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Frate Indovino

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SAN GIUSEPPE MOSCATI laico
Giuseppe fu uno dei medici più conosciuti nella Napoli dei primi del Novecento. Egli nacque a Benevento, nel 1890, settimo dei nove figli, di Francesco Moscati, magistrato e Rosa de Luca, di famiglia aristocratica. Era una famiglia di salde tradizioni religiose. Presto dovette trasferirsi a Napoli per seguire il padre. Qui, Giuseppe non scelse gli studi giuridici, rompendo così la tradizione di famiglia, ma si iscrisse a Medicina. Sembra che dalla sua finestra potesse vedere l’Ospedale degli Incurabili, cosa che risvegliò in lui sentimenti di pietà verso i pazienti ricoverati. La scelta della professione medica derivò per lui da una forte vocazione. Egli si trovò a operare in un’epoca in cui grande era il prestigio della Scuola medica napoletana e stava emergendo la figura professionale del medico. La sua carriera fu rapida e coronata da fama e riconoscimenti; la sua vita fu tutta dedicata alla professione tra ospedale, visite mediche e lezioni agli allievi. Prestava profonda attenzione al paziente, le sue visite non erano mai sbrigative, ma aveva cura di osservare tutte le manifestazioni delle patologie, gettando anche le basi del rapporto di fiducia medico-paziente. E aveva cura non solo del corpo, ma anche dello spirito del paziente: di frequente, consigliava all’ammalato, accanto alla terapia medica, di confessarsi e di ricevere i sacramenti. Medico autorevole, avrebbe potuto diventare ricco, ma egli era il medico di tutti, dei poveri in particolar modo e non chiedeva compenso là dove c’erano difficoltà economiche, anzi si premurava di procurare le medicine necessarie alla cura. Uomo generoso, condusse una vita ritirata, sobria, fondata sulla preghiera.FB_IMG_1649755526373.jpg
 

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GIOVEDÌ SANTO – CENA DEL SIGNORE
Oggi si celebra “l’Ultima Cena” che Gesù tenne insieme ai suoi Apostoli, nella ricorrenza della Pasqua ebraica. La Pasqua è la solenne festa ebraica, che rievoca le meraviglie che Dio compì nella liberazione degli Ebrei dalla schiavitù egiziana. In questa occasione, si consuma l’agnello ed è permesso mangiare solo pane senza lievito, il pane “azzimo”. Durante la Cena, Gesù con gli Apostoli parlò molto, con parole di commiato, di profezia, di promessa, di consacrazione. Col gesto della lavanda diede loro una grande lezione d’amore, perché i discepoli lo dovranno seguire sulla via della generosità totale nel donarsi a tutti i fratelli nell’umanità, anche se considerati, per casta o per cultura, inferiori. Ma quanti gesti e parole inusuali, quella sera, forse non subito compresi. Egli fece il dono più prezioso all’umanità, il Sacramento dell’Eucarestia, che si perpetua in ogni angolo della Terra e come Lui disse: “fate questo in memoria di me” (Lc 22,19) e del sacrificio che ha fatto per la nostra salvezza. Lo sguardo di Gesù era rivolto oltre la sua morte imminente e rassicurava i discepoli: “Ma il Consolatore, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, Egli vi insegnerà ogni cosa... Vi lascio la pace, vi dò la mia pace… Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore. Avete udito che vi ho detto: vado e tornerò a voi…” (Gv 14,26-28). Un colloquio di grande suggestione e ricco di emozioni, perché in undici hanno creduto in Lui, veramente Figli di Dio, lo hanno seguito in quegli anni, disposti a proseguire il suo messaggio di salvezza. Ma il tradimento di Giuda si stava consumando e Gesù si ritirò nell’Orto degli Ulivi a pregare. La sua preghiera fu: “La mia anima è triste fino alla morte” (Mc 14,34).
Inizia così la Passione di Gesù: il rito prevede la reposizione dell’Eucaristia in una cappella laterale delle chiese; tutto viene oscurato in segno di dolore, le campane tacciono, l’altare diventa disadorno, il tabernacolo vuoto con la porticina aperta, i Crocifissi coperti.FB_IMG_1649930444568.jpg
 

Zac

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Nell'ultima cena Gesù disse tra l'altro "vi lascio la pace vi do la mia pace.." Ma questa pace non è stata fatta propria dagli uomini che, diversamente, hanno voluto e continuano a volere la lotta fra persone ed in particolare tra i popoli "La guerra".
 

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15 Aprile 2022 Venerdì Santo/C dal Vangelo di Giovanni (Gv 18, 1-19, 42)

«Passione di nostro Signore Gesù Cristo»
Oggi la Chiesa fa memoria della morte del suo Signore e Sposo, perciò non celebra l’Eucaristia. L’azione liturgica è dominata dalla croce che lascia spazio solo al silenzio e alla contemplazione. Gesù muore nel momento in cui nel tempio si immolano gli agnelli destinati alla celebrazione della Pasqua. Cristo crocifisso è dunque il «vero Agnello pasquale», è lui la «nostra Pasqua». Nella carne dell’Agnello immolato si attua la salvezza voluta dal Padre; attraverso il sangue dell’Agnello pasquale Dio riconcilia a sé l’umanità ed essa può entrare in comunione vitale con Dio; nella morte di Cristo lo Spirito è riconsegnato al Padre perché lo effonda sugli uomini, come sorgente di vita nuova. La croce diventa così il cuore del mondo. Da essa è innalzata al Padre la preghiera di Cristo per la salvezza di tutti. L’adorazione della croce diventa allora per noi risposta di fede e di amore al dono gratuito di Dio e riconoscimento della regalità salvifica di Cristo. La comunione eucaristica, che conclude l’azione liturgica, ci rende partecipi della morte gloriosa di Cristo e dei suoi frutti: è comunione sacramentale che ci permette già ora di partecipare alle nozze dell’Agnello, che avranno il loro pieno compimento nella festa del Regno.FB_IMG_1650048337202.jpg
 

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SABATO SANTO
Il Sabato Santo è il giorno del silenzio, del raccoglimento, della meditazione per Gesù che giace nel sepolcro; solo dopo verrà la gioia della Domenica di Pasqua con la sua Resurrezione, ma il sabato vi è il silenzio del riposo della morte. Anche i Vangeli tacciono: il racconto della Passione di Gesù si ferma alla sera del venerdì, all’apparire delle prime luci del sabato e riprende il terzo giorno. Il Sabato Santo è l’unico giorno senza celebrazione eucaristica: tacciono le campane, nessuna candela accesa nelle chiese spoglie, nessun canto. Anche la preghiera si fa silenziosa ed è carica di attesa: attesa di ciò che cambierà ogni cosa, ogni storia. Il Signore è morto nella carne ed è disceso nel Regno degli Inferi e con la sua morte ha distrutto la morte stessa in un mirabile combattimento. Così il Sabato Santo è un tempo capace di germinare la vita, cioè è un crescere del tempo verso il trionfo della vita nuova: il suo silenzio è un tempo carico di energie e di vita. Il Sabato Santo, Dio sembra assente, il dolore appare senza senso e Lui, dov’è? Sabato Santo è anche per chi nel suo cammino di fede incontra le tenebre, vede vacillare la propria fede, non riesce a nutrire speranza. Appare giorno privo di sensibilità, in cui la fiducia svanisce… ma, è bene vederlo come un tempo in cui il disfacimento del nostro essere esteriore fa spazio alla crescita del nostro uomo interiore… allora, ognuno potrà dire del suo Sabato Santo: “Dio veramente era qui accanto a me, ma io non lo sapevo!” (Gen 28,16). L’aurora della Pasqua segue sempre il Sabato Santo!

Ispirato a un testo di E. BianchiFB_IMG_1650096038919.jpg
 

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PASQUA DI RISURREZIONE DEL SIGNORE
La Chiesa, al suono festante delle campane, proclama l’annuncio pasquale: Cristo è risorto, Egli vive al di là della morte, è il Signore dei vivi e dei morti. In quella che risulta essere, nella storia, la “notte più chiara del giorno”, la Parola onnipotente di Dio, Creatore di cieli e terra, che ha fatto l’uomo a sua immagine e somiglianza, chiama a una vita immortale l’“uomo nuovo”, Gesù di Nazareth. Pasqua è annuncio della risurrezione, della vita che non sarà distrutta. Gli Apostoli hanno il compito di testimoniare che Cristo è vivo e la Chiesa, nata dalla Pasqua di Cristo, lo testimonia a ogni generazione. Questa vita nuova è tutta da costruire nell’oggi in modo nuovo: Pasqua è oggi, è ogni giorno dell’esistenza umana e cristiana. È compito dei cristiani testimoniare che la vita può essere più ricca, più gioiosa, più piena, se vissuta come insegnato dal mistero pasquale, cioè che essa passa attraverso la morte soltanto per risorgere. Ogni volta che il male è vinto, ogni volta che un gesto di amicizia rivela a un fratello l’amore del Padre, ogni volta che compiamo un sacrificio per il fratello, ogni volta che aiutiamo gli altri a vivere una gioia, realizziamo la Pasqua. Si afferma quel “mondo nuovo” nel quale la “gloria della risurrezione” sarà pienamente realizzata. Il Signore ci invita a uscire dalle ricchezze e dagli egoismi personali; a uscire dal peccato che avvelena il cuore; a uscire e ad allargare la cerchia degli interessi, facendo della nostra vita un servizio d’amore. Il Signore ci invita ad andare verso la novità del Cristo, a seguire la strada del Vangelo, seminando gioia, annunciando che Cristo è vivo e risorto. La vita sarà, allora, un canto di “Alleluia!”.

Ispirato a un testo di M. MagrassiFB_IMG_1650184977246.jpg
 

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IL LUNEDÌ DELL’ANGELO
Il Lunedì dell’Angelo, comunemente chiamato lunedì di Pasquetta, segue la domenica di Pasqua ed è il giorno in cui i cristiani ricordano l’incontro dell’Angelo con le tre donne, giunte al sepolcro, dove Gesù era stato seppellito il giorno della sua Crocifissione. Il Vangelo racconta che Maria di Magdala, Maria madre di Giacomo e Giuseppe, e Salomè andarono al sepolcro, con degli olî aromatici per imbalsamare il corpo di Gesù. Trovarono che la grande pietra che lo chiudeva era stata rimossa; le tre donne erano smarrite e preoccupate e mentre cercavano di capire cosa fosse successo, apparve un angelo che disse loro: "Voi cercate Gesù Nazareno, il crocifisso. È risorto, non è qui" (Mc 16,6-7). E le invitò a dare l’annuncio agli Apostoli. La tradizione ha spostato questo evento dalla mattina di Pasqua al giorno successivo, il lunedì, forse perché i Vangeli parlano de "il giorno dopo la Pasqua", anche se quella a cui si allude è la Pasqua ebraica, che cadeva di sabato. Il lunedì dell’Angelo, in Italia, è un giorno di festa che si trascorre insieme a parenti e amici facendo la tradizionale gita o scampagnata. Una interpretazione di questa consuetudine, potrebbe essere che si vogliano ricordare i discepoli diretti a Emmaus, a pochi chilometri da Gerusalemme, ai quali Gesù apparve lo stesso giorno della Resurrezione. Così, per ricordare quel viaggio, si trascorre la Pasquetta facendo una passeggiata o una scampagnata all’aperto.
La festa civile del lunedì di Pasqua fu introdotta dallo Stato italiano nel dopoguerra, con lo scopo di allungare la festa della Pasqua, così come è per il 26 dicembre, il giorno che segue il Natale.FB_IMG_1650271760878.jpg
 

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SANT’ANSELMO D’AOSTA vescovo dottore della Chiesa
Anselmo nacque ad Aosta nel 1033. Il padre, molto autoritario, fu causa delle sue amarezze giovanili. Gli proibì di poter seguire la sua inclinazione a farsi monaco, perché essendo primogenito, doveva essere erede del nome e delle ricchezze, secondo la tradizione. I contrasti col padre, infine, lo esasperarono e fuggì di casa. Giunse all’abbazia del Bec, dove studiò e, preso l’abito, ne divenne l’abate, mostrando grande saggezza nel governo. L'acutezza dell'intelligenza, la dolcezza di carattere e la santità di vita lo resero famoso e il re Guglielmo II il Rosso lo nominò arcivescovo della sede vacante di Canterbury. La situazione della Chiesa inglese era molto difficile in quel periodo per la violazione della libertà religiosa da parte del re. Anselmo tentò di mediare il rapporto, ma si arrivò a un conflitto duro tra l'autorità secolare e quella religiosa. L'arcivescovo non si arrese, non abbondonò la sua posizione e ricorse al Papa per ottenere l’affermazione dei diritti del popolo cristiano. Fu costretto, però, ad abbandonare la sua sede per l’esilio. Studioso instancabile, pensatore acuto, grande teologo del tempo, egli aprì una nuova strada, affermando che la certezza della fede va addotta con prove razionali. Rientrò a Canterbury e lì morì da uomo giusto, le cui scelte erano state fatte per servire la società nella quale si trovava. Sant’Anselmo d’Aosta fu proclamato Dottore della Chiesa.FB_IMG_1650521982532.jpg
 

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SAN TEODORO IL SICEOTA vescovo
Teodoro nacque in Galazia, dove la madre e la zia gestivano un albergo attraverso molte difficoltà. Giunse lì un cuoco che riuscì ad attirare molti clienti, risollevando così le sorti delle due donne. Il cuoco era una persona devota e spinse il giovane Teodoro a frequentare la chiesa, gli insegnò a pregare e la pratica ascetica del digiuno. Tutto ciò influenzò spiritualmente il giovane Teodoro, che decise di fare l’esperienza di vivere da eremita in una grotta. La sua fama di santità si diffuse nei dintorni e gli fu attribuito anche il dono dell'esorcismo. Veniva visitato da molti pellegrini e, non riuscendo più a vivere in solitudine si ritirò sulle montagne, cercando di vivere in una grotta murata, ma ne fu tirato fuori, perché era in cattiva salute. A diciotto anni ricevette l'ordinazione presbiterale, si recò pellegrino a Gerusalemme, dove ricevette l'abito monastico. Inaugurò un nuovo stile di vita estremamente austero, egli stesso scelse di vivere sopra alcune ceste sospese. Grazie alla sua intercessione, si compirono numerosi miracoli e visitatori e discepoli ripresero a fargli visita. Fu eletto vescovo di Anastasiopoli, dove vi rimase per una decina d'anni, finché ottenne il permesso di dare le dimissioni. Il suo episcopato fu caratterizzato principalmente da miracoli e prodigi. Si dedicò alla preghiera e alla cura dei suoi monaci, che durante la sua assenza avevano assunto costumi piuttosto rilassati. Fu, in seguito, convocato a Costantinopoli per ricevere grandi onori dall'imperatore, a cui aveva guarito il figlio. Trascorse il resto dei suoi giorni in monastero, accogliendo i visitatori e operando miracoli.FB_IMG_1650609531257.jpg
 

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SAN GIORGIO martire (23 aprile)
Giorgio fu venerato, fin dall’antichità, sia in Oriente, sia in Occidente e la sua fama fu tanto vasta che non esiste paragone tra i martiri dell’epoca. Non si hanno, però, notizie certe sulla sua vita. La leggenda narra di un dragone che usciva dalle acque del lago e si avvicinava alle mura della città, portandovi morte. Per tenerlo lontano, gli abitanti sorteggiavano dei giovani da dare in pasto alla bestia. Un giorno, toccò in sorte alla figlia del re. Ma, Giorgio ingaggiò col drago un furioso combattimento e lo uccise, salvando la principessa da sicura morte e la città dall’asservimento. In cambio della liberazione raggiunta, Giorgio chiese al popolo della città di credere in Cristo e di farsi battezzare. In tempi di persecuzioni, il santo sposò la missione di difendere i cristiani condannati al martirio. Ma, egli stesso fu arrestato, condannato, subì lunghe torture e, infine, fu decapitato. Il culto del santo acquisì popolarità enorme tanto che si diffuse in molti Paesi fino ad arrivare in Inghilterra, dove fu proclamato patrono e dove, ancora oggi, la croce rossa di san Giorgio in campo bianco è tra i simboli della bandiera inglese. Inoltre, gli anglicani conservano la celebrazione della ricorrenza del santo nel loro calendario.FB_IMG_1650696107244.jpg
 

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DOMENICA DELLA DIVINA MISERICORDIA
Santa Maria Faustina Kowalska mentre era nella sua cella del convento di Plock, il 22 febbraio 1931, ebbe la visita del Signore Gesù. Scrisse nel diario: “Vidi il Signore Gesù vestito di una veste bianca: una mano alzata per benedire, mentre l’altra toccava sul petto la veste, che ivi leggermente scostata lasciava uscire due grandi raggi, rosso l’uno e l’altro pallido. […] Dopo un istante Gesù mi disse: “Dipingi un’immagine secondo il modello che vedi, con sotto scritto: Gesù, confido in Te! Prometto che l’anima, che venererà questa immagine, non perirà” (Quaderno I, p. 47-48). […] “Voglio che l’immagine […] venga solennemente benedetta nella prima domenica dopo Pasqua; questa domenica deve essere la festa della Misericordia” (Q I, p. 47-48). Il significato di questo quadro è legato alla liturgia di questa domenica. La Chiesa legge il Vangelo secondo san Giovanni che descrive l’apparizione di Gesù risorto nel Cenacolo agli Apostoli e l’istituzione del Sacramento della Penitenza (Gv 20, 19-29). L’immagine rappresenta il Salvatore risorto che porta agli uomini la Pace con la remissione dei peccati, conquistate con la sua Passione e morte in croce. I raggi del sangue e dell’acqua scaturiscono dal cuore di Gesù trafitto dalla lancia del centurione, il Venerdì Santo (Gv 19, 17-18; 33-37). E nell’immagine di Cristo vi sono i due raggi. Santa Faustina chiede a Gesù il significato di questi raggi, e Gesù spiega: “I due raggi rappresentano il Sangue e l’Acqua. Il raggio pallido rappresenta l’Acqua che giustifica le anime; il raggio rosso rappresenta il Sangue che è la vita delle anime. […] Tali raggi riparano le anime dallo sdegno del Padre Mio. Beato colui che vivrà alla loro ombra” (Q I, p. 299). Questi due raggi simboleggiano i santi Sacramenti, tutte le grazie dello Spirito Santo, di cui l’acqua è il simbolo biblico, e anche la Nuova Alleanza fatta da Dio con l’uomo per mezzo del sangue di Cristo. L’immagine di Gesù Misericordioso viene anche definita della Divina Misericordia, perché nel mistero pasquale di Cristo si è rivelato più chiaramente l’amore di Dio per l’uomo. Il fine del quadro è di rammentare il dovere del cristiano di provare sincera fiducia nei confronti di Dio e di agire con carità attiva verso il prossimo. Gesù chiese inoltre a suor Faustina che nella parte inferiore del quadro fosse scritto: “Gesù, confido in Te”, porgendo agli uomini un “recipiente” al quale possono attingere le grazie. “Attraverso questa immagine concederò molte grazie alle anime, perciò ogni anima deve poter accedere a essa” (Q II, p. 742). Venerando l’immagine di Gesù Misericordioso, Egli ha promesso: la salvezza eterna, progressi nel cammino verso la perfezione cristiana, la grazia di una morte felice e altre grazie, se gli uomini gli si avvicineranno con fiducia.FB_IMG_1650782444369.jpg
 

mihael

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SAN MARCO evangelista (25 aprile)
Marco era figlio di una vedova di nome Maria, che seguiva devotamente Gesù e ospitava nella sua casa i suoi seguaci. Sembra che proprio nella sua casa si sia svolta l’Ultima Cena e, che Marco, ancora giovinetto, abbia assistito alla cattura di Gesù. Fu uno dei primi battezzati da Pietro che, come padre spirituale, lo chiamava “figlio mio”. Marco seguì il cugino Barnaba e l’Apostolo Paolo nella loro prima missione evangelizzatrice, anche se presto la abbandonò e decise di rientrare in Gerusalemme. In seguito, egli accompagnò Pietro a Roma e da lui imparò ogni cosa sulla dottrina e sulla vita di Gesù. E scrisse il suo Vangelo. Scrisse le cose fatte e dette dal Signore che ricordava, pur non avendole ascoltate direttamente e non avendolo seguito, ma solo avendo accompagnato Pietro. Questo padre spirituale fu la sua primaria fonte per la stesura di un Vangelo breve quanto stilisticamente secco e vivace, in cui conduce il lettore per mano attraverso le vicende del Signore fino alla scoperta profonda, da parte del centurione, sul Golgota, che si trattasse veramente del “Figlio di Dio”. Simbolo dell’evangelista Marco e del suo Vangelo è il leone, attraverso cui Gesù appare con caratteri forti: scaccia i demoni, guarisce i malati, vince la morte. Marco predicò ad Alessandria d’Egitto, dove fondò la prima Chiesa, ma venne arrestato e torturato: fu trascinato legato con una corda su strade irte di pietre. Più tardi, due mercanti veneziani trafugarono il corpo e riuscirono a portarlo a Venezia, qui fu custodito nella Basilica a lui dedicata, mentre il leone alato con il libro aperto tra gli artigli divenne il simbolo della città, in suo onore.FB_IMG_1650867934257.jpg
 

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BEATA VERGINE MARIA DEL BUON CONSIGLIO
Il culto rivolto alla Madonna come «Madre del Buon Consiglio» si è diffuso largamente traendo origine dal paese di Genazzano, vicino Roma, dove a lei è dedicato un celebre santuario. La beata Vergine è giustamente onorata sotto il titolo di “Madre del Buon Consiglio»” ella è la madre di Cristo, che Isaia profeticamente chiamò “Consigliere mirabile” (Is 9, 5); visse tutta la sua vita sotto la guida dello “Spirito del consiglio”, che la “avvolse”; “aderì intimamente all'eterno Consiglio di ricapitolare in Cristo tutte le cose” (Ef 1, 10), venne da Dio colmata dei doni dello Spirito Santo, fra i quali emerge “lo spirito della sapienza” (Sap 7, 7b). Nel formulario la beata Vergine viene celebrata come madre e maestra che, arricchita del dono del consiglio, con animo colmo di gratitudine annunzia ciò che dice la Sapienza stessa: “A me appartiene il consiglio e la saggezza, mia è la prudenza, mia la fortezza” (Pr 8, 14); e questi doni ella volentieri li elargisce ai suoi figli e discepoli, esortandoli a compiere anzitutto ciò che Cristo ha detto loro di fare (Gv 2, 1-11).
Tratto da introduzione della messa della BVMariaFB_IMG_1650952201506.jpg
 

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