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Frate Indovino

SAN LUIGI MARIA GRIGNION DE MONTFORT sacerdote
Luigi nacque nel 1673, in Bretagna, da una famiglia profondamente cristiana ed era il secondo di diciotto figli. Nonostante le difficoltà economiche, a 12 anni entrò nel collegio gesuita di San Tommaso Becket a Rennes e poi entrò in seminario. Aveva ventisettenne anni quando venne ordinato sacerdote e, in quel giorno, era in adorazione come “un angelo sull’altare”. Era un’anima dedita all’orazione, ma amava anche l’azione: egli intraprese un’opera di evangelizzazione, difendendo la fede cattolica contro il protestantesimo e il giansenismo. Fu cappellano dell’ospedale di Poitiers e si dedicò ai malati e ai poveri con grande generosità e da loro fu molto amato. Soffrì molto per le persecuzioni che dovette patire nella Chiesa a causa di invidie. Quindi si allontanò e andò a Roma dal papa Clemente XI, che gli attribuì il titolo di “Missionario Apostolico” e gli ordinò di riprendere il suo apostolato in Francia. Ma Luigi sentiva fortemente dentro di sé di essere “servo di Maria” ed era attratto dalla vita di Gesù vissuta in sottomissione alla Famiglia. Egli arrivò a elaborare una pastorale basata sulla centralità del culto di Maria, in quanto era convinto che solo seguendo Maria si “trova Gesù Cristo”. Si prodigò per la diffusione della preghiera del Rosario e per l’organizzazione di processioni e celebrazioni mariane. Fu fondatore della “Compagnia di Maria” e delle “Figlie della Sapienza”. Morì di polmonite durante una missione, nel 1716 a 44 anni. Scrisse alcuni libri di argomento mariano, tra questi il famoso “Trattato della vera devozione alla Santa Vergine”, attorno al 1712, ma rimasto nascosto per 130 anni. Fu infatti ritrovato nel 1842 e pubblicato. Oggi è un saggio importante nella letteratura della spiritualità mariana, riferimento per la crescita dell’anima.FB_IMG_1651126566417.jpg
 
SANTA CATERINA DA SIENA vergine dottore
Caterina nacque a Siena, nel rione di Fontebranda, nel 1347, ventiquattresima di venticinque figli di una famiglia piccolo-borghese. A soli sei anni, ebbe la prima visione di Gesù vestito da Sommo Pontefice col manto rosso e tre corone sul capo. Accanto vi erano i santi Pietro, Giovanni e Paolo. Il Papa si trovava, a quel tempo, ad Avignone e la cristianità era minacciata dai movimenti ereticali. A sette anni, invece, Caterina fece voto di verginità e intraprese la via della perfezione cristiana: le sue giornate erano intense di preghiere, penitenze e digiuni. A dodici anni, i genitori decisero per lei il matrimonio, ma Caterina si tagliò tutti i capelli e rimase segregata in casa. Fu ostacolata e perseguitata dalla famiglia, fin quando il padre non vide una colomba bianca volare sul capo della figlia, che poté, così, liberamente indossare l’abito delle “mantellate”, un Ordine domenicano laicale le cui aderenti continuavano a vivere nel mondo, facendo voto di obbedienza, povertà e castità. Nel 1367, a Caterina apparve Gesù che le infilò un anello decorato di rubini: si svolgevano le mistiche nozze e fra lo sposo, il bene amato sopra ogni altro bene, e la sposa si stabilì un rapporto di intimità particolare e di intensa comunione. Più tardi, alla santa apparve il Cristo che scambiò il cuore con il suo. Ora Cristo viveva in lei. Ma lo sposo le fece dono anche delle stimmate spirituali, cioè interiori. Caterina si dedicò attivamente e instancabilmente a opere di carità: ammalati, poveri, prigionieri ricevevano la sua consolazione. Da analfabeta, tenne una copiosa e intensa corrispondenza con personaggi politici, storici, religiosi, sovrani, prelati del tempo, perché sua premura era di raggiungere la pace della patria e la purificazione della Chiesa. Caterina soffriva molto per il mondo, in balia del disordine morale e del male e, con le sue appassionate e cocenti parole, scuoteva le menti e i cuori, provocando conversioni e rinnovamento. La sua convinzione era che l’infinita giustizia di Dio, come una fresca pioggia, ricoprisse le ingiustizie degli uomini. Tornò al cielo nel 1380, a 33 anni. Nominata Dottore della Chiesa Universale, compatrona d’Italia e d’Europa, nella Chiesa cattolica è tra i santi più venerati.FB_IMG_1651211386992.jpg
 
SAN GIUSEPPE lavoratore
Giuseppe visse un’intera vita nel nascondimento, suo segno distintivo. Infatti, questo starsene nascosto faceva parte dello straordinario ruolo che gli fu assegnato nella storia della salvezza. Addirittura, quando cominciò la vita pubblica di Gesù, egli sembrava già essere scomparso. Nel Vangelo leggiamo che era uomo Giusto. “Giusto”, nella Bibbia, si intende colui che ama lo spirito e la lettera della Legge, come espressione della volontà di Dio. Giuseppe, discendente dalla casa di David, era un artigiano e lavorava il legno. Non era vecchio, come la tradizione ce lo ha presentato, era un uomo giovane, dal cuore generoso, ricco di fede, innamorato di Maria. I due si fidanzarono secondo gli usi del tempo, ma Maria si trovò incinta per opera dello Spirito Santo (Mt 1, 18). In ogni vocazione, il mistero della chiamata si accompagna all’esercizio della libertà, così Giuseppe poteva accettare o no il progetto di Dio. E per amore di Maria: “prese sua moglie con sé” (Mt 1, 24). Quando noi guardiamo al “Sì” di Maria dobbiamo pensare al “Sì” di Giuseppe, all’intero progetto di Dio. Egli superò le convenzioni sociali, seppe far vincere in lui l’amore e accogliere il mistero dell’Incarnazione del Verbo. Giuseppe si consacrò alla sua amata: ne fu sposo, custode, discepolo, guida e sostegno. Fu tutto di Maria. Tra loro due esisteva una comunione sponsale che era vera comunione dei cuori, cementata da profonde affinità spirituali. E questa piccola “chiesa domestica”, sorgente di santità, fu prefigurazione del Regno, dell’Amore di Dio. Giuseppe, l’umile falegname di Nazareth, che ha vissuto la sua vita vicino a Gesù e Maria sulla Terra, sarà maggiormente a loro vicino in Cielo. Sono innumerevoli le grazie che san Giuseppe ottiene da Dio, lui che è anche Padre Universale della Chiesa.FB_IMG_1651384235761.jpg
 
SANTI FILIPPO E GIACOMO apostoli
Filippo era originario della città di Betsaida. Fu discepolo di Giovanni Battista, e fu tra i primi a seguire Gesù. Secondo la tradizione, egli evangelizzò gli Sciti e i Parti. Non si parla molto di lui nei Vangeli, ma è colui che condusse a Gesù l’accigliato Natanaele, detto Bartolomeo.
Giacomo era figlio di Alfeo e cugino di Gesù. Era chiamato “Giusto” per l’integrità della sua vita. Incontrò Paolo dopo la conversione e lo accolse dimostrandogli amicizia insieme a Pietro e Giovanni. Nel 50 circa, ebbe luogo il Concilio di Gerusalemme in cui rivestì un ruolo importante, invitando a non imporre troppe regole ai convertiti. Con il martirio e la morte di Giacomo il Maggiore, egli divenne capo della Chiesa di Gerusalemme. Scrisse la prima delle Lettere Cattoliche del Nuovo Testamento, in cui si rivolse alle “dodici tribù disperse nel mondo”, ossia ai cristiani di origine ebraica che vivevano fuori della Palestina. Parlò loro circa la preghiera, la speranza, la carità e, con parole marcate, sul senso di giustizia. Tale Lettera è un primo esempio di enciclica. Probabilmente, fu lapidato dietro incitamento del sommo sacerdote Hanna.FB_IMG_1651556994930.jpg
 
SAN VITTORE martire
Vittore era originario della Mauritania, in Africa, ed era un soldato della milizia in servizio a Milano. Sotto la persecuzione di Massimiano lo si voleva costringere a sacrificare agli dei, ma egli con decisione rifiutò. Allora fu arrestato e lasciato per giorni senza mangiare e senza bere, perché perdesse le forze. Fu portato nell'ippodromo e interrogato e flagellato, ma Vittore non abiurò. Fu riportato in carcere, da dove, un giorno, riuscì a fuggire grazie alla distrazione dei carcerieri e si rifugiò in una stalla. Fu trovato e decapitato in un bosco vicino. Il corpo non fu seppellito e fu ritrovato dal vescovo Materno: questo era intatto e vegliato da due fiere.
È un santo caro ai milanesi che hanno dato il suo nome al carcere della città: san Vittore è il protettore dei prigionieri e degli esuli.FB_IMG_1651990405186.jpg
 
SANT’IGNAZIO DA LACONI religioso

La madre, a causa di una gravidanza difficile, lo aveva consacrato, ancora nel grembo, a san Francesco. A diciotto anni si ammalò gravemente e fece voto di entrare fra i Cappuccini se fosse guarito. Ma ritardando il giorno del compimento della promessa, una cavalcata pazza su un cavallo imbizzarrito, risolve il problema: Vincenzo, “Su santixeddu”, a vent’anni entra in convento con il nome di fra’ Ignazio da Làconi. Il noviziato delineò in lui la tipica fisionomia del fratello Cappuccino: uomo semplice, umile, nel caso di Ignazio anche analfabeta, ma di grande preghiera e profonda fede, sorridente e sereno in ogni circostanza, obbediente, vicino alla gente in mezzo alla quale lasciava come una scia di Vangelo vivente. Camminava sempre a occhi bassi e corona in mano. La gente al suo passaggio si poneva in atteggiamento di rispetto. Non accettava più del necessario. Dove passava fiorivano fatti straordinari con una “normalità” disarmante. E insieme ai miracoli scaturiva la fede. Un certo Franchino, negoziante carico di soldi, si lamentò che fra’ Ignazio non andava a questuare in casa sua. Su richiamo del superiore, fra’ Ignazio andò e ricevette una cospicua offerta in danaro, che fece mettere nella bisaccia. Andando verso il convento dalla bisaccia cominciò a gocciolare sangue. Al superiore il frate spiegò che era sangue di poveri che il commerciante estorceva con l’usura. La lezione servì, e Franchino restituì ciò che doveva. Un’altra volta, chiese dell’olio a un benefattore e, non sapendo dove metterlo, lo fece versare nella bisaccia. L’olio arrivò al convento e non se ne perse una goccia. Il benefattore donò al convento l’intera botte (che si chiamò botte di fra’ Ignazio). E si potrebbe continuare all’infinito. Può sicuramente interessare il fatto che a testimoniare questi prodigi c’era, tra gli altri, un pastore protestante evangelico, presente in quel periodo in Sardegna, perché cappellano al seguito di un reggimento di fanteria tedesco, un certo Joseph Fues, che documenta questi fatti e stila anche un elenco dei miracoli più significativi nel suo libro “La Sardegna nel 1773-1776”, Lipsia, 1780. Come si vede, un testimone non di parte.FB_IMG_1652250426724.jpg
 
SAN LEOPOLDO MANDIĆ francescano

Ultimo di dodici figli, nacque nel 1866 sulla costa dalmata da una famiglia nobile, ridotta in povertà per vicende politiche. A 18 anni entrò tra i Cappuccini. Sempre malaticcio e sofferente, visse con un ideale radicato nel cuore: spendersi totalmente per il ritorno del suo popolo croato e dei popoli slavi all’unità cattolica. Questo è stato per lui il sogno di una vita per il quale ha lottato, ha pianto, ha sofferto, ha “offerto”, ha supplicato. Il padre Provinciale un giorno ne chiarì i motivi: padre Leopoldo non avrebbe potuto predicare, aveva la parola ora lenta ora precipitosa, affaticata, quasi balbuziente; si presentava in un corpo piccolo, curvo, pallido, estremamente fragile, tormentato da non pochi malanni, quali dolore agli occhi, debolezza di stomaco, artrite deformante. Buone ragioni umane, che padre Leopoldo seppe accettare e integrare nel suo progetto: l’obbedienza gli aveva affidato di attendere alle confessioni? Allora «ogni anima che chiederà il mio ministero sarà il mio Oriente!». Così per 33 anni è rimasto chiuso nel suo confessionale, per circa 10-12 ore al giorno. Quante anime in 30 anni l’avvicinarono per scaricare i loro fardelli e trovare misericordia, e lui sempre disponibile, attento, affabile, infaticabile, senza interruzione e senza riposo. Lo rimproveravano, perché dicevano che fosse troppo di manica larga e lui rispondeva che Gesù, sulla croce, le maniche non le aveva affatto! Trovato in chiesa di notte, rispondeva che doveva fare la penitenza per i suoi penitenti. Pochi giorni prima di morire, lo incontrò il superiore lungo il corridoio che si trascinava per recarsi in confessionale. Invitato a tornare alla sua cella, rispose: «Padre, abbia pietà di me… C’è tanto bene da fare!». Morì nel 1942. In un’incursione aerea del Maggio 1944 le bombe colpirono il convento dei Cappuccini di Padova. Il confessionale di padre Leopoldo rimase intatto. Accanto alla tomba, in un reliquiario, è esposta la sua mano destra benedicente, memoria di quel perdono che ha irradiato per tutta la sua vita.
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BEATA VERGINE MARIA DI FATIMA
La Grande Guerra divampava e, il 13 maggio 1917, in un piccolo villaggio portoghese, a tre pastorelli apparve la Madonna. Nell’apparizione del 13 luglio, la Madonna affidò ai pastorelli un messaggio per il mondo intero. Quanto da lei detto si realizzò: la rivoluzione bolscevica in Russia, la diffusione del comunismo, le sanguinose persecuzioni contro la Chiesa e la seconda guerra mondiale. Nell’ultima apparizione del 13 ottobre, migliaia di persone erano in Cova di Iria, in attesa di quel segno che aveva promesso e che ci fu: il vorticare del sole nel cielo. Consegnò alla veggente Lucia dos Santos un segreto che doveva essere rivelato nel 1960, come espresso dalla Madonna, ma Papa Giovanni XXIII lo custodì, perché considerò terribile il suo contenuto. Nel 2000, invece, Papa Giovanni Paolo II divulgò il terzo segreto che riguardava una visione di Lucia. Questo il testo che egli rese pubblico: “La terza parte del segreto rivelato il 13 luglio 1917 nella Cova di Iria-Fatima.
[…] Dopo le due parti che già ho esposto, abbiamo visto al lato sinistro di Nostra Signora un poco più in alto un Angelo con una spada di fuoco nella mano sinistra; scintillando emetteva fiamme che sembrava dovessero incendiare il mondo; ma si spegnevano al contatto dello splendore che Nostra Signora emanava dalla sua mano destra verso di lui: l'Angelo indicando la terra con la mano destra, con voce forte disse: Penitenza, Penitenza, Penitenza! E vedemmo in una luce immensa che è Dio: “qualcosa di simile a come si vedono le persone in uno specchio quando vi passano davanti” un Vescovo vestito di Bianco “abbiamo avuto il presentimento che fosse il Santo Padre”. Vari altri Vescovi, sacerdoti, religiosi e religiose salire una montagna ripida, in cima alla quale c'era una grande Croce di tronchi grezzi come se fosse di sughero con la corteccia; il Santo Padre, prima di arrivarvi, attraversò una grande città mezza in rovina e mezzo tremulo con passo vacillante, afflitto di dolore e di pena, pregava per le anime dei cadaveri che incontrava nel suo cammino; giunto alla cima del monte, prostrato in ginocchio ai piedi della grande Croce venne ucciso da un gruppo di soldati che gli spararono vari colpi di arma da fuoco e frecce, e allo stesso modo morirono gli uni dopo gli altri i Vescovi, sacerdoti, religiosi e religiose e varie persone secolari, uomini e donne di varie classi e posizioni. Sotto i due bracci della Croce c'erano due Angeli ognuno con un innaffiatoio di cristallo nella mano, nei quali raccoglievano il sangue dei Martiri e con esso irrigavano le anime che si avvicinavano a Dio”.
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SAN MATTIA apostolo
Mattia, probabilmente, nacque a Betlemme, da una illustre famiglia della tribù di Giuda. Come scrive lo stesso Pietro negli “Atti degli Apostoli”, egli fu uno di quegli uomini che accompagnò i dodici per tutto il tempo che Gesù Cristo visse con loro, a cominciare dal battesimo nel fiume Giordano fino all'Ascensione al cielo. Cioè, era uno dei 72 discepoli designati dal Signore e da lui mandati, a due a due, in ogni città dove stava per arrivare. Con il tradimento di Giuda e la sua morte, il gruppo degli Apostoli era diventato di undici uomini. Dopo l’Ascensione del Signore, essi erano a Gerusalemme e, trascorrevano il tempo nel Cenacolo in preghiera con Maria e le altre donne. Pietro, capo di quella prima comunità cristiana, spiegò che era necessario che uno dei 72 divenisse testimone della Risurrezione insieme al gruppo degli undici. Tra tutti furono scelti due: Giuseppe detto il Giusto, e Mattia. Poi tirarono la sorte, che designò Mattia. Mattia, in ebraico “dono di Jahvè”, completò il numero simbolico dei dodici Apostoli, raffigurante i dodici figli di Giacobbe e quindi le dodici tribù d'Israele. “Apostolo” in greco vuol dire “inviato” e i dodici si dispersero nel mondo per dare testimonianza della Risurrezione di Cristo. Essi, nel nome di Gesù risorto, convertirono popoli, battezzarono credenti, operarono miracoli. Mattia stesso compì la sua testimonianza fino al martirio, anche se non si conoscono con certezza le località che visitò e dove si fermò.FB_IMG_1652508777157.jpg
 
SANT’ISIDORO laico
Isidoro nacque a Madrid da una famiglia di contadini molto povera ed egli stesso fu contadino tutta la vita e chiamato per questo l’Agricoltore. Non sapeva né leggere, né scrivere, ma sapeva parlare con Dio e a Dio dedicava molto tempo. Anche mentre lavorava, se aveva il bisogno di pregare, si appartava e Dio per premiarlo della sua devozione lo ricompensava facendo trainare l’aratro dagli angeli. Alcuni lavoratori ne provavano invidia, così un giorno lo denunciarono al padrone per essere assente. Il padrone verificò lo stato dei terreni a lui affittati e li trovò perfettamente coltivati. Allora, gli altri lavoratori lo denunciarono per furto, perché Isidoro faceva sempre l’elemosina ai bisognosi, ma il padrone scoprì che egli prendeva il grano da un sacco il cui livello rimaneva invariato e che i suoi conti erano in ordine. Nella preghiera e nelle opere di carità, Isidoro era accompagnato dalla moglie Maria e insieme avanzarono sulla strada della perfezione, sostenendosi a vicenda nel sopportare i dolori della vita, come quello della morte del loro unico figlio avvenuta in tenera età. Isidoro l’Agricoltore è il patrono dei raccolti e dei contadini.FB_IMG_1652600287255.jpg
 
SANT’UBALDO vescovo
Ubaldo nacque a Gubbio intorno al 1085. Era orfano di genitori e venne educato da uno zio molto religioso, che, malgrado la sua sensibilità, si oppose al desiderio del ragazzo di scegliere una vita solitaria e di preghiera. A Ubaldo concesse, però di unirsi a una famiglia di canonici di San Secondo. Dopo qualche anno, Ubaldo fu ordinato sacerdote, si ritirò nel monastero di Fonte Avellana e lì il suo primo impegno fu di intraprendere l’opera di riforma della Chiesa. Nel 1129, papa Onorio II, nominatolo vescovo, gli affidò la cura della diocesi di Gubbio, dove fu quindi costretto a ritornare. Gubbio era, infatti, una città inquieta, divisa in fazioni da feroci discordie che opponevano casato contro casato. E spesso tra questi scorreva il sangue, che stava sporcando l’intera città. Ubaldo si offrì come mediatore e finì per rischiare anche la propria vita, cercando di sedare un violento scontro: egli si era gettato nella mischia tra gli avversari, supplicandoli di cessare la lotta, ma ne era stato travolto. Quando gli eugubini si accorsero che avevano colpito il loro vescovo e che costui era steso per terra, si fermarono, preoccupati per Ubaldo e pentiti della loro scelleratezza. Da quel giorno, la città ritrovò la pace e l’affetto per quel vescovo sempre pronto a difendere il suo popolo dall’arroganza dei potenti. Ubaldo resse la città per più di trent’anni, proteggendola anche dalla furia crudele di Federico Barbarossa. Quando Federico si avvicinò alla città, Ubaldo andò incontro all’imperatore armato solo della forza della fede e della sua dignità episcopale. Barbarossa, fu colpito da tutto il coraggio dimostrato dal religioso e decise di risparmiare la città.
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SAN PASQUALE BAYLON francescano
Nato a Torre Hermosa, in Aragona, il giorno di Pentecoste del 1540, mostrò sin da bambino grande amore per l’Eucaristia e desiderio di pregare. Di umili origini, venne avviato al pascolo delle greggi e, mentre custodiva le sue pecore, aveva il tempo per pregare, meditare e contemplare. Oltre a ciò, si dedicò a penitenze, mortificazioni e digiuni. A diciotto anni chiese di essere accolto nel convento dei Francescani Alcantarini, da cui venne respinto per la giovane età. I due anni successivi li trascorse al servizio del ricco signore Martino Garcia. Quest’ultimo, edificato dalle virtù di Pasquale, gli propose di divenire suo erede universale. Ma Pasquale, nel 1564, fu ammesso finalmente nel convento, dove preferì rimanere fratello laico e svolgere vari servizi. Fu portinaio, compito che gli permise di incontrare molte persone, che si rivolgevano a lui come a una guida preziosa. Egli aveva il dono della sapienza infusa e, benché illetterato, consigliava sempre in modo adeguato. Per questo, furono molti gli uomini illustri che ricorsero ai suoi consigli. Tutta la sua vita fu caratterizzata dall’amore per l'Eucaristia, egli ne penetrò la profondità del mistero, cosa che gli valse il titolo di “teologo dell'Eucaristia”. Operò molti miracoli. Morì il giorno di Pentecoste del 1592.FB_IMG_1652766170719.jpg
 

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