La teoria della separazione misurata lungo la linea degli eventi senza matematica è come il lavorare senza fatica o lo sciare senza cadere o l’estrazione indolore dei denti. L’affermazione può spaventare, ma la matematica che noi usiamo è una matematica alla portata di chiunque , con un minimo di preparazione che si è detto, voglia affrontare i temi di fondo di una branca innovativa del sapere che è tra le componenti principali del modo statistico contemporaneo. Certamente un’esposizione eccezionale per densità di idee, rigore concettuale e chiarezza di linguaggio anche al lettore meno esperto. Le esigenze critiche di un pubblico non più alle prime armi hanno visto un netto progresso della letteratura divulgativa ed epistemologica.
Mi si permetta a questo proposito una riflessione un po’ estranea all’argomento che sto trattando.
Alcuni anni or sono un filosofo disse che mentre il futuro è determinato dal passato, il passato non è dal futuro o, in altri termini, che dalla conoscenza del presente possiamo inferire quella del futuro, ma non quella del passato. A suo dire, ciò dipendeva dal fatto che una causa produce un unico effetto, mentre uno stesso effetto può essere prodotto da più cause
. E’ chiaro che nessuno statista potrà sottoscrivere questa asserzione: le leggi della natura connettono l’antecedente al conseguente in modo tale che l’antecedente è determinato dal conseguente così come il conseguente dall’antecedente. Ma quale può essere stata l’origine dell’errore di quel filosofo? Sappiamo che, in virtù del principio di Carnot, i fenomeni fisici sono irreversibili e che la statistica tende verso l’uniformità.
Quando cerchiamo di prevedere un fatto e ne esaminiamo gli antecedenti, ci sforziamo di acquisire informazioni sulla situazione anteriore: ma non saremo in grado di farlo per tutte le parti esaminate, e ci contentiamo di sapere ciò che accade nelle vicinanze del punto in cui il fatto deve verificarsi, o ciò che sembra avere un qualche rapporto con il fatto in questione.
Un’indagine non può mai essere completa e bisogna saper scegliere. Ma ci può succedere di aver trascurato delle circostanze che a prima vista ci sembrano del tutto estranee al fatto previsto, alle quali non avremmo mai pensato di attribuire alcuna influenza e che invece, al contrario di ogni previsione, si trovano a svolgere un ruolo decisivo.
Un uomo cammina per strada andandosene a sbrigare i propri affari: qualcuno, che fosse al corrente di questi suoi affari, potrebbe dire per quale ragione egli è uscito a quell’ora, perché è passato per quella strada. Su un tetto lavora un muratore: l’imprenditore che lo ha alle proprie dipendenze potrà prevedere in una certa misura ciò che egli farà. Ma l’uomo non pensa affatto al muratore, né quest’ultimo all’uomo; essi sembrano appartenere a due mondi completamente estranei l’uno dall’altro. E tuttavia il muratore lascia cadere una tegola che uccide l’uomo, e non esiteremo a dire che il tutto è opera del caso.
La nostra debolezza non ci permette di abbracciare tutto l’universo e ci obbliga a tagliarlo a fette. Cerchiamo di farlo nel modo meno artificioso possibile: ciò nondimeno, di tanto in tanto, succede che due di queste fette abbiano delle ripercussioni l’uno sull’altra. Gli effetti di questa azione reciproca ci paiano allora dovuti al caso. E’ questo un terzo modo di concepire il caso? Non sempre: effettivamente, il più delle volte si è ricondotti alla prima o alla seconda concezione.
Quando due mondi, generalmente estranei l’uno all’altro, vengono a integrare tra di loro, le leggi di questa interazione non possono che essere molto complesse, e d’altra parte sarebbe stato sufficiente un piccolissimo cambiamento nelle condizioni iniziali per impedire che essa avesse luogo. Sarebbe bastato davvero poco perché l’uomo passasse un secondo più tardi o il muratore lasciasse cadere la tegola un secondo prima!
Tutto ciò che abbiamo detto non spiega ancora perché il caso obbedisca a certe leggi.
E’ sufficiente che le cause piccole o che esse siano complesse per potere prevedere quali effetti avranno, se non in ogni singolo caso, quantomeno in media? Ciò spiega perché i fenomeni obbediscano alle leggi del caso quando piccole differenze nelle cause sono sufficienti a produrre grandi differenze negli effetti.
Le probabilità di queste piccole differenze si possono infatti considerare proporzionali alle differenze stesse, appunto perché tali differenze sono piccole e i piccoli incrementi di una funzione continua sono proporzionali a quella della variabile.
Ma i paradossi non sono ancora finiti. La finzione immaginaria da Flammarion, quella dell’uomo che va più veloce della luce e per quale il tempo ha cambiato di segno. Diciamo che per costui tutti i fenomeni sembrerebbero dovuti al caso. Ciò è vero da un certo punto di vista; nondimeno, tutti questi fenomeni a un dato istante non sarebbero distribuiti secondo le leggi del caso, giacché sarebbero distribuiti coma appaiono a noi che, vedendoli svolgersi in modo armonioso e senza scaturire da un caos primigenio, non li consideriamo come governati dal caso.
Supponiamo che nello spazio di C e D un corpo numerico parta da C e si diriga con velocità costante verso D, percorrendo, secondo C, la distanza CD = 78/90
e di conseguenza:
Vedi l'allegato 2205726
Quindi:
Vedi l'allegato 2205727
Vedi l'allegato 2205733
da cui si ricava
Vedi l'allegato 2205729
e successivamente
Vedi l'allegato 2205730
Questa relazione mostra come la lunghezza di CD si possa calcolare conoscendo gli intervalli spaziali tra A e K , i quali si ottengono, come prima, con una equazione, se sono note le coordinate di C e D.
Napoli 24 ambata primaria
Secondarie 66-57
Saluti...