiva su un sacco, per cuscino aveva un tronco di legno, mangiava tozzetti di pane elemosinati, vestiva panni rozzi. Sulle orme di Francesco, ella diede origine, accanto ai frati minori, al Secondo Ordine francescano, cioè la comunità femminile. Chiara fu molto stimata dal mondo religioso e civile per la sua fermezza di carattere, la dolcezza d’animo, la carità con cui guidava la sua comunità e il sostegno che dava alle compagne.FB_IMG_1723356861543.jpg
 
SAN LORENZO diacono martire
Della vita di Lorenzo si sa pochissimo. Le antiche fonti lo indicano come arcidiacono di Papa Sisto II, cioè il primo dei sette diaconi allora al servizio della Chiesa romana. Egli assiste il Papa nella celebrazione, distribuisce l’Eucaristia e amministra le offerte fatte alla Chiesa. Ma Valeriano decreta una persecuzione. Inizialmente, questa semplicemente vieta le adunanze di cristiani, blocca gli accessi alle catacombe, esige rispetto per i riti pagani e non obbliga a rinnegare pubblicamente la fede cristiana. In seguito, Valeriano ordina la messa a morte di vescovi e preti. Così il prefetto arresta Lorenzo e gli chiede di consegnare “i tesori della Chiesa”, convinto che la Chiesa del tempo possedesse molte ricchezze accumulate. Lorenzo chiede un po’ di tempo e si affretta a distribuire ai poveri le offerte di cui è amministratore. Poi, si presenta al prefetto con tutti i malati, gli storpi e gli emarginati che aveva nutrito e sfamato con i beni elemosinati, dicendo: "Ecco, i tesori della Chiesa sono questi". Viene arrestato e martirizzato. Noto è il suo martirio sulla graticola, ma gli studi dicono che Valeriano non avesse ordinato torture. Quindi, si presume che Lorenzo sia stato decapitato come tutti i religiosi arrestati.Vedi l'allegato 2288427
Onomastico del mio nipotino
 
SANTO STEFANO D’UNGHERIA re
Il giovane Stefano, il cui nome era Vajk, era figlio di Geza principe dei Magiari, un popolo barbaro e bellicoso. I Magiari, dall’Oriente si stanziarono nella pianura fertile del Danubio ed erano il terrore dei popoli europei. Vajk ricevette un’educazione cristiana per merito della madre e, insieme al padre fu battezzato prendendo il nome di Stefano, dal primo martire della Chiesa, nome che in greco vuol dire “corona”. Da questo momento, Geza avviò un piano di trasformazione sociale dei Magiari, ossia da nomadi a popolo stanziale, un progetto arduo: bisognava modificare il loro essere e cioè stabilirsi in una casa e non più in tende e lavorare la propria terra, invece di appropriarsi delle provviste altrui. Geza morì e toccò a Stefano portare avanti il cambiamento. Fu un regnante illuminato dalla Grazia e seppe condurre i Magiari a modificare le proprie caratteristiche. Due furono gli aspetti fondamentali per questa opera: la conversione al Cristianesimo e la pacifica accettazione della civiltà europea. Dovette anche creare un’amministrazione dello Stato e, per questa, si ispirò al modello occidentale. Un aiuto gli venne da Papa Silvestro II, a cui Stefano si sottomise. Questo significava garantire al nuovo popolo la coesione politica e religiosa. Il Papa donò a Stefano, nel Natale dell’anno 1000, la corona di “Re Apostolico”, simbolo dell’unione del popolo col sovrano nella sottomissione a un unico Creatore. Egli fu un sovrano pacifico, mite, caritatevole, che dedicava il suo tempo a soccorrere i poveri. Stefano, però, non aveva un successore diretto, perché il suo unico figlio lo aveva perso che era bambino. Prima di morire designò a succedergli suo nipote Pietro Orseolo, figlio del doge veneziano Pietro II. Fu un grande re e, alla sua morte, gli Ungheresi considerarono Stefano santo fondatore del loro Stato e della loro unità religiosa, campione della fede e dell’indipendenza del popolo magiaro. Stefano è il primo re canonizzato dalla Chiesa.FB_IMG_1723802934787.jpg
 
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SANTA CHIARA DI MONTEFALCO vergine
Chiara nacque a Montefalco, in provincia di Perugia, nel 1268. Già dall’età di quattro anni era tutta innamorata di Gesù ed era incline alla preghiera, trascorreva intere ore immersa nell’orazione. Alla vista del Crocifisso, si abbandonava a mortificazioni che infliggeva al suo corpo con dolorosi cilici. Consacratasi a Dio, volle entrare nel reclusorio, dove già viveva la sorella Giovanna. La santità di Chiara e le virtù di Giovanna fecero accorrere nel reclusorio di Montefalco nuove aspiranti. Le ristrettezze economiche in cui furono costrette a vivere, costrinsero Chiara a fare la questua. Le due sorelle si impegnarono, perché la comunità potesse entrare a far parte di un Ordine approvato e la nuova famiglia religiosa potesse essere riconosciuta. Infatti, ad essa fu data la Regola di sant’Agostino e il nuovo monastero fu chiamato “della Croce”. Ancora giovane di età, a Chiara fu chiesto di essere abadessa del monastero. Ella svolse il suo compito con fermezza e, con la parola e con l’esempio, riuscì a proporre un intenso cammino spirituale. Dio le aveva donato grazie mistiche: godeva di visioni ed estasi; doni soprannaturali che elargì nella vita sia interna che esterna al monastero; il dono della scienza infusa, grazie al quale riuscì a suggerire soluzioni opportune per questioni presentatele da teologi, filosofi e letterati. Subito dopo la morte, la fama delle sue virtù crebbe molto, e sempre nuovi miracoli le furono attribuiti, tanto che la devozione per questa pia suora di Montefalco fece sì che fosse venerata subito come santa.FB_IMG_1723877534884.jpg
 
SANTA ELENA imperatrice
Elena nacque da famiglia plebea nel III secolo e fu sposa del tribuno militare Costanzo Cloro, a cui diede un figlio, Costantino. Per ordine dell'imperatore Diocleziano, ella venne ripudiata dal marito, perché appartenevano a classi sociali differenti. Abbandonata ed umiliata, mantenne un comportamento dignitoso. Quando il figlio Costantino, sconfiggendo il rivale Massenzio, divenne capo dell'impero, Elena fu riabilitata nell’onore ed ebbe il titolo di “Augusta”. Fu l'inizio di una nuova epoca per il Cristianesimo: l'imperatore Costantino, certo che la sua vittoria fosse dovuta alla protezione di Cristo, concesse ai cristiani la libertà di culto. Ruolo fondamentale lo ebbe la madre Elena, che probabilmente contribuì alla conversione del figlio. Elena testimoniò un grande fervore religioso, si dedicò ad opere di bene e costruì celebri basiliche. Si dice che avesse ritrovato la Tomba di Cristo scavata nella roccia ed in seguito, la Croce del Signore e quelle dei due ladroni. Il ritrovamento della Croce, grazie all’impegno di Elena, procurò grande emozione in tutta la cristianità.FB_IMG_1723967017384.jpg
 
SAN LUDOVICO D’ANGIÒ vescovo francescano
Ludovico nacque nel 1274, da Carlo II d’Angiò e Maria d’Ungheria, secondo figlio di quattordici. Vennero tutti educati al cristianesimo dalla madre; il padre si occupò della loro istruzione. Ludovico crebbe nella serenità, era molto sensibile e si dedicò ad aiutare i poveri e i bisognosi. Nella guerra fra Angioini e Aragonesi per il possesso della Sicilia, il padre di Ludovico venne fatto prigioniero dagli Aragonesi. Carlo II fu più tardi rilasciato, dovendo però consegnare in ostaggio tre suoi figli: Ludovico, Roberto e Raimondo, che furono portati in Spagna. Nei sette anni di prigionia furono seguiti e istruiti da frati francescani e, in Ludovico, sempre dedito alla preghiera, crebbe l’attrazione per la spiritualità francescana fino a indossare l’abito religioso. Quando i tre fratelli furono liberati e poterono tornare dal padre, Ludovico rinunciò a tutti i diritti di successione in favore del fratello Roberto, ritirandosi a una vita di meditazione. A ventidue anni fu ordinato sacerdote; a ventitré anni il papa lo consacrò vescovo di Tolosa, nomina che egli accettò per obbedienza. A Tolosa svolse il suo ministero episcopale senza risparmiarsi. Come francescano rifiutò ogni comodità e mondanità per seguire le orme di Cristo povero con l’unico desiderio di essere lì dove c’era bisogno di aiuto. Ma la sua salute, malgrado la giovane età, era molto precaria: i continui spostamenti lo affaticavano tanto da procurargli febbri da cui non si riprese e nel 1297 lasciò questa terra offrendo a Dio le sue sofferenze. Nel 1317, Ludovico fu proclamato santo alla presenza di sua madre e del fratello Roberto.FB_IMG_1724048879582.jpg
 
SAN BERNARDO DI CHIARAVALLE abate e dott. della Chiesa
Bernardo nacque nel 1080, in Francia, da nobile famiglia, ma sentì il richiamo spirituale e decise di farsi monaco. Quando partì per il monastero di Cluny, fu seguito da una trentina di giovani del paese, grazie al potere di attrazione che sapeva esercitare sulle anime. Ma qui trovò un forte decadimento dovuto ai beni materiali che gli abati avevano a disposizione. Bernardo, insieme ai suoi compagni, si trasferì a Chiaravalle dove seguì con serietà la Regola benedettina: pregare con l’anima, con la mente, con la parola, con il lavoro, con lo studio e con i digiuni. Chiaravalle divenne un faro per tutta la Cristianità. Bernardo fu la coscienza e la luce del tempo, con l’aiuto del suo prestigio, del suo vigore persuasivo e della sua umiltà riuscì a ristabilire la pace e l’unità nella Chiesa, ponendo fine allo scisma, con la sconfitta dell’antipapa Anacleto. Egli ovunque andasse accendeva i cuori, era amato e ammirato. Scrisse opere di dottrina e di contemplazione, ricche di fiducia e di dolcezza, che gli sono valse il titolo di Dottore della Chiesa.FB_IMG_1724134234872.jpg
 

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